E' l'ultimo dell'anno, tempo di buoni propositi. Ormai lontani i tempi di "prometto di essere un bambino buono quest'anno", cosa promettiamo? E poi, promettiamo ancora?
Forse più che promettere speriamo, speriamo in un anno migliore, migliore di quello passato, ma quest'anno ci hanno tolto anche questo: la speranza.
Eh si, sembra che quest'anno non ci sia spazio per la speranza, nel 2009 ci investirà la crisi (ma non ci aveva già investiti?), e bisognerà sperare che passi, che passi la nottata, una nottata lunga un anno!
E allora se non abbiamo neanche la speranza, perchè la recessione sembra inevitabile, come la panna che si scioglie nel cioccolato caldo, aggrappiamoci ai cari, vecchi e nuovi, buoni propositi. Realizzarli ci farà sentire forti, mancarli ci farà sentire uomini bisognosi dell'aiuto altrui e ci ricorderà che in questa corsa non siamo soli, e se esistono le avversità, esistono anche i nostri compagni ai box, che tifano per noi, e sono sempre pronti a farci un carico di benzina e a cambiare le gomme più veloci della luce.
Ci aiuterà a pensare che è meglio investire nei rapporti umani, che in banca, perchè se anche gli amici si perdono, come i soldi, i ricordi restano, e sono vita.
Forse avere meno soldi da spendere ci farà tornare alle radici vere, e se non andremo al cinema o al ristorante, per risparmiare, riscopriremo il piacere di dedicarci un momento in più a casa, non davanti alla televisione, ma davanti allo specchio. Le situazioni difficili sono terreno fertile per la nascita di rapporti autentici, e, forse, alla fine di questo 2009 non è detto che saremo più poveri, forse saremo più ricchi di rapporti veri, se sapremo afferare la possibilià di mettere qualcosa in comune, piuttosto che conservare quel poco che abbiamo.
Come l'intuizione, geniale e banale al tempo stesso, di un barista che serve la panna in un bicchiere a parte, così che sia tu a decidere se debba sciogliersi o meno nel cioccolato, quanto e quando. Non è detto che sia inevitabile allora, c'è sempre un modo per cambiare il corso delle cose, anche se sembra inevitabile.
Retorica? Forse, ma i buoni propositi lo sono sempre un po', perdonatemi, se potete, per questo.
Voglio essere ottimista, almeno l'ultimo dell'anno, anche se non avrei nessun motivo per esserlo, perchè anche per me le cose non vanno bene, come, forse, per la maggioranza di voi, ma "lamentarle" non servirà a farle cambiare. La panna e il cioccolato, don't forget!
E' questo il messaggio che lascio nella bottiglia, per chiunque lo voglia accogliere, e voi che siete naviganti di quell'immenso mare di internet potete scegliere, come nella vita reale, se vi piace o no, tanto, tutto è nello spazio di un click!
E allora buon anno, a tutti, belli e brutti! Buon 2009 naviganti di un mare virtuale in una vita reale!
mercoledì 31 dicembre 2008
Buoni propositi, vecchi propositi, nuovi propositi
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domenica 9 novembre 2008
L'ultima curva
Domenica. Pranzo luculliano. Mente sgombra dai pensieri, tranne uno: oggi c'è il Gran Premio di Formula 1. Di solito un ottimo sonnifero (mi perdoneranno gli appassionati) quando non succede proprio niente e il primo a partire è anche il primo ad arrivare.
Ordinaria amministrazione. Ma non oggi.
Non oggi, storia diversa: è l'ultima gara ed in palio c'è il mondiale, con quel Massa che parte dalla prima posizione ed Hamilton nelle retrovie, e l'incognita della pioggia, che possa aiutare noi e svantaggiare gli altri. Non è impossibile.
Non è impossibile penso, mentre partono per il giro di ricognizione e la mia mente vola, per un attimo, ad un anno fa, ultimo gran premio, stessa situazione, Hamilton primo in classifica e Raikkonen che vince, stupendo tutti, il mondiale, grazie ad un evento che non ti aspetti.
Ci ripenso e il primo ricordo è me in Michigan a casa di Sam, con gente di tutto il mondo, ognuno che tifa per un pilota diverso, come mai mi era capitato prima, qui in Italia, of course, tutti tifiamo Ferrari, e non potrebbe essere altrimenti.
E così, mentre il giro di ricognizione va, io mi ricordo della vittoria insperata di un anno fa, dei piloti sul podio e dell'inno italiano che risuona nel silenzio generale della casa, tutti zitti, in segno di rispetto, mentre io, mano sul cuore, canto "Fratelli d'Italia..." con un certo orgoglio, perchè sono in una terra straniera e tutti mi rispettano, grazie alla Ferrari, tutti mi rispettano, "ci" rispettano e ho il loro plauso e la loro ammirazione e io mi sento orgogliosa di essere italiana, ma più di tutto grata a questi ragazzi che con il loro lavoro guadagnano all'Italia il rispetto del mondo.
Finisce il giro di ricognizione e io riemergo dai miei pensieri fiduciosa, "non è ancora detta l'ultima parola" mi ripeto.
Inizio. Una girandola di emozioni, come andare sulle montagne russe delle sensazioni, Massa primo, Massa campione, Hamilton non molla, Hamilton campione.
Ma poi la situazione si stabilizza. Gli ultimi giri sembrano un verdetto già scritto, Massa è primo, ma Hamilton controlla la gara dalla posizione che gli assicura il titolo, tutto sembra scorrere normale, ormai sono rassegnata e rifletto sull'opportunità di continuare a guardare un trionfo McLaren sempre più prossimo o fare qualcosa di meglio della mia domenica pomeriggio.
E mentre sono immersa in questi pensieri ecco l'evento che non ti aspetti, la pioggia!
La pioggia arriva e, inesorabile, scombussola tutto nei Gran Premi. E lo fa anche stavolta, non si capisce più niente, piloti che entrano ed escono dai box, due piloti non cambiano le gomme e restano in pista, rischiando, ma grazie al loro coraggio riescono a mantenere le posizioni di testa, dopo i piloti Ferrari, ma, soprattutto, prima di Hamilton. Manca un giro, se finisce così Massa è campione, è un brivido che mi percorre, un fremito di gioia, che, a malapena, riesco a frenare, ma devo, perchè questo giro è troppo lungo, e un fremito di paura, perchè è un regalo troppo grande vincere così.
E così Massa taglia il traguardo virtualmente vincitore, non solo della gara, ma anche del campionato, ma bisogna aspettare ed è lì, all'ultima curva, che succede: uno dei piloti che non aveva cambiato le gomme perde velocità, viene superato, un problema al motore, rallenta, è l'ultima curva ed Hamilton lo sorpassa e si riprende, proprio all'ultima curva, il campionato.
Dopo quell'ultima curva è il trionfo, non il nostro, unfortunately.
La delusione è bruciante, ma poi penso: in fondo 10 giri fa ero già rassegnata alla vittoria di Hamilton...si ma perdere così...all'ultima curva, quando già assaporavo la vittoria!
Perdere così.
Colpa del caso? Fortuna? Sfortuna?
Mi stupisco a pensare come anche nella vita, a volte, si perda all'ultima curva, senza potersi rimproverare niente, perchè c'è un motore, non il nostro, che si rompe, la pioggia che improvvisamente decide di cadere dal cielo o un tubo della benzina che non vuole staccarsi. Ma noi abbiamo lavorato, come i meccanici della Ferrari, incessantemente, giorno e notte, e non abbiamo nulla da rimproverarci, e per quanto possiamo impegnarci non possiamo controllare tutto, non possiamo governare il mondo.
Andrà meglio la prossima volta, la prossima gara, il prossimo giro, sarà dalla nostra, un'altra volta, l'ultima curva.
Ordinaria amministrazione. Ma non oggi.
Non oggi, storia diversa: è l'ultima gara ed in palio c'è il mondiale, con quel Massa che parte dalla prima posizione ed Hamilton nelle retrovie, e l'incognita della pioggia, che possa aiutare noi e svantaggiare gli altri. Non è impossibile.
Non è impossibile penso, mentre partono per il giro di ricognizione e la mia mente vola, per un attimo, ad un anno fa, ultimo gran premio, stessa situazione, Hamilton primo in classifica e Raikkonen che vince, stupendo tutti, il mondiale, grazie ad un evento che non ti aspetti.
Ci ripenso e il primo ricordo è me in Michigan a casa di Sam, con gente di tutto il mondo, ognuno che tifa per un pilota diverso, come mai mi era capitato prima, qui in Italia, of course, tutti tifiamo Ferrari, e non potrebbe essere altrimenti.
E così, mentre il giro di ricognizione va, io mi ricordo della vittoria insperata di un anno fa, dei piloti sul podio e dell'inno italiano che risuona nel silenzio generale della casa, tutti zitti, in segno di rispetto, mentre io, mano sul cuore, canto "Fratelli d'Italia..." con un certo orgoglio, perchè sono in una terra straniera e tutti mi rispettano, grazie alla Ferrari, tutti mi rispettano, "ci" rispettano e ho il loro plauso e la loro ammirazione e io mi sento orgogliosa di essere italiana, ma più di tutto grata a questi ragazzi che con il loro lavoro guadagnano all'Italia il rispetto del mondo.
Finisce il giro di ricognizione e io riemergo dai miei pensieri fiduciosa, "non è ancora detta l'ultima parola" mi ripeto.
Inizio. Una girandola di emozioni, come andare sulle montagne russe delle sensazioni, Massa primo, Massa campione, Hamilton non molla, Hamilton campione.
Ma poi la situazione si stabilizza. Gli ultimi giri sembrano un verdetto già scritto, Massa è primo, ma Hamilton controlla la gara dalla posizione che gli assicura il titolo, tutto sembra scorrere normale, ormai sono rassegnata e rifletto sull'opportunità di continuare a guardare un trionfo McLaren sempre più prossimo o fare qualcosa di meglio della mia domenica pomeriggio.
E mentre sono immersa in questi pensieri ecco l'evento che non ti aspetti, la pioggia!
La pioggia arriva e, inesorabile, scombussola tutto nei Gran Premi. E lo fa anche stavolta, non si capisce più niente, piloti che entrano ed escono dai box, due piloti non cambiano le gomme e restano in pista, rischiando, ma grazie al loro coraggio riescono a mantenere le posizioni di testa, dopo i piloti Ferrari, ma, soprattutto, prima di Hamilton. Manca un giro, se finisce così Massa è campione, è un brivido che mi percorre, un fremito di gioia, che, a malapena, riesco a frenare, ma devo, perchè questo giro è troppo lungo, e un fremito di paura, perchè è un regalo troppo grande vincere così.
E così Massa taglia il traguardo virtualmente vincitore, non solo della gara, ma anche del campionato, ma bisogna aspettare ed è lì, all'ultima curva, che succede: uno dei piloti che non aveva cambiato le gomme perde velocità, viene superato, un problema al motore, rallenta, è l'ultima curva ed Hamilton lo sorpassa e si riprende, proprio all'ultima curva, il campionato.
Dopo quell'ultima curva è il trionfo, non il nostro, unfortunately.
La delusione è bruciante, ma poi penso: in fondo 10 giri fa ero già rassegnata alla vittoria di Hamilton...si ma perdere così...all'ultima curva, quando già assaporavo la vittoria!
Perdere così.
Colpa del caso? Fortuna? Sfortuna?
Mi stupisco a pensare come anche nella vita, a volte, si perda all'ultima curva, senza potersi rimproverare niente, perchè c'è un motore, non il nostro, che si rompe, la pioggia che improvvisamente decide di cadere dal cielo o un tubo della benzina che non vuole staccarsi. Ma noi abbiamo lavorato, come i meccanici della Ferrari, incessantemente, giorno e notte, e non abbiamo nulla da rimproverarci, e per quanto possiamo impegnarci non possiamo controllare tutto, non possiamo governare il mondo.
Andrà meglio la prossima volta, la prossima gara, il prossimo giro, sarà dalla nostra, un'altra volta, l'ultima curva.
giovedì 6 novembre 2008
giovedì 2 ottobre 2008
La dolce fiaba di Zagabria
Scrivo dal settimo piano del Westin hotel di Zagabria, davanti a me i due campanili illuminati della cattedrale e un gigantesco manifesto che ricopre un intero palazzo e consiglia di bere una birra croata.
Più in là le luci del museo, automobili che portano chissà chi, chissà dove, e poi io qui, al settimo piano, ancora a scrivere, a scrivere sul mio blog.
Ormai inizio a credere che il vero scopo del mio andare per conferenze sia per avere, poi, qualcosa da scrivere sul blog.
Ormai la parte scientifica della conferenza non mi interessa più, sono molto più interessata alla parte "antropologica e sociologica", all'osservare i miei consimili, all'osservare la gente del posto, al cercare di capire i posti pur standoci alla fine poco e niente.
A Zagabria ci sono i tram e oggi, ogni volta che ne passava uno, cercavo di scrutare i visi, gli sguardi, cercavo di capire. Mi chiedevo se quei tram erano pieni di persone che tornavano dal lavoro alle loro abitazioni, di studenti, proprio come gli autobus in Italia, con l'unica differenza che loro, nei tram, erano più biondi. Attraverso i loro occhi cercavo di scrutare la loro vita e di immaginarla, di scrutare i loro pensieri, le loro preoccupazioni, per la prossima cena o per il futuro.
Adesso sono qui che scrivo, nella mia stanza, con il lettone a due piani, pieno di soffici cuscini, sprofondata nella poltrona e, ogni tanto, guardo fuori dalla finestra per ricordarmi che sono qua.
Ho perso il conto, non so che viaggio è questo, quanti ne ho fatti, ma ricordo che la mia prima conferenza l'ho fatta in Croazia, tre anni fa, e non avrei mai immaginato che poi avrei fatto tanta strada e, naturalmente, non parlo in senso metaforico.
Mi trovo in questo albergo super-lusso e non so neanche come e perché, ma ci sono.
E mi ricordo quando bambina, passeggiando per le vie di Roma con i miei genitori, vedevo "la gente ricca" entrare in questi posti e pensavo: io non potrò mai permettermelo e poi subito dopo pensavo che forse si, magari, un giorno, se avessi sposato un principe, forse...e iniziavo a fantasticare, a vivere le vite dei personaggi misteriosi che vedevo entrare nelle porte a vetri girevoli e che mi sembravano così lontani, eppure così a portata di immaginazione, pronti a diventare personaggi dei miei fantasiosi viaggi mentali.
Oggi sono entrata per una di quelle porte di vetro girevoli e, come al solito, la cosa non mi sembra più tanto importante, i traguardi, quando li raggiungi, sembrano sempre un po' scontati.
Eppure, anche se non ho sposato un principe, o perlomeno non ancora, stanotte, mentre guardo il cielo di Zagabria, mi sento in una fiaba, una dolce fiaba.
giovedì 18 settembre 2008
Un ragionevole motivo
E' strano, ma la mia vita si appresta ad un cambiamento, un cambiamento davvero consistente, lento e inesorabile.
E non parlo della mia vita "in senso stretto", quella chissà, non ho ancora deciso cosa farò da grande, ma della vita che mi sta attorno, che è, ovviamente, in "senso largo" anche la mia, perchè la condiziona, la avvolge, la fa cambiare anche se lei vorrebbe alcune cose non cambiassero mai.
La vita si evolve, informazione nota e risaputa, ma è diverso quando il cambiamento lo tocchi con mano, lo subisci, quando lo sperimenti a tue spese e il conto ti sembra troppo alto.
Quando sono tornata dall'America, per quanto inizialmente sbigottita dall'essere nuovamente nel mio vecchio mondo, avevo la confidenza che, comunque, pian piano, tornando alla vita di prima, alle mie abitudini, ai soliti riti quotidiani, mi sarei ripresa da questo schock da reverse immigration.
Avevo le mie cose, la mia vita, che mentre io sperimentavo il "nuovo mondo" erano rimaste lì, sembrava ad aspettarmi.
Avevo la mia comunità di San Marcello, la mia squadra di calcio, la "mia" casa che mi avrebbe riaccolto.
E invece, quella che era la vita di prima sembra, per un crudele scherzo del destino, iniziare a disgregarsi, a cambiare, a poco a poco, ma inesorabilmente.
Prima la casa: sono stata costretta a traslocare, ad andarmene da quella che consideravo la mia casa senza un ragionevole motivo, almeno dal mio punto di vista o forse qualsiasi motivo non sarebbe stato ragionevole, visto che, semplicemente, non volevo andar via.
Poi la mia squadra di calcio, dopo anni, hanno cambiato il campo, i giorni, gli orari, rendendomi impossibile partecipare agli allenamenti quest'anno. Dovrò dire "addio" alle mie piccole compagne, al mio allenatore, al mio sogno da bambina, che finalmente sembrava essere diventato realtà, a quelle due ore di spensieratezza, quando giocare con loro mi faceva dimenticare il resto, tutto il resto.
Hanno cambiato senza un ragionevole motivo, o forse, ancora, qualsiasi motivo non sarebbe stato ragionevole, visto che, semplicemente, non volevo dire addio.
E infine la mia comunità di San Marcello, ogni martedì c'era il rito del ritrovarsi, perché don L. sapeva "attirarci", come gente assetata che va ad una sorgente.
E poi c'erano gli altri gruppi, quello con cui facevamo piccoli ritiri, per ritrovarci, per isolarci dal rumore e sentire ciò che conta davvero.
Lui quest'anno va via, ed è inutile prendersi in giro, non è solo lui che andrà via, ma insieme a lui andranno via riti, incontri, modi di fare e di dire a cui non volevo dire addio, che ci sia o meno un ragionevole motivo.
E così capita che senza i soliti riti, uno per ogni giorno della settimana, ci sentiamo persi, non più al sicuro, soli in alto mare. Brucia, vogliamo tutto come era prima, non siamo disposti a dire addio, non senza un ragionevole motivo.
Ma le cose cambiano, lo sapevamo, lo abbiamo sempre saputo, perchè meravigliarci ora?
E' sempre la solita storia, bisogna crescere, non ancorarsi alle cose, perchè nulla possediamo se non noi stessi, avere coraggio, saper dire addio è l'unico modo di essere uomini.
E non parlo della mia vita "in senso stretto", quella chissà, non ho ancora deciso cosa farò da grande, ma della vita che mi sta attorno, che è, ovviamente, in "senso largo" anche la mia, perchè la condiziona, la avvolge, la fa cambiare anche se lei vorrebbe alcune cose non cambiassero mai.
La vita si evolve, informazione nota e risaputa, ma è diverso quando il cambiamento lo tocchi con mano, lo subisci, quando lo sperimenti a tue spese e il conto ti sembra troppo alto.
Quando sono tornata dall'America, per quanto inizialmente sbigottita dall'essere nuovamente nel mio vecchio mondo, avevo la confidenza che, comunque, pian piano, tornando alla vita di prima, alle mie abitudini, ai soliti riti quotidiani, mi sarei ripresa da questo schock da reverse immigration.
Avevo le mie cose, la mia vita, che mentre io sperimentavo il "nuovo mondo" erano rimaste lì, sembrava ad aspettarmi.
Avevo la mia comunità di San Marcello, la mia squadra di calcio, la "mia" casa che mi avrebbe riaccolto.
E invece, quella che era la vita di prima sembra, per un crudele scherzo del destino, iniziare a disgregarsi, a cambiare, a poco a poco, ma inesorabilmente.
Prima la casa: sono stata costretta a traslocare, ad andarmene da quella che consideravo la mia casa senza un ragionevole motivo, almeno dal mio punto di vista o forse qualsiasi motivo non sarebbe stato ragionevole, visto che, semplicemente, non volevo andar via.
Poi la mia squadra di calcio, dopo anni, hanno cambiato il campo, i giorni, gli orari, rendendomi impossibile partecipare agli allenamenti quest'anno. Dovrò dire "addio" alle mie piccole compagne, al mio allenatore, al mio sogno da bambina, che finalmente sembrava essere diventato realtà, a quelle due ore di spensieratezza, quando giocare con loro mi faceva dimenticare il resto, tutto il resto.
Hanno cambiato senza un ragionevole motivo, o forse, ancora, qualsiasi motivo non sarebbe stato ragionevole, visto che, semplicemente, non volevo dire addio.
E infine la mia comunità di San Marcello, ogni martedì c'era il rito del ritrovarsi, perché don L. sapeva "attirarci", come gente assetata che va ad una sorgente.
E poi c'erano gli altri gruppi, quello con cui facevamo piccoli ritiri, per ritrovarci, per isolarci dal rumore e sentire ciò che conta davvero.
Lui quest'anno va via, ed è inutile prendersi in giro, non è solo lui che andrà via, ma insieme a lui andranno via riti, incontri, modi di fare e di dire a cui non volevo dire addio, che ci sia o meno un ragionevole motivo.
E così capita che senza i soliti riti, uno per ogni giorno della settimana, ci sentiamo persi, non più al sicuro, soli in alto mare. Brucia, vogliamo tutto come era prima, non siamo disposti a dire addio, non senza un ragionevole motivo.
Ma le cose cambiano, lo sapevamo, lo abbiamo sempre saputo, perchè meravigliarci ora?
E' sempre la solita storia, bisogna crescere, non ancorarsi alle cose, perchè nulla possediamo se non noi stessi, avere coraggio, saper dire addio è l'unico modo di essere uomini.
martedì 12 agosto 2008
Troppo pigri o mancanza di tempo?
Quando ero negli USA mi capitava sempre di trovare le cose più strane nei supermarket, e ogni volta mi chiedevo: ma sarà perchè siamo sempre + pigri o perchè abbiamo sempre meno tempo?
Come gli hot dog riempiti qui di fianco, insomma non ci vuole poi molto a "comporli" comprando gli ingredienti separatamente, ma , probabilmente non si ha più il tempo (o la voglia) nemmeno per questo...
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martedì 15 luglio 2008
Amsterdam:last chapter
E così sono tornata ad Amsterdam, era la mia ultima sera in questa città dalla planimetria a forma di ragnatela, la prima che è riuscita ad ingannare il mio infallibile senso dell'orientamento. C'erano gli europei di calcio, giocava la germania e per strada non c'era quasi nessuno, tutti nei pub a guardare la partita sui maxi-schermi, perchè in Olanda gli europei sono un evento-calamita.
Allora ho deciso di unirmi al popolo dei tifosi, dei "mad for soccer". Ho scelto un pub che era giusto all'angolo del canale dove era il mio hotel, così da stare tranquilla per il ritorno.
Sono così entrata in un classico pub olandese, full of people, con un maxi-schermo esagerato rispetto alle dimensioni del pub, il quale sembrava essere stato "messo insieme alla ben-meglio": sedie diverse, poltrone, divani, tavoli tutti diversi e anche un camino; ma aveva, forse proprio per questo, un'atmosfera molto accogliente e familiare.
Ho trovato un tavolo, ma non c'erano sedie, ho chiesto in giro e subito un gruppo di amici mi ha passato una sedia, la cameriera, che credeva di conoscermi, mi ha chiesto cosa volessi ordinare ed era anche lei molto friendly, mi sembrava di essere stata lì centinaia di volte e invece era la mia prima e unica. E così con una bionda chiara ho visto la partita, non esaltante, ma in fondo non è che riuscissi a concentrarmi molto sulla partita, guardavo il canale fuori dal locale, illuminato e romantico, mi guardavo intorno, cercando di capire, di scrutare, di conoscere una cultura diversa attraverso i loro volti.
E poi, proprio mentre ero lì, immersa nei miei pensieri, due persone mi hanno chiesto di condividere il tavolo, uno era un uomo su una sedia a rotelle e l'altra era una ragazza dall'aria, guarda caso, molto friendly. Abbiamo iniziato a parlare, e c'è stata subito empatia, perchè l'uomo aveva vissuto per diverso tempo in Italia e conosceva un po' di italiano e ha iniziato a raccontarmi del suo passato italiano, del bar che aveva sul litorale romano, della ex-moglie, figlia di famosi industriali romani che avevano la mania di fargli regali costosi, tipo quella volta che gli hanno fatto trovare una Lamborghini sotto casa!
La ragazza non era olandese, veniva dal Sud-africa, ma aveva vissuto per diverso tempo in Olanda, e tornava da un periodo di otto anni in Kuwait, era un ingegnere.
E così hanno iniziato a raccontarmi delle loro vite, come fossimo amici da sempre, lei mi ha confessato che era unita a lui da una passione comune, le donne, e che in Kuwait era stata con una donna italiana per diverso tempo, una donna che, però, le aveva spezzato il cuore.
E io mi chiedevo se era proprio il mio essere italiana che li rendeva così aperti e vogliosi di raccontarsi, perchè erano italiane le persone più importanti della loro vita. E mentre parlavano delle loro vite in giro per il mondo, io pensavo di vivere in un sogno, si, a breve mi sarei svegliata e avrei capito che era tutto un sogno, non poteva essere vero, non potevo bere birra e chiacchierare con due perfetti sconosciuti, che sconosciuti non erano più, che mi raccontavano delle loro vite con la voglia di condividere con me non solo il presente, ma anche il passato ed, eventualmente, un pezzo di futuro, se, per caso, un giorno fossi tornata ad Amsterdam.
Tornando all'hotel e pensando al loro girovagare, in diversi continenti, mi sono chiesta quale fosse per loro "casa" e se poi, alla fine, si può essere felici, senza mai mettere radici, o se lo si è più o meno, o se non conta, perchè forse, alla fine, non è importante dove ci si ferma, ma con chi...
"Mi piace sentire la forza di un'ala che si apre, volare lontano, sentirmi rapace, capace di dirti "ti amo, aspettiamola insieme l'estate". " (L'Autostrada, Daniele Silvestri)
Allora ho deciso di unirmi al popolo dei tifosi, dei "mad for soccer". Ho scelto un pub che era giusto all'angolo del canale dove era il mio hotel, così da stare tranquilla per il ritorno.
Sono così entrata in un classico pub olandese, full of people, con un maxi-schermo esagerato rispetto alle dimensioni del pub, il quale sembrava essere stato "messo insieme alla ben-meglio": sedie diverse, poltrone, divani, tavoli tutti diversi e anche un camino; ma aveva, forse proprio per questo, un'atmosfera molto accogliente e familiare.
Ho trovato un tavolo, ma non c'erano sedie, ho chiesto in giro e subito un gruppo di amici mi ha passato una sedia, la cameriera, che credeva di conoscermi, mi ha chiesto cosa volessi ordinare ed era anche lei molto friendly, mi sembrava di essere stata lì centinaia di volte e invece era la mia prima e unica. E così con una bionda chiara ho visto la partita, non esaltante, ma in fondo non è che riuscissi a concentrarmi molto sulla partita, guardavo il canale fuori dal locale, illuminato e romantico, mi guardavo intorno, cercando di capire, di scrutare, di conoscere una cultura diversa attraverso i loro volti.
E poi, proprio mentre ero lì, immersa nei miei pensieri, due persone mi hanno chiesto di condividere il tavolo, uno era un uomo su una sedia a rotelle e l'altra era una ragazza dall'aria, guarda caso, molto friendly. Abbiamo iniziato a parlare, e c'è stata subito empatia, perchè l'uomo aveva vissuto per diverso tempo in Italia e conosceva un po' di italiano e ha iniziato a raccontarmi del suo passato italiano, del bar che aveva sul litorale romano, della ex-moglie, figlia di famosi industriali romani che avevano la mania di fargli regali costosi, tipo quella volta che gli hanno fatto trovare una Lamborghini sotto casa!
La ragazza non era olandese, veniva dal Sud-africa, ma aveva vissuto per diverso tempo in Olanda, e tornava da un periodo di otto anni in Kuwait, era un ingegnere.
E così hanno iniziato a raccontarmi delle loro vite, come fossimo amici da sempre, lei mi ha confessato che era unita a lui da una passione comune, le donne, e che in Kuwait era stata con una donna italiana per diverso tempo, una donna che, però, le aveva spezzato il cuore.
E io mi chiedevo se era proprio il mio essere italiana che li rendeva così aperti e vogliosi di raccontarsi, perchè erano italiane le persone più importanti della loro vita. E mentre parlavano delle loro vite in giro per il mondo, io pensavo di vivere in un sogno, si, a breve mi sarei svegliata e avrei capito che era tutto un sogno, non poteva essere vero, non potevo bere birra e chiacchierare con due perfetti sconosciuti, che sconosciuti non erano più, che mi raccontavano delle loro vite con la voglia di condividere con me non solo il presente, ma anche il passato ed, eventualmente, un pezzo di futuro, se, per caso, un giorno fossi tornata ad Amsterdam.
Tornando all'hotel e pensando al loro girovagare, in diversi continenti, mi sono chiesta quale fosse per loro "casa" e se poi, alla fine, si può essere felici, senza mai mettere radici, o se lo si è più o meno, o se non conta, perchè forse, alla fine, non è importante dove ci si ferma, ma con chi...
"Mi piace sentire la forza di un'ala che si apre, volare lontano, sentirmi rapace, capace di dirti "ti amo, aspettiamola insieme l'estate". " (L'Autostrada, Daniele Silvestri)
giovedì 10 luglio 2008
Piccola deviazione: Leida
Il giorno dopo era riservato alla visita di Leida, città olandese famosa per avere la più longeva università di olanda, ma forse molto di più perchè a maggio milioni di turisti la invadono per assistere all'esplosione multicolore dei tulipani in fiore.
Siamo andati in giro con la bicicletta, rigorosamente, come dei veri olandesi, be' Guus lo era, io cercavo di adattarmi: all'inizio non è stato facile abituarsi al freno a pedale, ma poi, mentre pedalavo allegra lungo i canali, pensavo che una città in cui tutti usano la bici è bellissima, ci si dimentica del traffico, dei clacson, dello smog e si ricomincia a respirare, a non sentire i rumori, ma i suoni.
Leida è una tranquilla città, dove alla domenica la gente si riversa nelle decine di bar che costeggiano i canali a sorseggiare una bibita al sole, che, con mia sorpresa, non aveva nulla da invidiare al nostro sole italiano, quindi non è poi vero che in Olanda piove sempre...o sono io che sono fortunata?
Abbiamo visitato un mulino a vento, uno dei simboli dell'Olanda insieme al tulipano, anche se non tutti sanno che entrambi questi simboli non sono olandesi "di nascita" e sono "importati", ma non si sa come e perchè sono diventati il simbolo della nazione arancione.
E' stato bellissimo arrampicarsi per le scalette di legno ripide e strette e scoprire i meccanismi interni, e poi affacciarsi al balcone da cui, sfidando il mio senso di vertigine, ho potuto toccare le pale del mulino, giganti!!!
A sera Guus mi ha accompagnato alla stazione, questa volta in due su una bici sola, traballanti, come in un film degli anni cinquanta. Ci siamo salutati con la promessa di ritrovarci in Italia la prossima volta, e il nostro non è stato un addio, solo un arrivederci, ad un giorno indefinito in un anno sconosciuto, ma prima o poi, se passi da queste parti...
Siamo andati in giro con la bicicletta, rigorosamente, come dei veri olandesi, be' Guus lo era, io cercavo di adattarmi: all'inizio non è stato facile abituarsi al freno a pedale, ma poi, mentre pedalavo allegra lungo i canali, pensavo che una città in cui tutti usano la bici è bellissima, ci si dimentica del traffico, dei clacson, dello smog e si ricomincia a respirare, a non sentire i rumori, ma i suoni.
Leida è una tranquilla città, dove alla domenica la gente si riversa nelle decine di bar che costeggiano i canali a sorseggiare una bibita al sole, che, con mia sorpresa, non aveva nulla da invidiare al nostro sole italiano, quindi non è poi vero che in Olanda piove sempre...o sono io che sono fortunata?
Abbiamo visitato un mulino a vento, uno dei simboli dell'Olanda insieme al tulipano, anche se non tutti sanno che entrambi questi simboli non sono olandesi "di nascita" e sono "importati", ma non si sa come e perchè sono diventati il simbolo della nazione arancione.
E' stato bellissimo arrampicarsi per le scalette di legno ripide e strette e scoprire i meccanismi interni, e poi affacciarsi al balcone da cui, sfidando il mio senso di vertigine, ho potuto toccare le pale del mulino, giganti!!!
A sera Guus mi ha accompagnato alla stazione, questa volta in due su una bici sola, traballanti, come in un film degli anni cinquanta. Ci siamo salutati con la promessa di ritrovarci in Italia la prossima volta, e il nostro non è stato un addio, solo un arrivederci, ad un giorno indefinito in un anno sconosciuto, ma prima o poi, se passi da queste parti...
lunedì 7 luglio 2008
Amsterdam: you can never tell...
Durante la mia settimana olandese sono passata a trovare Guus, mio former coinquilino ad Ann Arbor e compagno di avventura nei miei mesi americani. Il pensiero di rivederlo lì, nella sua terra, mi faceva pensare, mentre ero sull'aereo, che era strano rincontrarsi e che forse questa non sarebbe stata la prima volta, che mi sarebbe capitato ancora, d'ora in poi, di incontrare gli amici conosciuti ad AA in giro per il mondo. Noi, legati da un filo sottile, invisibile per la maggior parte del tempo, ma che diventa suddently chiaro e tangibile quando le strade della nostra vita si incrociano per caso, in maniera inaspettata, proprio come in questo momento.
Ero contenta, non che avessimo legato in maniera particolare, ma avevamo condiviso la stessa casa, lo stesso iniziale senso di spaesamento, la stessa gioia una volta trovato il nostro equilibrio in una nuova realtà, la stessa malinconia al momento di partire e voglia di tornare nel paese delle opportunità. Avevamo anche sopportato le stesse manie della nostra landlady, che, giusto per informazione, al momento è sparita, cellulare staccato, nessuno che ha notizie di lei da tempo e i cinesi che vivono ormai indisturbati nella sua (ma lo sarà ancora per molto?) casa.
E così è venuto a trovarmi ad Amsterdam, dove abbiamo trascorso una tranquilla giornata: al museo di Van Gogh mi ha aiutato a scegliere le stampe di alcuni dei dipinti, volevo (nel più classico dei modi) portare per sempre con me un pezzo di quel bellissimo museo. Poi abbiamo preso una birra insieme a piazza Rembrandt ed un caffè, rigorosamente olandese, lungo i canali.
E lì ho scoperto che non aveva mai visitato il quartiere a luci rosse, e che non condivideva molto lo stile di vita "apparente" di Amsterdam. Dico apparente perché gli olandesi sono persone molto liberali, che vivono e lasciano vivere, ma poi a loro della finta libertà cercata e trovata ad Amsterdam dai turisti non importa poi molto, forse perchè, poi, sanno che quella non è la vera libertà.
Alla fine della giornata siamo tornati in albergo e questo era inaspettatamente chiuso, non si poteva entrare perchè la ragazza della reception era impegnata: "walking the dog" la scritta sulla porta. E allora ci siamo seduti su una panchina lungo il canale e dopo poco si è avvicinata una signora, ci ha chiesto di condividere la panchina ed abbiamo subito scoperto che anche lei era una cliente dell'hotel che aspettata la receptionist. E' poi arrivato anche il marito e abbiamo così scoperto che erano una coppia di americani in vacanza per il 50esimo compleanno di lui. Lui aveva appena comprato dei sigari, ottimi, a quanto mi ha detto guus dopo, e ce li ha offerti, Guus ha accettato, io però ho declinato l'invito dicendo: "I do not know how to do that!" e allora la moglie mi ha offerto un bicchiere di vino dalla bottiglia di rosso che aveva con sè e lì non ho detto di no e allora l'americano mi ha detto: "you know how to do that!" e abbiamo riso tutti insieme, come fossimo compagni di sempre e invece eravamo solo compagni di attesa. Stiamo stati lì a parlare di tutto per almeno tre ore, di Bush, dell'America, dell'Europa, di Obama e ho scoperto che loro erano veri supporter, di quelli che fanno le telefonate e sono impegnati attivamente e si commuovono quando lo sentono parlare.
Erano curiosi, volevano sapere dell'Italia, dell'Olanda, delle nostre culture, avidi di conoscerci, di capire, di comprendere perchè è così diverso quello che è diverso da loro. Insomma, degli americani atipici. Quando ci siamo salutati quasi non avremmo voluto e ci siamo scambiati gli indirizzi email, perchè così, magari un giorno, ci saremmo rivisti, non si sa mai, se vi capita di passare dal Texas...
Ero contenta, non che avessimo legato in maniera particolare, ma avevamo condiviso la stessa casa, lo stesso iniziale senso di spaesamento, la stessa gioia una volta trovato il nostro equilibrio in una nuova realtà, la stessa malinconia al momento di partire e voglia di tornare nel paese delle opportunità. Avevamo anche sopportato le stesse manie della nostra landlady, che, giusto per informazione, al momento è sparita, cellulare staccato, nessuno che ha notizie di lei da tempo e i cinesi che vivono ormai indisturbati nella sua (ma lo sarà ancora per molto?) casa.
E così è venuto a trovarmi ad Amsterdam, dove abbiamo trascorso una tranquilla giornata: al museo di Van Gogh mi ha aiutato a scegliere le stampe di alcuni dei dipinti, volevo (nel più classico dei modi) portare per sempre con me un pezzo di quel bellissimo museo. Poi abbiamo preso una birra insieme a piazza Rembrandt ed un caffè, rigorosamente olandese, lungo i canali.
E lì ho scoperto che non aveva mai visitato il quartiere a luci rosse, e che non condivideva molto lo stile di vita "apparente" di Amsterdam. Dico apparente perché gli olandesi sono persone molto liberali, che vivono e lasciano vivere, ma poi a loro della finta libertà cercata e trovata ad Amsterdam dai turisti non importa poi molto, forse perchè, poi, sanno che quella non è la vera libertà.
Alla fine della giornata siamo tornati in albergo e questo era inaspettatamente chiuso, non si poteva entrare perchè la ragazza della reception era impegnata: "walking the dog" la scritta sulla porta. E allora ci siamo seduti su una panchina lungo il canale e dopo poco si è avvicinata una signora, ci ha chiesto di condividere la panchina ed abbiamo subito scoperto che anche lei era una cliente dell'hotel che aspettata la receptionist. E' poi arrivato anche il marito e abbiamo così scoperto che erano una coppia di americani in vacanza per il 50esimo compleanno di lui. Lui aveva appena comprato dei sigari, ottimi, a quanto mi ha detto guus dopo, e ce li ha offerti, Guus ha accettato, io però ho declinato l'invito dicendo: "I do not know how to do that!" e allora la moglie mi ha offerto un bicchiere di vino dalla bottiglia di rosso che aveva con sè e lì non ho detto di no e allora l'americano mi ha detto: "you know how to do that!" e abbiamo riso tutti insieme, come fossimo compagni di sempre e invece eravamo solo compagni di attesa. Stiamo stati lì a parlare di tutto per almeno tre ore, di Bush, dell'America, dell'Europa, di Obama e ho scoperto che loro erano veri supporter, di quelli che fanno le telefonate e sono impegnati attivamente e si commuovono quando lo sentono parlare.
Erano curiosi, volevano sapere dell'Italia, dell'Olanda, delle nostre culture, avidi di conoscerci, di capire, di comprendere perchè è così diverso quello che è diverso da loro. Insomma, degli americani atipici. Quando ci siamo salutati quasi non avremmo voluto e ci siamo scambiati gli indirizzi email, perchè così, magari un giorno, ci saremmo rivisti, non si sa mai, se vi capita di passare dal Texas...
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martedì 10 giugno 2008
Amsterdam: the red-light district
Amsterdam.
Città dei falsi miti, città degli olandesi che non sono mai andati nel quartiere a luci rosse o che perlomeno lo evitano con attenzione, così come evitano tutto il centro. Perchè il centro non è loro, non più, e forse non lo rimpiangono neanche, perchè, con le loro biciclette, spericolati, dal centro fuggono più veloce che possono, e si rifugiano negli old brown caffè, che hanno la panchina fuori per sorseggiare la birra guardando il canale e il maxischermo dentro per guardare la partita, e lo schermo è sempre maxi, anche quando il locale è piccolo.
E così ho scoperto amsterdam, amsterdam come pochi la conoscono, come pochi hanno la voglia di scoprirla, forse annebbiati dal fumo, forse perchè pensano che sia semplicemente tutta lì, nel piccolo centro medievale traboccante di negozi di souvenir, fast food e negozi di abbigliamento, sempre gli stessi, quelli che oramai si trovano in ogni città.
Il centro traboccante di turisti inglesi, ma anche di tanti italiani, che girano con gli occhi gonfi e si fermano ad un coffeshop prima di andare a fare un giro nel quartiere più visitato di amsterdam: il quartiere a luci rosse.
Il quartiere a luci rosse, interessante esperimento antropologico: ragazzi, magari al loro primo viaggio, intimiditi da tanto sfoggio, si aggirano sperando (inutilmente) di rimediare uno sconto, perchè poi, non è che costi poco. Coppie di mezza età che lo visitano, come fosse uno dei tanti quartieri di amsterdam, una variante del van gogh museum, tenendosi la mano o sorseggiando una coca cola, un po' annoiati, un po' incuriositi, un po' "ma è tutto qui?".
Uomini in abito scuro che invitano ad entrare nei teatri dove si svolgono gli spettacoli dal vivo, quasi fossero dei veri teatri.
Sexy shop squallidi e con sale per vedere i filmati dal vivo prima di acquistarli.
E poi ci sono io, che un po', si, sono imbarazzata e all'inizio quasi impaurita di andarci, ma poi, camminando per quella che è la parte più brutta di amsterdam, il centro appunto, mi ritrovo, out of the blue, in una strada con donne in bikini in vetrine illuminate da luci rosse; ma il mio timore si trasforma in stupore quando vedo che c'è un sacco di gente che cammina tranquilla, e se non sono imbarazzate le signore di 50 anni che vi passeggiano con i loro mariti, perchè dovrei esserlo io?
E così mi soffermo sugli sguardi tristi e annoiati delle donne in vetrina e quasi non riesco a guardarle, perchè mi sembra di metterle in imbarazzo guardandole, perchè se ci sono quelle spudorate e audaci, ci sono anche quelle che sembra abbiano quasi timore a mostrarsi, e penso "forse sono qui da poco?" e quelle che al mio sguardo abbassano lo sguardo, e quindi io cerco di guardare il meno possibile o far finta di niente. Alcune mi sembrano piccole, hanno tratti somatici diversi e probabilmente storie diverse alle spalle, ma la loro vita qui non conta, perchè alle loro spalle c'è solo la stanza dove consumare il solito rito ogni sera, e allora vado via, amsterdam è altrove, come ho avuto la fortuna di scoprire e la caparbia di cercare.
Città dei falsi miti, città degli olandesi che non sono mai andati nel quartiere a luci rosse o che perlomeno lo evitano con attenzione, così come evitano tutto il centro. Perchè il centro non è loro, non più, e forse non lo rimpiangono neanche, perchè, con le loro biciclette, spericolati, dal centro fuggono più veloce che possono, e si rifugiano negli old brown caffè, che hanno la panchina fuori per sorseggiare la birra guardando il canale e il maxischermo dentro per guardare la partita, e lo schermo è sempre maxi, anche quando il locale è piccolo.
E così ho scoperto amsterdam, amsterdam come pochi la conoscono, come pochi hanno la voglia di scoprirla, forse annebbiati dal fumo, forse perchè pensano che sia semplicemente tutta lì, nel piccolo centro medievale traboccante di negozi di souvenir, fast food e negozi di abbigliamento, sempre gli stessi, quelli che oramai si trovano in ogni città.
Il centro traboccante di turisti inglesi, ma anche di tanti italiani, che girano con gli occhi gonfi e si fermano ad un coffeshop prima di andare a fare un giro nel quartiere più visitato di amsterdam: il quartiere a luci rosse.
Il quartiere a luci rosse, interessante esperimento antropologico: ragazzi, magari al loro primo viaggio, intimiditi da tanto sfoggio, si aggirano sperando (inutilmente) di rimediare uno sconto, perchè poi, non è che costi poco. Coppie di mezza età che lo visitano, come fosse uno dei tanti quartieri di amsterdam, una variante del van gogh museum, tenendosi la mano o sorseggiando una coca cola, un po' annoiati, un po' incuriositi, un po' "ma è tutto qui?".
Uomini in abito scuro che invitano ad entrare nei teatri dove si svolgono gli spettacoli dal vivo, quasi fossero dei veri teatri.
Sexy shop squallidi e con sale per vedere i filmati dal vivo prima di acquistarli.
E poi ci sono io, che un po', si, sono imbarazzata e all'inizio quasi impaurita di andarci, ma poi, camminando per quella che è la parte più brutta di amsterdam, il centro appunto, mi ritrovo, out of the blue, in una strada con donne in bikini in vetrine illuminate da luci rosse; ma il mio timore si trasforma in stupore quando vedo che c'è un sacco di gente che cammina tranquilla, e se non sono imbarazzate le signore di 50 anni che vi passeggiano con i loro mariti, perchè dovrei esserlo io?
E così mi soffermo sugli sguardi tristi e annoiati delle donne in vetrina e quasi non riesco a guardarle, perchè mi sembra di metterle in imbarazzo guardandole, perchè se ci sono quelle spudorate e audaci, ci sono anche quelle che sembra abbiano quasi timore a mostrarsi, e penso "forse sono qui da poco?" e quelle che al mio sguardo abbassano lo sguardo, e quindi io cerco di guardare il meno possibile o far finta di niente. Alcune mi sembrano piccole, hanno tratti somatici diversi e probabilmente storie diverse alle spalle, ma la loro vita qui non conta, perchè alle loro spalle c'è solo la stanza dove consumare il solito rito ogni sera, e allora vado via, amsterdam è altrove, come ho avuto la fortuna di scoprire e la caparbia di cercare.
giovedì 5 giugno 2008
...con la mia pink bag
Oggi sono particolarmente felice. E mi sono accorta che è passato troppo tempo, troppo tempo dal mio ultimo post. L'ho pensato mentre me ne andavo fiera per l'aeroporto di malpensa, felice e con la mia inseparabile pink bag che attira sempre gli sguardi curiosi, talvolta i sorrisi, dei compagni viaggiatori.
L'unico neo di questa giornata è che non potrò sfoggiare in Italia la mia maglietta "Obama 08" che con fierezza ho portato con me dagli Stati Uniti e che riservavo per questa occasione. Sono così contenta ed è difficile spiegare, ma questo, magari, sarà un altro post.
E' tanto che non scrivo, nel frattempo ho scritto la mia tesi di dottorato, sono in attesa di fare l'esame, ho cercato di recuperare le abitudini consuete della mia vita italiana, cercato di non pensare alla nostalgia per i miei amici ad ann arbor, ripreso a giocare a calcio, andata a Lisbona per una conferenza.
Ora Lisbona meriterebbe un post a parte, ma, informazione importante, è lì che ho conosciuto un giovane scienziato che mi ha invitato a partecipare ad un workshop ad amsterdam, e questo è il motivo per cui mi trovo a malpensa: sto partendo alla volta della nazione arancione, della città dei tulipani.
In questo periodo queste brevi fughe mi danno ossigeno, mi aiutano a non pensare e a pensare di essere sempre un po' in vacanza e di non essere tornata alla mia vita normale, dove non c'è ogni giorno una sorpresa e non sperimento miriade di occasioni diverse, che sono state fonte inesauribile d'ispirazione per i miei post nei mesi scorsi.
Ma oggi sono felice, mi sento fortunata e non vedo l'ora di approdare in quel di amsterdam, e tutto sembra andare bene, Barack correrà per la Casa Bianca (c'è speranza!!!), io passeggerò lungo i canali, con la mia sciarpa arcobaleno e con la mia, inseparabile, pink bag.
L'unico neo di questa giornata è che non potrò sfoggiare in Italia la mia maglietta "Obama 08" che con fierezza ho portato con me dagli Stati Uniti e che riservavo per questa occasione. Sono così contenta ed è difficile spiegare, ma questo, magari, sarà un altro post.
E' tanto che non scrivo, nel frattempo ho scritto la mia tesi di dottorato, sono in attesa di fare l'esame, ho cercato di recuperare le abitudini consuete della mia vita italiana, cercato di non pensare alla nostalgia per i miei amici ad ann arbor, ripreso a giocare a calcio, andata a Lisbona per una conferenza.
Ora Lisbona meriterebbe un post a parte, ma, informazione importante, è lì che ho conosciuto un giovane scienziato che mi ha invitato a partecipare ad un workshop ad amsterdam, e questo è il motivo per cui mi trovo a malpensa: sto partendo alla volta della nazione arancione, della città dei tulipani.
In questo periodo queste brevi fughe mi danno ossigeno, mi aiutano a non pensare e a pensare di essere sempre un po' in vacanza e di non essere tornata alla mia vita normale, dove non c'è ogni giorno una sorpresa e non sperimento miriade di occasioni diverse, che sono state fonte inesauribile d'ispirazione per i miei post nei mesi scorsi.
Ma oggi sono felice, mi sento fortunata e non vedo l'ora di approdare in quel di amsterdam, e tutto sembra andare bene, Barack correrà per la Casa Bianca (c'è speranza!!!), io passeggerò lungo i canali, con la mia sciarpa arcobaleno e con la mia, inseparabile, pink bag.
sabato 3 maggio 2008
Reverse-immigration Cultural Shock
Dov'ero? Dove sono? Sono in Italia, e questa è la più facile delle risposte, le altre non le ho o non le ho ancora trovate. Sono in Italia, da 15 giorni, alle prese con il cultural schock da reverse immigration, a capire che cosa si può definire casa e se sono finalmente at home. I primi giorni sono stati brucianti. Bruciava forte nel cuore la nostalgia, la malinconia, la voglia di tornare, la tristezza di sapere che un capitolo si era chiuso per sempre. E non riuscivo a guardare avanti, mi sentivo estranea nei miei luoghi, che solo sette mesi prima erano stati miei, non riuscivo a sentirmi a casa. Alla mattina non sopportavo ( e non sopporto ancora) il traffico estenuante e la gente che suona appena scatta il verde e le macchine che ti tagliano la strada da destra, da sinistra, da sopra e da sotto e guidare è un percorso di guerra, più che un percorso e basta. Non riesco più a considerare normali le inefficienze croniche di questa italia martoriata, che mi sembra sempre più allo sbando.
Questa italia che tira a campare, e gli italiani che sono ormai convinti che è così che deve andare e non può essere altrimenti.
E nessuno si scandalizza più e nessuno neanche protesta più, perchè è normale che sia così, ma non è normale che sia così se vogliamo definirci un paese civile e, purtroppo, non lo siamo più e chi sa se lo siamo mai stati.
Non riesco a sopportare di non trovare il sapone nei bagni dell'università, che gli ambienti non siano perfettamente puliti o che le segretarie, quando fanno il loro lavoro, sembra ti stiano facendo un favore, anzichè il loro dovere.
E' dura aver vissuto per tanto tempo in un mondo dove tutto funzionava ed era un mondo dove tutto era come doveva essere ed andava come doveva andare e poi tornare nel mondo come non dovrebbe essere e niente va come dovrebbe andare.
Il sogno americano, ora so che cos'è e so anche che non è un sogno.
E poi mi manca tutto della mia vita ad Ann Arbor, anche la neve. Mi manca andare nei coffee shop a fare finta di lavorare, seria, ma non troppo; mi mancano i grandi spazi aperti, la natura fuori dalla porta di casa, anzichè in un parco circondato dal traffico. Mi manca uscire di casa e iniziare a correre tra le case di Ann Arbor, insieme ad un altro manipolo di "i-pod guys", che ti fanno amare questo sport, e ti fanno sentire quasi in colpa se non lo corri anche tu. Mi mancano i miei amici, mi chiedo come stiano andando avanti le loro esistenze senza me, come la vita va avanti ad Ann Arbor ora che è primavera, e un giorno c'è il sole e il giorno dopo di nuovo la neve. Al supermercato mi dimentico di mettere la roba nelle buste, perchè al supermercato americano non lo facevo mai, vado in giro con il thermos con dentro caffè americano, ma qualche volta mi accompagno ai miei amici qui, che adorano l'espresso. E per quanto il risultato possa essere un eccesso di caffeina, cerco di riabituarmi al mio vecchio ritmo di vita, senza abbandonare quello appena passato. E sono stati solo sette mesi, ma mi sembra una vita, e non so più se i miei amici qui sono quelli che erano o sono cambiati, ma di una cosa sono certa, io sono cambiata. E ne sono fiera, anche se il risultato è questo senso di disorientamento, che non mi da' stabilità e mi sento in equilibrio precario, come la pallina sulla cima del monte ed è una grande fatica restare in cima e non scivolare giù, sempre più giù. Devo trovare dei punti fermi, devo ritrovare le mie abitudini, devo ritrovare le persone che amo, devo ritrovare la mia vita, devo ritrovarmi. Devo capire dove sono, ma soprattutto dove voglio essere.
Questa italia che tira a campare, e gli italiani che sono ormai convinti che è così che deve andare e non può essere altrimenti.
E nessuno si scandalizza più e nessuno neanche protesta più, perchè è normale che sia così, ma non è normale che sia così se vogliamo definirci un paese civile e, purtroppo, non lo siamo più e chi sa se lo siamo mai stati.
Non riesco a sopportare di non trovare il sapone nei bagni dell'università, che gli ambienti non siano perfettamente puliti o che le segretarie, quando fanno il loro lavoro, sembra ti stiano facendo un favore, anzichè il loro dovere.
E' dura aver vissuto per tanto tempo in un mondo dove tutto funzionava ed era un mondo dove tutto era come doveva essere ed andava come doveva andare e poi tornare nel mondo come non dovrebbe essere e niente va come dovrebbe andare.
Il sogno americano, ora so che cos'è e so anche che non è un sogno.
E poi mi manca tutto della mia vita ad Ann Arbor, anche la neve. Mi manca andare nei coffee shop a fare finta di lavorare, seria, ma non troppo; mi mancano i grandi spazi aperti, la natura fuori dalla porta di casa, anzichè in un parco circondato dal traffico. Mi manca uscire di casa e iniziare a correre tra le case di Ann Arbor, insieme ad un altro manipolo di "i-pod guys", che ti fanno amare questo sport, e ti fanno sentire quasi in colpa se non lo corri anche tu. Mi mancano i miei amici, mi chiedo come stiano andando avanti le loro esistenze senza me, come la vita va avanti ad Ann Arbor ora che è primavera, e un giorno c'è il sole e il giorno dopo di nuovo la neve. Al supermercato mi dimentico di mettere la roba nelle buste, perchè al supermercato americano non lo facevo mai, vado in giro con il thermos con dentro caffè americano, ma qualche volta mi accompagno ai miei amici qui, che adorano l'espresso. E per quanto il risultato possa essere un eccesso di caffeina, cerco di riabituarmi al mio vecchio ritmo di vita, senza abbandonare quello appena passato. E sono stati solo sette mesi, ma mi sembra una vita, e non so più se i miei amici qui sono quelli che erano o sono cambiati, ma di una cosa sono certa, io sono cambiata. E ne sono fiera, anche se il risultato è questo senso di disorientamento, che non mi da' stabilità e mi sento in equilibrio precario, come la pallina sulla cima del monte ed è una grande fatica restare in cima e non scivolare giù, sempre più giù. Devo trovare dei punti fermi, devo ritrovare le mie abitudini, devo ritrovare le persone che amo, devo ritrovare la mia vita, devo ritrovarmi. Devo capire dove sono, ma soprattutto dove voglio essere.
sabato 12 aprile 2008
La finestra
C'era qualcosa di diverso nell'aria, stamattina, l'ho notato subito. Il sole splendeva di più, una luce diversa, una luce che riscalda.
E poi quell'odore, l'odore dell'erba, dell'erba quando è primavera.
Ecco, era questo, è primavera, finalmente. Gli uccelli cinguettano entusiasti per il suo arrivo, noi festeggiamo in diversi modi. Gli annarboresi sono più che entusiasti del suo arrivo e dopo mesi di letargo, e freddo e neve e buio, sono impazziti dalla gioia e io con loro. Sono tutti a studiare nei parchi (e qui c'è solo l'imbarazzo della scelta) o a dormire sotto il sole caldo o a fare lezione all'aperto (giuro l'ho visto con i miei occhi), o a sorseggiare una lemonade seduti ai tavoli di un coffee shop, fingendo, quasi seri, di lavorare con il proprio laptop. Io sono con loro, seduta ad uno di questi tavolini, sorseggiando la mia lemonade e scrivendo per il blog, ovvero fingendo di lavorare! :)
Mentre venivo qua, camminando sotto il sole, mi sentivo estremamente serena ed in pace con tutto il creato.
Oggi è uno di quei giorni in cui mi sembra che nulla, proprio nulla, possa scalfire questa felicità estrema e pace nel cuore.
Nessuna bad review o 'piccolo flop' sul lavoro, niente, perchè tutto ciò mi sembra così distante da quello che è la vita vera e il motivo vero della mia felicità.
E non mi resta che cantare, come fanno i negramaro nelle mie cuffie oggi:
e non mi resta che allacciare un paio d'ali alla mia testa
e lasciare i dubbi tutti a una finestra
per quel paio d'ali fuori è ancora festa
perché non ho molto tempo
e non mi resta...
E poi quell'odore, l'odore dell'erba, dell'erba quando è primavera.
Ecco, era questo, è primavera, finalmente. Gli uccelli cinguettano entusiasti per il suo arrivo, noi festeggiamo in diversi modi. Gli annarboresi sono più che entusiasti del suo arrivo e dopo mesi di letargo, e freddo e neve e buio, sono impazziti dalla gioia e io con loro. Sono tutti a studiare nei parchi (e qui c'è solo l'imbarazzo della scelta) o a dormire sotto il sole caldo o a fare lezione all'aperto (giuro l'ho visto con i miei occhi), o a sorseggiare una lemonade seduti ai tavoli di un coffee shop, fingendo, quasi seri, di lavorare con il proprio laptop. Io sono con loro, seduta ad uno di questi tavolini, sorseggiando la mia lemonade e scrivendo per il blog, ovvero fingendo di lavorare! :)
Mentre venivo qua, camminando sotto il sole, mi sentivo estremamente serena ed in pace con tutto il creato.
Oggi è uno di quei giorni in cui mi sembra che nulla, proprio nulla, possa scalfire questa felicità estrema e pace nel cuore.
Nessuna bad review o 'piccolo flop' sul lavoro, niente, perchè tutto ciò mi sembra così distante da quello che è la vita vera e il motivo vero della mia felicità.
E non mi resta che cantare, come fanno i negramaro nelle mie cuffie oggi:
e non mi resta che allacciare un paio d'ali alla mia testa
e lasciare i dubbi tutti a una finestra
per quel paio d'ali fuori è ancora festa
perché non ho molto tempo
e non mi resta...
Going-away: my research group
Mercoledì a pranzo c'è stato quello che non posso proprio chiamare un party, ma, meglio, un 'Farewell Lunch' con i miei colleghi di lavoro e il mio advisor.
Io l'ho proposto e il mio advisor ha accettato entusiasta, dicendo che avrebbe scelto lui il ristorante. E ha scelto. Ha scelto un ristorante italiano. Io, all'inizio, ero un po' scettica, non amo mangiare italiano quando sono all'estero, perchè di solito non è italiano. O meglio, è un cibo italiano adattato ai gusti degli americani, quindi...non è italiano.
Il mio advisor però aveva una motivazione per questa scelta: voleva scoprire quanto italiano fosse questo ristorante e quale cosa migliore che usare me come cavia? :) Devo dire che alla fine il posto era molto carino ed elegante e che non era neanche tanto male, nessun cuoco indiano camuffato da italiano, anzi, lo chef era una donna originaria della Toscana! Un altro punto a favore era il fatto che non ci fossero errori nel menu, spesso, infatti, i fake-ristoranti italiani hanno errori di italiano nel menu, e questo diciamo che non dovrebbe rassicurare. E' inquietante quanto distorta sia l'idea del cibo italiano qui in america, e come vengano considerati italiani cibi che non lo sono affatto, tipo: il garlic bread, la caesar salad o l'italian dressing, che sarebbe un miscuglio non ben definito che "loro" usano per condire l'insalata. Più volte ho dovuto spiegare che noi nell'insalata ci mettiamo solo sale, olio, rigorosamente d'oliva, e aceto, a volte balsamico. Ma qui italiano è lasagna, spaghetti con meatball, pollo&salad with italian dressing, che orrore!
Almeno, io conosco la verità, magra consolazione!
Io l'ho proposto e il mio advisor ha accettato entusiasta, dicendo che avrebbe scelto lui il ristorante. E ha scelto. Ha scelto un ristorante italiano. Io, all'inizio, ero un po' scettica, non amo mangiare italiano quando sono all'estero, perchè di solito non è italiano. O meglio, è un cibo italiano adattato ai gusti degli americani, quindi...non è italiano.
Il mio advisor però aveva una motivazione per questa scelta: voleva scoprire quanto italiano fosse questo ristorante e quale cosa migliore che usare me come cavia? :) Devo dire che alla fine il posto era molto carino ed elegante e che non era neanche tanto male, nessun cuoco indiano camuffato da italiano, anzi, lo chef era una donna originaria della Toscana! Un altro punto a favore era il fatto che non ci fossero errori nel menu, spesso, infatti, i fake-ristoranti italiani hanno errori di italiano nel menu, e questo diciamo che non dovrebbe rassicurare. E' inquietante quanto distorta sia l'idea del cibo italiano qui in america, e come vengano considerati italiani cibi che non lo sono affatto, tipo: il garlic bread, la caesar salad o l'italian dressing, che sarebbe un miscuglio non ben definito che "loro" usano per condire l'insalata. Più volte ho dovuto spiegare che noi nell'insalata ci mettiamo solo sale, olio, rigorosamente d'oliva, e aceto, a volte balsamico. Ma qui italiano è lasagna, spaghetti con meatball, pollo&salad with italian dressing, che orrore!
Almeno, io conosco la verità, magra consolazione!
giovedì 10 aprile 2008
Going-away: SMSP
Il terzo dei miei going-away party è stato con gli amici della chiesa: SMSP sta per 'Saint Mary Student's Parish'. Di solito ci si vedeva ogni lunedì e dopo l'incontro si andava a prendere una birra insieme, conoscendosi un po' meglio.
La parrocchia di S.Mary è stata una delle belle esperienze di ann arbor, con la loro messa super cantata e la gioia di partecipare che traspariva dagli occhi di tutti.
Come good-bye gift ho ricevuto...una caterva di roba!
Ho ricevuto un ombrello giallo-blu, che sono i colori del michigan, un bicchiere celeste che diventa rosa quando lo riempi con acqua fresca (wow!), un segnalibro, un portachiavi, una spilla, un magnete con tutti gli orari delle messe (cosa utilissima ora che torno! ;) e infine, il regalo più bello: il thermos porta caffè!!! Non vedo l'ora di sfoggiare in italia questo tipico oggetto americano, e di portarmelo in giro, sorseggiando caffè americano al lavoro, disgustando tutti i miei colleghi espresso-addicted!
Ma la cosa più importante, che non vi ho ancora detto, è che tutti questi regali erano brandizzati SMSP!!! Tutti!!!
E così mi porterò un pezzo di SMSP in Italia, i miei amici saranno sempre con me tutte le volte che sorseggerò caffè americano, sotto la pioggia... :)
La parrocchia di S.Mary è stata una delle belle esperienze di ann arbor, con la loro messa super cantata e la gioia di partecipare che traspariva dagli occhi di tutti.
Come good-bye gift ho ricevuto...una caterva di roba!
Ho ricevuto un ombrello giallo-blu, che sono i colori del michigan, un bicchiere celeste che diventa rosa quando lo riempi con acqua fresca (wow!), un segnalibro, un portachiavi, una spilla, un magnete con tutti gli orari delle messe (cosa utilissima ora che torno! ;) e infine, il regalo più bello: il thermos porta caffè!!! Non vedo l'ora di sfoggiare in italia questo tipico oggetto americano, e di portarmelo in giro, sorseggiando caffè americano al lavoro, disgustando tutti i miei colleghi espresso-addicted!
Ma la cosa più importante, che non vi ho ancora detto, è che tutti questi regali erano brandizzati SMSP!!! Tutti!!!
E così mi porterò un pezzo di SMSP in Italia, i miei amici saranno sempre con me tutte le volte che sorseggerò caffè americano, sotto la pioggia... :)
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martedì 8 aprile 2008
Going-away: Gli Italiani
Il mio secondo "going-away" party è stato con tutti gli italiani in "esilio" qui ad ann arbor. :) E mi tocca precisare che non era per me, ma per tutti noi. Infatti, il gruppo di italiani non sarà più un gruppo tra un po', ognuno andrà per strade diverse, via da ann arbor, forse per sempre, forse no. C'è chi si trasferisce in un'altra città degli US, perchè ha trovato un lavoro migliore o perchè non ha più quello che aveva qua. Chi torna in Italia perchè qui non gli piace proprio, chi torna solo per qualche mese, con la speranza di tornare presto, fare un esame e avere un lavoro migliore. Chi resta, ma non si sa ancora per quanto. Ieri eravamo tutti lì, un pezzo di Italia e alcuni mi dicevano che, da bravi italiani all'estero, avevano già votato. Ho anche visto un santino elettorale, incredibile! Qua non esiste il lavoro che hai per tutta la vita, ma non esiste neanche la preoccupazione di avercelo un lavoro per tutta la vita! No matter what, qualcosa si trova, e se non qui, altrove, ma si trova e non vale la pena di preoccuparsi. E puoi accettare contratti di due anni, tanto la "precarietà" è retribuita, nel senso che ti pagano di più, perchè sanno che poi potrai essere per qualche mese (due o tre) disoccupato prima di trovare la tua prossima strada.
E così è successo che le nostre strade si sono incrociate e ci siamo ritrovati a ridere e scherzare, mangiando italiano, parlando italiano, being italian. Per la cronaca, io ho portato un tiramisù e questa volta è venuto bene! :)
Alla fine ci siamo salutati, non pensando che forse quelle strade che si erano incrociate, tutte qui, tutte ad ann arbor, probabilmente non lo avrebbero fatto ancora, ma questo non conta, ci ritroveremo tutti in Italia, un giorno...
E così è successo che le nostre strade si sono incrociate e ci siamo ritrovati a ridere e scherzare, mangiando italiano, parlando italiano, being italian. Per la cronaca, io ho portato un tiramisù e questa volta è venuto bene! :)
Alla fine ci siamo salutati, non pensando che forse quelle strade che si erano incrociate, tutte qui, tutte ad ann arbor, probabilmente non lo avrebbero fatto ancora, ma questo non conta, ci ritroveremo tutti in Italia, un giorno...
lunedì 7 aprile 2008
Going-away party: i roomate (Scambio culturale II)
E così ho iniziato la serie delle mie cene di addio, altresì dette 'going-away party'. Venerdì sera è toccato ai miei roomate, abbiamo mangiato orecchiette, bevuto primitivo di manduria e chiuso il pranzo con un panettone, che è stato più che apprezzato dai miei sorpresi roomate, che lo hanno ribattezzato "giant muffin".
Nel dopo cena eravamo un po' annoiati, quando mi è venuta in mente un'idea più che brillante, eh la modestia non è il mio forte, ma concorderete con me, vedrete!
Ho deciso di condividere con loro un pezzo di cultura italiana e ho insegnato loro a giocare a scopa!!!
Ora, non avendo le carte napoletane, ho dovuto adattare quelle da pocker, il ruolo dei denari lo hanno avuto le carte di cuori, e quindi il sette di cuori era il settebello e così via. Dopo un giro per familiarizzare con il gioco, abbiamo iniziato a fare sul serio. Però li ho anche detto che per giocare sul serio dovevano essere drammatici, ogni volta che avevano l'occasione per una scopa, dovevano sbattere la carta sul tavolo e gridare: SCOPA! Naturalmente non ci ho messo molto per convincerli, e dopo un po' ci siamo ritrovati a giocare con 'molto entusiasmo', io divertita, loro totalmente presi, come very nice kids!
Alla fine, dopo un intero turno a 21 e rivincita, mi hanno chiesto cosa poi significasse scopa e io gli ho detto 'broom' smorzando totalmente il loro entusiasmo, ma va bene così, un altro pezzo di Italia è qui negli States!
Nel dopo cena eravamo un po' annoiati, quando mi è venuta in mente un'idea più che brillante, eh la modestia non è il mio forte, ma concorderete con me, vedrete!
Ho deciso di condividere con loro un pezzo di cultura italiana e ho insegnato loro a giocare a scopa!!!
Ora, non avendo le carte napoletane, ho dovuto adattare quelle da pocker, il ruolo dei denari lo hanno avuto le carte di cuori, e quindi il sette di cuori era il settebello e così via. Dopo un giro per familiarizzare con il gioco, abbiamo iniziato a fare sul serio. Però li ho anche detto che per giocare sul serio dovevano essere drammatici, ogni volta che avevano l'occasione per una scopa, dovevano sbattere la carta sul tavolo e gridare: SCOPA! Naturalmente non ci ho messo molto per convincerli, e dopo un po' ci siamo ritrovati a giocare con 'molto entusiasmo', io divertita, loro totalmente presi, come very nice kids!
Alla fine, dopo un intero turno a 21 e rivincita, mi hanno chiesto cosa poi significasse scopa e io gli ho detto 'broom' smorzando totalmente il loro entusiasmo, ma va bene così, un altro pezzo di Italia è qui negli States!
lunedì 31 marzo 2008
The Show Must Go On
Oggi lo scoiattolo sul tetto di fronte è abbastanza irrequieto, più o meno come me...chissà cosa ha? Continua ad andare su e giù per il tetto come un pazzo e mi chiedo cosa avrà tanto da correre su e giù...
Scrivo mentre ascolto quella che credo sia una delle più belle (e orecchiabili) canzoni del momento: Love Song di Sara Bareilles. Eh si, proprio la classica canzone "colonna sonora" che continua a ronzarti nelle orecchie anche quando sei a lezione o fai ricerca o ti lasci dondolare sul bus.
Eppure l'inizio della canzone è abbastanza inquietante: Head under water / And they tell me to breathe easy for a while / The breathing gets harder... è strano ma è esattamente come mi sento in questo momento.
A volte non riesco a respirare, e vorrei fermare il tempo, ma il tempo scorre troppo veloce e non riesci ad afferrarlo, a fermarlo, semplicemente non puoi. E mentre la vita va, tranquilla, per la gente di ann arbor, per me, ogni istante, ogni secondo, è prezioso e irripetibile. Oggi sono andata per il brunch in uno dei miei posti preferiti qui ad ann arbor, senza dubbio il mio preferito per quanto riguarda il delizioso/disgustoso (dipende dai punti di vista) mix che è il brunch! Non voglio pensare che questa è l'ultima volta, anche se probabilmente lo è, non ci voglio pensare perchè altrimenti divento triste, perchè ogni singola mia azione finisce per riempirsi inevitabilmente di malinconia!
Perchè ogni singola azione si carica di un significato enorme ed un peso difficile da sopportare.
Oggi c'è il sole, sembra primavera, e dico sembra perchè, a guardare bene, sono solo 4 gradi, ma rispetto alla neve di venerdì...è primavera. E' un trucco, vedi il sole e pensi che sia caldo là fuori ed invece è freddo.
Non voglio tornare, devo ammetterlo candidamente, forse ammetterlo mi aiuta ad accettarlo. E non è che non mi manca la mia terra e tutti gli annessi e connessi, le persone che mi aspettano, ma non è facile sapere di dover lasciare per sempre una parte di me, la mia vita qua.
Anche se dovessi tornare qua, solo la prossima estate, metà delle persone che ho conosciuto non ci saranno più, andate in altre città, per lavoro o per studio, questo pezzo di vita non tornerà più, non tutto insieme, non più così. E non voglio essere triste o malinconica, è la vita che va, the show must go on, grow up, necessario ed inevitabile. E' la vita che non permette di fermarci, che cambia scenario e ci toglie dopo averci dato tanto, e a volte ci da' più del dovuto e non sempre sappiamo ringraziare, un po' greedy, un po' disattenti.
Meno due settimane, 14 giorni, e la vita che va troppo in fretta, wake up, get up, grow up!
Scrivo mentre ascolto quella che credo sia una delle più belle (e orecchiabili) canzoni del momento: Love Song di Sara Bareilles. Eh si, proprio la classica canzone "colonna sonora" che continua a ronzarti nelle orecchie anche quando sei a lezione o fai ricerca o ti lasci dondolare sul bus.
Eppure l'inizio della canzone è abbastanza inquietante: Head under water / And they tell me to breathe easy for a while / The breathing gets harder... è strano ma è esattamente come mi sento in questo momento.
A volte non riesco a respirare, e vorrei fermare il tempo, ma il tempo scorre troppo veloce e non riesci ad afferrarlo, a fermarlo, semplicemente non puoi. E mentre la vita va, tranquilla, per la gente di ann arbor, per me, ogni istante, ogni secondo, è prezioso e irripetibile. Oggi sono andata per il brunch in uno dei miei posti preferiti qui ad ann arbor, senza dubbio il mio preferito per quanto riguarda il delizioso/disgustoso (dipende dai punti di vista) mix che è il brunch! Non voglio pensare che questa è l'ultima volta, anche se probabilmente lo è, non ci voglio pensare perchè altrimenti divento triste, perchè ogni singola mia azione finisce per riempirsi inevitabilmente di malinconia!
Perchè ogni singola azione si carica di un significato enorme ed un peso difficile da sopportare.
Oggi c'è il sole, sembra primavera, e dico sembra perchè, a guardare bene, sono solo 4 gradi, ma rispetto alla neve di venerdì...è primavera. E' un trucco, vedi il sole e pensi che sia caldo là fuori ed invece è freddo.
Non voglio tornare, devo ammetterlo candidamente, forse ammetterlo mi aiuta ad accettarlo. E non è che non mi manca la mia terra e tutti gli annessi e connessi, le persone che mi aspettano, ma non è facile sapere di dover lasciare per sempre una parte di me, la mia vita qua.
Anche se dovessi tornare qua, solo la prossima estate, metà delle persone che ho conosciuto non ci saranno più, andate in altre città, per lavoro o per studio, questo pezzo di vita non tornerà più, non tutto insieme, non più così. E non voglio essere triste o malinconica, è la vita che va, the show must go on, grow up, necessario ed inevitabile. E' la vita che non permette di fermarci, che cambia scenario e ci toglie dopo averci dato tanto, e a volte ci da' più del dovuto e non sempre sappiamo ringraziare, un po' greedy, un po' disattenti.
Meno due settimane, 14 giorni, e la vita che va troppo in fretta, wake up, get up, grow up!
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giovedì 27 marzo 2008
La Bicicletta
Premetto che non voglio convincervi (nè argomentare) della completa onestà degli americani, nè della completa disonestà degli italiani e che il post che sto per scrivere non ha velleità di avere validità universale e probabilmente vale solo nella piccola e ristretta cerchia di Ann Arbor, ma nonostante questo voglio raccontare!
La bicicletta.
Eh si, quando mi sono trasferita nella mia nuova abitazione ho subito notato che sotto al porch riposava una bicicletta gialla da corsa, non nuovissima, ma che sembrava poter fare ancora bene il suo mestiere.
Con il tempo mi sono abituata a vederla lì davanti, non usata, forse per il troppo freddo e la neve, in momentaneo riposo, in attesa dell'estate.
Un giorno però ho notato una cosa sconvolgente: ho notato che non era "assicurata" a nessun cancello o palo o qualsivoglia oggetto stabile e piantato in terra. L'unica assicurazione era, ed è, una catena che lega il telaio alla ruota! :-O
Cioè, questa bicicletta giace da mesi davanti alla porta di casa, non assicurata a niente. Sulle prime non ci ho creduto e mi sono attardata ad ispezionare il terreno circostante, la bicicletta stessa, magari ruote sgonfie, qualche pezzo mancante...no, niente di tutto questo, tutto era semplicemente al suo posto!
Ora la domanda nasce spontanea, almeno per me, non so a voi, quanto una bicicletta così assicurata avrebbe potuto vivere felice e tranquilla davanti alla porta della vostra casa?
Quanto tempo prima che qualche piccolo mariuolo ne venisse attratto e con mossa fulminea se ne impadronisse?
La mia risposta è 0.5 sec.
Magari il tempo potrebbe essere più lungo se la bici, invece che assicurata per mezzo del suo stesso telaio, fosse assicurata a qualcosa di ben piantato sul terreno, ma anche in quel caso...
E invece lei è lì, imperterrita, da mesi!!!
Ora non voglio ragionare sulle cause, non voglio dimostrare niente, magari è lì perchè nessuno se ne è accorto ancora, o perchè in america se qualcuno viola la tua proprietà privata puoi sparargli e sei nella ragione e non nel torto, o semplicemente Ann Arbor non è il Bronx, ma una tranquilla cittadina del mid-est! Non lo so, però mi faceva riflettere e ogni volta che torno a casa, e la vedo lì, fiera e gialla, penso che questo è proprio un bel posto dove vivere.
La bicicletta.
Eh si, quando mi sono trasferita nella mia nuova abitazione ho subito notato che sotto al porch riposava una bicicletta gialla da corsa, non nuovissima, ma che sembrava poter fare ancora bene il suo mestiere.
Con il tempo mi sono abituata a vederla lì davanti, non usata, forse per il troppo freddo e la neve, in momentaneo riposo, in attesa dell'estate.
Un giorno però ho notato una cosa sconvolgente: ho notato che non era "assicurata" a nessun cancello o palo o qualsivoglia oggetto stabile e piantato in terra. L'unica assicurazione era, ed è, una catena che lega il telaio alla ruota! :-O
Cioè, questa bicicletta giace da mesi davanti alla porta di casa, non assicurata a niente. Sulle prime non ci ho creduto e mi sono attardata ad ispezionare il terreno circostante, la bicicletta stessa, magari ruote sgonfie, qualche pezzo mancante...no, niente di tutto questo, tutto era semplicemente al suo posto!
Ora la domanda nasce spontanea, almeno per me, non so a voi, quanto una bicicletta così assicurata avrebbe potuto vivere felice e tranquilla davanti alla porta della vostra casa?
Quanto tempo prima che qualche piccolo mariuolo ne venisse attratto e con mossa fulminea se ne impadronisse?
La mia risposta è 0.5 sec.
Magari il tempo potrebbe essere più lungo se la bici, invece che assicurata per mezzo del suo stesso telaio, fosse assicurata a qualcosa di ben piantato sul terreno, ma anche in quel caso...
E invece lei è lì, imperterrita, da mesi!!!
Ora non voglio ragionare sulle cause, non voglio dimostrare niente, magari è lì perchè nessuno se ne è accorto ancora, o perchè in america se qualcuno viola la tua proprietà privata puoi sparargli e sei nella ragione e non nel torto, o semplicemente Ann Arbor non è il Bronx, ma una tranquilla cittadina del mid-est! Non lo so, però mi faceva riflettere e ogni volta che torno a casa, e la vedo lì, fiera e gialla, penso che questo è proprio un bel posto dove vivere.
domenica 23 marzo 2008
Insomnia Cookie
Ieri notte, dopo la veglia di Pasqua, mi sono attardata sotto casa con Claudia a parlare.
Tra parentesi, la veglia di Pasqua qui è stata praticamente un musical, intervallato da pezzi di messa. C'era un coro di 50 elementi, accompagnato da piano, tastiera elettrica, chitarra classica, chitarra elettrica, basso, batteria, bongo, flauto, tromba e chi più ne ha più ne metta. La messa è durata tre ore e mezza, ma era sostanzialmente uno spettacolo, con i salmi che erano accompagnati da musica reggae, jazz, o rock!!! :-O
Poi ci sono stati un sacco di battesimi e cresime di gente grande, che magari si convertiva al cristianesimo, insomma è stato bello, anche perchè, come al solito, è sempre bello sperimentare la differenza!
Ma torniamo all'argomento principe del post, che scoprirete a breve.
Ero attardata in macchina con Claudia a parlare, quando ho visto Aimee, Eric e Rob uscire di casa furtivi, alle due di notte!!
All'inizio mi sono preoccupata: che ci facevano svegli e soprattutto dove stavano andando alle due di notte?!?!
Ho subito pensato che fosse successo qualcosa, ma poi, stanca di fare congetture, ho sporto la testa fuori dal finestrino e ho chiesto.
E loro sono stati felicissimi di invitarmi a fare parte della loro missione segreta: gli insomnia cookie!
Scopo della missione era recarsi presso un camioncino, che è solito appostarsi due blocchi far dalla nostra casetta, in un posto di passaggio per studenti che tornano drunk e felici a casa il sabato sera.
Questo camioncino ha nome "Insomnia Cookie" e, naturalmente, vende Cookie!
Cookie di tutti i tipi: chocolate chip, peanut, peanut butter, almond...ma non solo Cookie, anche Brownie con sopra di tutto, tra cui l'inevitabile peanut butter!
Per la serie: voglio suicidarmi con 4500 calorie, una morte ad alto tasso di zuccheri!
Non ho saputo resistere e ho comprato anch'io il mio cookie double-chocolate: un cookie più scuro della notte e con cioccolato caldo e fuso al suo interno...mhmmm...delizioso! E si, perchè il bello è che i cookie sono freschi e caldi!
E mentre tornavo a casa, con la mano, al tempo stesso, gelata e riscaldata dal cookie, pensavo che poi, questa missione, non è poi tanto diversa dalla nostra "missione al cornettaro" del dopo mezzanotte o all'uscita dal cinema. E, insomma, ho pensato che, in fondo, non siamo poi così lontani! :)
Tra parentesi, la veglia di Pasqua qui è stata praticamente un musical, intervallato da pezzi di messa. C'era un coro di 50 elementi, accompagnato da piano, tastiera elettrica, chitarra classica, chitarra elettrica, basso, batteria, bongo, flauto, tromba e chi più ne ha più ne metta. La messa è durata tre ore e mezza, ma era sostanzialmente uno spettacolo, con i salmi che erano accompagnati da musica reggae, jazz, o rock!!! :-O
Poi ci sono stati un sacco di battesimi e cresime di gente grande, che magari si convertiva al cristianesimo, insomma è stato bello, anche perchè, come al solito, è sempre bello sperimentare la differenza!
Ma torniamo all'argomento principe del post, che scoprirete a breve.
Ero attardata in macchina con Claudia a parlare, quando ho visto Aimee, Eric e Rob uscire di casa furtivi, alle due di notte!!
All'inizio mi sono preoccupata: che ci facevano svegli e soprattutto dove stavano andando alle due di notte?!?!
Ho subito pensato che fosse successo qualcosa, ma poi, stanca di fare congetture, ho sporto la testa fuori dal finestrino e ho chiesto.
E loro sono stati felicissimi di invitarmi a fare parte della loro missione segreta: gli insomnia cookie!
Scopo della missione era recarsi presso un camioncino, che è solito appostarsi due blocchi far dalla nostra casetta, in un posto di passaggio per studenti che tornano drunk e felici a casa il sabato sera.
Questo camioncino ha nome "Insomnia Cookie" e, naturalmente, vende Cookie!
Cookie di tutti i tipi: chocolate chip, peanut, peanut butter, almond...ma non solo Cookie, anche Brownie con sopra di tutto, tra cui l'inevitabile peanut butter!
Per la serie: voglio suicidarmi con 4500 calorie, una morte ad alto tasso di zuccheri!
Non ho saputo resistere e ho comprato anch'io il mio cookie double-chocolate: un cookie più scuro della notte e con cioccolato caldo e fuso al suo interno...mhmmm...delizioso! E si, perchè il bello è che i cookie sono freschi e caldi!
E mentre tornavo a casa, con la mano, al tempo stesso, gelata e riscaldata dal cookie, pensavo che poi, questa missione, non è poi tanto diversa dalla nostra "missione al cornettaro" del dopo mezzanotte o all'uscita dal cinema. E, insomma, ho pensato che, in fondo, non siamo poi così lontani! :)
mercoledì 19 marzo 2008
Asciugacapelli...questo sconosciuto!
Quando si approda in un nuovo paese di solito si è molto attenti a notare ogni differenza e ogni similitudine con la terra natia. Poichè questo post ha l'intento di essere leggero vi parlerò di una cosa stupida, ma che continua a stupirmi...
Qui in America nessuno usa l'asciugacapelli.
Avrei dovuto averne sentore quando, da poco approdata in queste lande, ho sperimentato una difficoltà immensa nel trovarne uno, e quando finalmente l'ho trovato, era l'unico modello, e dico l'unico, in tutto l'ipermercato!
Le mie compagne di case non asciugano i capelli, ma, finita la doccia, si aggirano per la casa con questa chioma umida in testa, che, soprattutto ora che siamo in inverno, ci mette un po' per asciugarsi...con la sola forza del pensiero!
Ora, se questa può essere una cosa accettabile in primavera/estate/autunno, è assolutamente inaccettabile in inverno, con -10 gradi all'esterno!!! Ma vi dirò di più, con orrore ho assistito alla scena dei miei amici uscire di casa con i capelli ancora umidi e temperatura sotto lo zero!
Ora io mi chiedo, e vi chiedo, bisogna essere speciali? Immuni ai reumatismi? O avere qualche gene modificato? Io se non asciugo i capelli istantaneamente inizio a starnutire...e loro, invece, semplicemente non sembrano averne bisogno, mah...misteri della cultura dell'altro mondo!
Qui in America nessuno usa l'asciugacapelli.
Avrei dovuto averne sentore quando, da poco approdata in queste lande, ho sperimentato una difficoltà immensa nel trovarne uno, e quando finalmente l'ho trovato, era l'unico modello, e dico l'unico, in tutto l'ipermercato!
Le mie compagne di case non asciugano i capelli, ma, finita la doccia, si aggirano per la casa con questa chioma umida in testa, che, soprattutto ora che siamo in inverno, ci mette un po' per asciugarsi...con la sola forza del pensiero!
Ora, se questa può essere una cosa accettabile in primavera/estate/autunno, è assolutamente inaccettabile in inverno, con -10 gradi all'esterno!!! Ma vi dirò di più, con orrore ho assistito alla scena dei miei amici uscire di casa con i capelli ancora umidi e temperatura sotto lo zero!
Ora io mi chiedo, e vi chiedo, bisogna essere speciali? Immuni ai reumatismi? O avere qualche gene modificato? Io se non asciugo i capelli istantaneamente inizio a starnutire...e loro, invece, semplicemente non sembrano averne bisogno, mah...misteri della cultura dell'altro mondo!
sabato 8 marzo 2008
Ultimate!
In questo paese in cui lo sport è, al tempo stesso, una cosa seria, ma anche una cosa che nessuno prende troppo sul serio, esiste uno sport, che probabilmente sarà sconosciuto ai molti in Italia, come lo era per me prima di approdare qui, chiamato Ultimate frisbee!
Ora, io ho sempre considerato il Frisbee un oggetto un po' stupido, così come il lanciarselo back-and-forth sulla spiaggia, solo per fare un po' i fighi ed essere un po' come nel telefilm: baywatch, bagnini super cool!
Ma ho radicalmente cambiato idea quando ho scoperto l'Ultimate!
Le regole, in breve: 7 contro 7, 2 ragazze, 5 ragazzi, un frisbee, of course!
Campo lungo quanto quello da calcio, largo la metà, due touchdown zone come nel football, squadre che partono allineate dalle due parti opposte del campo, una, quella che difende, lancia il frisbee all'altra, che è in attacco.
Regole semplici, scopo del gioco: raccogliere il frisbee nella touchdown zone opposta rispetto a quella da dove si parte.
Anzi, errata corrige, scopo del gioco: divertirsi!
Chi ha il frisbee non può muoversi, solo lanciarlo, tempo max 10 secondi, mentre gli altri corrono come matti nel tentativo di smarcarsi dal proprio difensore!
Ok, è altamente energy-consuming, e quando gioco mi sembra di morire, correre, correre, correre...a volte mi sembra di smettere di respirare...e per questo ci sono le sostituzioni ogni 10-15 min e credetemi, non è mai abbastanza riposo!
Ma la cosa che rende speciale e diverso questo gioco è lo *spirito*, ovvero fair play elevato all'ennesima potenza.
Non solo il rispetto dell'avversario, ma anche il riconoscere l'altrui bravura, sono alla base di questo sport, per cui puoi ritrovarti ad applaudire la squadra avversaria per uno spettacolare touchdown o una instancabile difesa che ti ha tolto il punto all'ultimo momento, ma è stata troppo bella per non riconoscerlo con un applauso o un "uao!". E quando dico applaudire, dico sul serio, non in modo formale, sul serio sei contento di applaudire l'avversario e riconoscere la sua bravura!
Non c'è arbitro, quelle rare volte che un giocatore infrange una regola, tipo i passi, è il giocatore stesso a chiamare il fallo.
Se non sei troppo bravo ed esperto, vedi me per esempio, gli avversari cercano di renderti la vita facile e non pressarti troppo, così che anche tu puoi giocare e divertirti.
Alla fine del gioco tutti si stringono le mani e solitamente ogni squadra compone un filastrocca o un incitamento per la squadra avversaria. Alla fine del gioco, ed è veramente un gioco, vinto o perso non conta, si va tutti a bere una birra insieme al bar!
All'inizio io ero proprio scarsa, e non riuscivo neanche a raccogliere il frisbee quando me lo lanciavano; non pensate sia così facile, a volte sono dei veri missili terra-aria che ti segano la mano o le dita se non ci stai attento...
Ma i miei compagni di squadra non sono mai stati upset con me per questo, e hanno continuato a lanciarmi il frisbee anche se continuavo a sbagliare, e non mi hanno mai rimproverato, nè mai sono sembrati delusi da un mancato catch, mai.
E così è stato che, piano piano, anche grazie al loro aiuto, sono diventata ogni game sempre un po' più brava, sempre più confident, sempre più ultimate! E stare in campo e vedere come si ride e si scherza con l'avversario, come se si fosse amici da sempre, è indescrivibilmente nuovo e bello!
E' lo sport come dovrebbe essere, un gioco, è l'Ultimate!
Ora, io ho sempre considerato il Frisbee un oggetto un po' stupido, così come il lanciarselo back-and-forth sulla spiaggia, solo per fare un po' i fighi ed essere un po' come nel telefilm: baywatch, bagnini super cool!
Ma ho radicalmente cambiato idea quando ho scoperto l'Ultimate!
Le regole, in breve: 7 contro 7, 2 ragazze, 5 ragazzi, un frisbee, of course!
Campo lungo quanto quello da calcio, largo la metà, due touchdown zone come nel football, squadre che partono allineate dalle due parti opposte del campo, una, quella che difende, lancia il frisbee all'altra, che è in attacco.
Regole semplici, scopo del gioco: raccogliere il frisbee nella touchdown zone opposta rispetto a quella da dove si parte.
Anzi, errata corrige, scopo del gioco: divertirsi!
Chi ha il frisbee non può muoversi, solo lanciarlo, tempo max 10 secondi, mentre gli altri corrono come matti nel tentativo di smarcarsi dal proprio difensore!
Ok, è altamente energy-consuming, e quando gioco mi sembra di morire, correre, correre, correre...a volte mi sembra di smettere di respirare...e per questo ci sono le sostituzioni ogni 10-15 min e credetemi, non è mai abbastanza riposo!
Ma la cosa che rende speciale e diverso questo gioco è lo *spirito*, ovvero fair play elevato all'ennesima potenza.
Non solo il rispetto dell'avversario, ma anche il riconoscere l'altrui bravura, sono alla base di questo sport, per cui puoi ritrovarti ad applaudire la squadra avversaria per uno spettacolare touchdown o una instancabile difesa che ti ha tolto il punto all'ultimo momento, ma è stata troppo bella per non riconoscerlo con un applauso o un "uao!". E quando dico applaudire, dico sul serio, non in modo formale, sul serio sei contento di applaudire l'avversario e riconoscere la sua bravura!
Non c'è arbitro, quelle rare volte che un giocatore infrange una regola, tipo i passi, è il giocatore stesso a chiamare il fallo.
Se non sei troppo bravo ed esperto, vedi me per esempio, gli avversari cercano di renderti la vita facile e non pressarti troppo, così che anche tu puoi giocare e divertirti.
Alla fine del gioco tutti si stringono le mani e solitamente ogni squadra compone un filastrocca o un incitamento per la squadra avversaria. Alla fine del gioco, ed è veramente un gioco, vinto o perso non conta, si va tutti a bere una birra insieme al bar!
All'inizio io ero proprio scarsa, e non riuscivo neanche a raccogliere il frisbee quando me lo lanciavano; non pensate sia così facile, a volte sono dei veri missili terra-aria che ti segano la mano o le dita se non ci stai attento...
Ma i miei compagni di squadra non sono mai stati upset con me per questo, e hanno continuato a lanciarmi il frisbee anche se continuavo a sbagliare, e non mi hanno mai rimproverato, nè mai sono sembrati delusi da un mancato catch, mai.
E così è stato che, piano piano, anche grazie al loro aiuto, sono diventata ogni game sempre un po' più brava, sempre più confident, sempre più ultimate! E stare in campo e vedere come si ride e si scherza con l'avversario, come se si fosse amici da sempre, è indescrivibilmente nuovo e bello!
E' lo sport come dovrebbe essere, un gioco, è l'Ultimate!
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venerdì 7 marzo 2008
Scambio culturale
E così è stato...quello che usualmente si dice: scambio di culture...culinarie.
Stasera, tornata stanca da una giornata come al solito piena di cose da fare, non avevo proprio voglia di mettermi a cucinare e già stavo per attaccarmi al coppone di gelato...quando...idea! Mi sono ricordata che tornando dall'Italia, e sapendo cosa mi aspettava qui, ho riempito una valigia di orecchiette, cavatelli, fricelli, taralli (dolci, salati, con lo zucchero!), biscotti, cacioricotta, grana padano e...friselle!!!!!
Si, le frise, nella mia mente, sono stata un'illuminazione di felicità immensa!
Rob era come al solito steso sul divano a leggere il suo libro sul cinema francese (quanto lo invidio!!!) e incuriosito da questo oggetto misterioso ha accettato la mia offerta...senza avere la più pallida idea di cosa stesse per mangiare, forse semplicemente fidandosi del fatto che era cibo italiano o forse semplicemente perchè era annoiato dal cinema francese!
Pochi minuti ed eccole lì, pronte con poco: olio (l'etichetta dice italiano, mhmm...), pomodori (buona approssimazione dei ciliegino) e origano (nemmeno tanto fake e con un certo piacevole odore!)
Abbiamo mangiato le frise in cucina, Rob sembrava contento, le ha proprio apprezzate, così contento che subito dopo, per sdebitarsi, mi ha offerto un hot-dog!
Voleva anche lui farmi provare qualcosa di tipico..., si qualcosa di tipico americano! :) E così mi sono ritrovata a mangiare, dopo la frisa, un hot dog, pensando che ero proprio felice, ma non per la frisa, nè per per l'hot dog, ma per il solo fatto di poterlo raccontare.
Stasera, tornata stanca da una giornata come al solito piena di cose da fare, non avevo proprio voglia di mettermi a cucinare e già stavo per attaccarmi al coppone di gelato...quando...idea! Mi sono ricordata che tornando dall'Italia, e sapendo cosa mi aspettava qui, ho riempito una valigia di orecchiette, cavatelli, fricelli, taralli (dolci, salati, con lo zucchero!), biscotti, cacioricotta, grana padano e...friselle!!!!!
Si, le frise, nella mia mente, sono stata un'illuminazione di felicità immensa!
Rob era come al solito steso sul divano a leggere il suo libro sul cinema francese (quanto lo invidio!!!) e incuriosito da questo oggetto misterioso ha accettato la mia offerta...senza avere la più pallida idea di cosa stesse per mangiare, forse semplicemente fidandosi del fatto che era cibo italiano o forse semplicemente perchè era annoiato dal cinema francese!
Pochi minuti ed eccole lì, pronte con poco: olio (l'etichetta dice italiano, mhmm...), pomodori (buona approssimazione dei ciliegino) e origano (nemmeno tanto fake e con un certo piacevole odore!)
Abbiamo mangiato le frise in cucina, Rob sembrava contento, le ha proprio apprezzate, così contento che subito dopo, per sdebitarsi, mi ha offerto un hot-dog!
Voleva anche lui farmi provare qualcosa di tipico..., si qualcosa di tipico americano! :) E così mi sono ritrovata a mangiare, dopo la frisa, un hot dog, pensando che ero proprio felice, ma non per la frisa, nè per per l'hot dog, ma per il solo fatto di poterlo raccontare.
sabato 1 marzo 2008
Spring Break
Il lungo silenzio è dovuto allo Spring Break...in realtà dovremmo dire Winter Break...visto che ieri, appena tornata ad Ann Arbor sono stata accolta da una snow storm!
Ma, appunto, sono appena tornata, da dove? Dal Mexico!!!
State sintonizzati, ne leggerete delle belle!
Ma, appunto, sono appena tornata, da dove? Dal Mexico!!!
State sintonizzati, ne leggerete delle belle!
giovedì 14 febbraio 2008
Non si può chiedere nulla di più!
E così è stato che due settimane fa ho avuto la fortuna di andare a vedere una partita di basket: Detroit Pistons vs. Los Angeles Lakers. Errata corrige, non una partita di basket, una partita dell'NBA!!!
E' diverso, il basket è uno sport bellissimo, ma qui è sublime! Qui i giocatori sono un tutt'uno con la palla, sembrano ce l'abbiamo attaccata alla mano!!! E' incredibile come se la passano tra le gambe, corrono, saltano e con una facilità, che a volte sembra estrema, la appoggiano, lì, dentro al cesto.
Ma c'è qualcosa di più, ed è la difesa! Prima di vedere la partita, non pensavo che la difesa potesse essere altrettanto spettacolare quanto l'attacco! E in questo i Detroit Pistons sono maestri, in attacco un disastro, ma che difesa spettacolare!
Non so come, ma ogni volta che la palla sembrava destinata, inesorabilmente, nel cesto, ecco spuntare dal nulla un omone nero, che saltando (nemmeno poi tanto!!) apre la mano, stoppa la palla al volo e rilancia l'azione dei Pistons!! Uao...da rimanere a bocca aperta per 10 minuti, se non fosse che in 10 minuti di azioni così ce ne sono un sacco!
Ma andiamo con ordine, lo stadio è una struttura bellissima, è grandissimo, dentro ci sono un sacco di negozi, ristoranti, e venditori di colesterolo puro!
Come al solito l'atmosfera che si respira è rilassatissima, nessuno che spinge per entrare, la partita è alla sette, ma si arriva con calma, ci si siede al tavolo del pub e si chiacchiera con gli amici, oppure si va a comprare un po' di junk food.
E così ho fatto anche io, ho comprato un panino imbottito di philly steak (della carne tagliata a filini sottili, enhanced with some colesterol:), contornato da patatine fritte, anch'esse inseparabili amiche di colesterol, e poi, per finire in bellezza, una birra chiara! Quando sono entrata nello stadio mi è mancato il respiro, anche perchè mi è subito venuta una inaspettata vertigine!
La pendenza era davvero...troppa, mi sono dovuto aggrappare al primo appiglio che ho trovato!
I giocatori sono entrati per riscaldarsi che non c'era ancora quasi nessuno nello stadio, come dicevo, sono arrivati tutti con molta tranquillità, alla spicciolata.
Quando la partita è iniziata ho subito notato che il livello era diverso, la percentuale di tiri da tre era elevatissima, così come quella di tiri da tre che andavano effettivamente a segno! Il primo tempo è scivolato via tranquillo, naturalmente nell'intervallo c'è stato l'immancabile spettacolo con un tizio che cantava canzoni dei village people e poi le cheerleader e infine domino pizza che ha consegnato pizze gratis random agli spettatori! La partita è uno spettacolo continuo, anche durante i time-out o l'intervallo c'è qualcosa da fare o, meglio, da vedere! Ed è sorprendente il numero di famiglie e bambini che sono allo stadio! Il secondo tempo è stato molto tirato e i Lakers erano sempre, costantemente, in vantaggio e noi non riuscivamo a recuperare. A 2 secondi dalla fine, ultimo attacco a disposizione per i Pistons, i Lakers chiedono time-out. Io ero al limite della tensione, dopo una partita tiratissima, ma mi sono davvero vergognata di me stessa quando mi sono girata e guardata attorno. Nessuno prendeva davvero sul serio la partita, in fondo si viene a vedere la partita per passare una serata spensierata, mica per essere divorati dalla tensione, ed è una cosa seria, si, ma fino ad un certo punto! Le cheerleader cantavano e celebravano il loro team, i bambini continuavano a ballare, la gente chiacchierava allegra e spensierata e, suddently, mi è sembrato di essere sola, di essere l'unica persona nello stadio con lo stomaco in gola, perchè era l'ultima azione, 20 secondi, ultima possibilità, due punti sotto, solo un canestro da 3 ci può salvare!
La partita è ripresa velocissima, qualche passaggio in attacco ed ecco la palla nell'angolo destro, perfetta posizione per un canestro da tre, cronometro che scorre velocissimo, -10, il nostro uomo prende la palla, -9, piega leggermente sulle ginocchia preparando il tiro, -8, lo stadio si ammutolisce, -7, tira, la palla sembra lentissima nella sua parabola, ecco inizia a scendere,-6, silenzio tombale, ecco tocca il bordo del cesto, lo accarezza, -5, DENTRO!!!!!!!!!!!!!
Ed in un unico, solo, istante, il silenzio si trasforma in boato...di felicità! Abbiamo vinto, per un solo punto!, grazie ad un canestro da tre nel finale, non ci credo!!! Come nel migliore dei film, come poter sperare e immaginare un migliore finale? Impossibile! Unbelievable!!! Mi sono seduta e ho respirato profondamente,
chiuso gli occhi, sorriso e pensato: non si può veramente chiedere niente di più, niente di più!
venerdì 8 febbraio 2008
Tutto quello che mi sono persa
Questa settimana mi è venuta l'influenza :( e, di conseguenza, mi sono persa un sacco di cose. La cosa mi faceva riflettere su quanto piene sono le settimane qua e del perchè, quindi, passano così (troppo) in fretta.
Domenica.
Arg! Domenica proprio no! Finale del Super Bowl!!! L'evento mediatico più seguito negli Stati Uniti!!! E io? A letto con i primi brividi di febbre! Però posso sempre raccontarvi qualcosa: hanno vinto i Giants, e questo forse lo sapete, ma quello che probabilmente non sapete è il motivo per cui 90 milioni di persone si radunano davanti alla TV quella sera....
Alla maggior parte della gente non interessa nulla della finale del super bowl, la guardano solo per i commercial!!!
Perchè la partita, come il 99,9% delle partite di football è noiosissima, ed è intervallata da spot pubblicitari ogni 10 minuti, mentre loro, in campo, si fermano ogni 5 minuti!!!
Ora, poichè sono tutti lì davanti alla TV, c'è da fare bella figura e gli spot sono dei mini-film, insomma il super Bowl è un galà della pubblicità intervallato da pezzi di partita. Che non sia una leggenda metropolitana ve lo posso confermare, perchè i miei roommate non conoscono neanche le regole del football e si ingozzavano di tacos durante la partita, chiacchierando, per poi ammutolirsi di colpo appena uno spot cominciava! Ne ho visti un po' ed erano carini, poi sono dovuta andare a letto, inevitabilmente vinta dai brividi! :(
Lunedì
Ho perso una bellissima lezione di Electronic Commerce, ma questo probabilmente non interessa.
L'incontro con il Grad Group in Chiesa e poi la birra tutti insieme.
Martedì Grasso (Fat Tuesday)
Festa con gli italiani in maschera con chiacchiere, quelle che si mangiano (noooooooooo...era la mia unica possibilità di mangiarle qua!!!) e avevo già in mente un costume perfetto...va bo', sarà per l'anno prossimo!
Mercoledì delle Ceneri
Ho mancato la Ash Mass e l'inizio della Lent. A parte che ero curiosa di sapere se qui era come da noi, ma, a parte questo, ci tengo sempre molto a quel po' di cenere sulla testa, lo trovo un gesto così pregno di significato, e per me è sempre energia nuova per iniziare un nuovo cammino, lungo quaranta giorni.
Non ho pensato a niente per questa quaresima...sono curiosa, voi a cosa rinunciate o che cosa offrite (che sarebbe anche meglio)?
Ho bisogno di ispirazione! ;)
Giovedì
Il seminario dello STIET, i dolci che offrono sono sempre buonissimi, i talk non sempre, però.
Venerdì
La lezione del mio corso preferito, Information Economics, e va bo', il game di ultimate frisbee, ma soprattutto l'Happy Hour nella sede di Google qui ad Ann Arbor!!! Quelli di Google sono sempre dei gran signori, avrebbero offerto cibo di alta qualità, gadget spettacolari e dell'ottimo tempo per parlare e conoscere gente...e vabbe', almeno adesso ho la salute!!!
Naturalmente non ho citato un sacco di altre cose, tipo la partita di calcio il mercoledì, il tea time con i graduate student il mercoledì pomeriggio, lo Snow Charity Ball stasera, oppure, volendo, un cinema con gli italiani per vedere "il Petroliere" (qui There will be blood), già osannato come un bellissimo film.
Domani? Incrociamo le dita, devo andare a vedere un musical!!!
Ma con tutte queste cose da fare qui, uno quando lo trova il tempo di studiare?
PS: Tra le altre cose che mi perdo anche una festa di laurea in un posto chikkissimo...ma quella è in Italia...va bo'!
Domenica.
Arg! Domenica proprio no! Finale del Super Bowl!!! L'evento mediatico più seguito negli Stati Uniti!!! E io? A letto con i primi brividi di febbre! Però posso sempre raccontarvi qualcosa: hanno vinto i Giants, e questo forse lo sapete, ma quello che probabilmente non sapete è il motivo per cui 90 milioni di persone si radunano davanti alla TV quella sera....
Alla maggior parte della gente non interessa nulla della finale del super bowl, la guardano solo per i commercial!!!
Perchè la partita, come il 99,9% delle partite di football è noiosissima, ed è intervallata da spot pubblicitari ogni 10 minuti, mentre loro, in campo, si fermano ogni 5 minuti!!!
Ora, poichè sono tutti lì davanti alla TV, c'è da fare bella figura e gli spot sono dei mini-film, insomma il super Bowl è un galà della pubblicità intervallato da pezzi di partita. Che non sia una leggenda metropolitana ve lo posso confermare, perchè i miei roommate non conoscono neanche le regole del football e si ingozzavano di tacos durante la partita, chiacchierando, per poi ammutolirsi di colpo appena uno spot cominciava! Ne ho visti un po' ed erano carini, poi sono dovuta andare a letto, inevitabilmente vinta dai brividi! :(
Lunedì
Ho perso una bellissima lezione di Electronic Commerce, ma questo probabilmente non interessa.
L'incontro con il Grad Group in Chiesa e poi la birra tutti insieme.
Martedì Grasso (Fat Tuesday)
Festa con gli italiani in maschera con chiacchiere, quelle che si mangiano (noooooooooo...era la mia unica possibilità di mangiarle qua!!!) e avevo già in mente un costume perfetto...va bo', sarà per l'anno prossimo!
Mercoledì delle Ceneri
Ho mancato la Ash Mass e l'inizio della Lent. A parte che ero curiosa di sapere se qui era come da noi, ma, a parte questo, ci tengo sempre molto a quel po' di cenere sulla testa, lo trovo un gesto così pregno di significato, e per me è sempre energia nuova per iniziare un nuovo cammino, lungo quaranta giorni.
Non ho pensato a niente per questa quaresima...sono curiosa, voi a cosa rinunciate o che cosa offrite (che sarebbe anche meglio)?
Ho bisogno di ispirazione! ;)
Giovedì
Il seminario dello STIET, i dolci che offrono sono sempre buonissimi, i talk non sempre, però.
Venerdì
La lezione del mio corso preferito, Information Economics, e va bo', il game di ultimate frisbee, ma soprattutto l'Happy Hour nella sede di Google qui ad Ann Arbor!!! Quelli di Google sono sempre dei gran signori, avrebbero offerto cibo di alta qualità, gadget spettacolari e dell'ottimo tempo per parlare e conoscere gente...e vabbe', almeno adesso ho la salute!!!
Naturalmente non ho citato un sacco di altre cose, tipo la partita di calcio il mercoledì, il tea time con i graduate student il mercoledì pomeriggio, lo Snow Charity Ball stasera, oppure, volendo, un cinema con gli italiani per vedere "il Petroliere" (qui There will be blood), già osannato come un bellissimo film.
Domani? Incrociamo le dita, devo andare a vedere un musical!!!
Ma con tutte queste cose da fare qui, uno quando lo trova il tempo di studiare?
PS: Tra le altre cose che mi perdo anche una festa di laurea in un posto chikkissimo...ma quella è in Italia...va bo'!
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giovedì 31 gennaio 2008
L'importanza del non chiedere
Naturalmente il titolo di questo post non è del tutto veritiero, perchè io sono una teorica del chiedere, chiedere sempre, ma a volte, concorderete con me tra un po', sarebbe meglio vivere nell'ignoranza!
Passo a raccontare.
I primi mesi che ero ad ann arbor ho eliminato le uova dalla mia alimentazione, trovavo sempre e solo uova bianche, mi sembravano malate, non mi ispiravano fiducia e mi chiedevo: chissà di che animale o specie speciale di gallina saranno...e passavo oltre, avevo già altro a cui pensare, il latte, i cereali, you know...
Poi un giorno ero con un indigeno, Sam, al supermercato, e allora ho deciso di chiedere, dovevo capire, dovevo sapere, non potevo vivere nell'ignoranza!
E lì ho scoperto con terrore la verità: non sono bianche perchè sono di una gallina speciale o di chissà quale altro strano animale, sono bianche perchè le pitturano di bianco (!), e costano di più, non perchè sono più buone (!), ma perchè sono pitturate (!) e gli americani le comprano per quello!!!
Ho guardato Sam incredula e gli ho chiesto di ripetere, forse, sai, la lingua, potevo aver capito male...e invece no, avevo capito benissimo! Le pitturano!!! :-O
Allora sono passata oltre, avevo già altro a cui pensare, per non pensare a questo, il latte, i cereali, you know...
Passo a raccontare.
I primi mesi che ero ad ann arbor ho eliminato le uova dalla mia alimentazione, trovavo sempre e solo uova bianche, mi sembravano malate, non mi ispiravano fiducia e mi chiedevo: chissà di che animale o specie speciale di gallina saranno...e passavo oltre, avevo già altro a cui pensare, il latte, i cereali, you know...
Poi un giorno ero con un indigeno, Sam, al supermercato, e allora ho deciso di chiedere, dovevo capire, dovevo sapere, non potevo vivere nell'ignoranza!
E lì ho scoperto con terrore la verità: non sono bianche perchè sono di una gallina speciale o di chissà quale altro strano animale, sono bianche perchè le pitturano di bianco (!), e costano di più, non perchè sono più buone (!), ma perchè sono pitturate (!) e gli americani le comprano per quello!!!
Ho guardato Sam incredula e gli ho chiesto di ripetere, forse, sai, la lingua, potevo aver capito male...e invece no, avevo capito benissimo! Le pitturano!!! :-O
Allora sono passata oltre, avevo già altro a cui pensare, per non pensare a questo, il latte, i cereali, you know...
domenica 27 gennaio 2008
La madre di tutte le ricette!
E così è stato che mi sono ritrovata chef! Qui non è poi troppo difficile, basta cucinare qualcosa di decente per rendere felici tutti quanti! Il che mi rende felice a mia volta, perchè nessuno è mai stato in Italia così felice, come lo sono loro qui, quando cucino qualcosa! Lo scorso sabato avevamo in programma qui, nella mia nuova casa, una cena italiana per i miei nuovi fantastici roomate!
Come primo, facile: orecchiette alla bolognese e grana padano.
Precisazione: entrambi, grana e orecchiette (handmade), portati dall'Italia nella valigia di cartone legata con lo spago!
Quando hanno assaggiato il grana avevano facce estasiate e li ho dovuti fermare prima che lo mangiassero tutto...ovvio, qui il loro formaggio ha un gusto che si avvicina più alla plastica che a qualcosa di commestibile.
Pensare al dolce è stato già più complicato, non sapevo cosa preparare...e lo ammetto candidamente: non avevo mai fatto un dolce in vita mia!
Ma ad un tratto l'illuminazione, qual'è il dolce più italiano che agli americani piace di più? Il tiramisù! Quando l'ho proposto i loro occhi si sono illuminati di immenso, e increduli mi hanno chiesto: "Davvero?! Lo sai fare??!! Si, per favore, grazie!!! Per noi è troppo difficile, ma grazie!"
E lì ho iniziato ad avere i primi dubbi: troppo difficile?
Avevo trovato la ricetta 5 minuti prima su internet e non mi era sembrata tanto difficile! Allora ho chiesto soccorso a skype...e tramite skype to my mom! E i miei genitori si sono subito prodigati a incoraggiarmi: "Ma cosa prometti? Il tiramisù è troppo difficile, non ci riuscirai mai a farlo, è troppo difficile per te!"
Ma ormai avevo promesso...non potevo tirarmi indietro!
E' così abbiamo iniziato...un inizio catastrofico: non sapevo dividere il bianco dal rosso delle uova...e loro mi hanno insegnato! :-/
Poi però ho iniziato a montare tutto, a mischiare gli ingredienti, solo che ho aggiunto un uovo in più...e non sapevo cosa significasse montare il bianco delle uova a neve...e quindi in realtà non le ho montate...
Long story short: alla fine tutti gli ingredienti erano mischiati, ma il composto era troppo liquido...mentre invece doveva essere una crema...ho di nuovo chiesto aiuto, ho dato la colpa al mascarpone, che era poco rispetto alle dosi indicate nella ricetta...e si, mi sono in un certo senso arrampicata sugli specchi!
Cosa fare, cosa non fare, è colpa del poco mascarpone? Aggiungiamo del cream cheese!
Allora io li ho guardati inorridita: "cosa? la philadelphia nel tiramisù??!!!" No way! Why not? E' come la cheesecake...hanno ribattuto loro! Fair enough! Ok, tanto ero disperata...abbiamo aggiunto la philadelphia e poi un po' di zucchero, perchè la philadelphia non è dolce come il mascarpone!
Insomma ladyfinger (che sarebbero l'equivalente dei nostri biscotti per il tiramisù), bagnati nel caffè, e questa crema...liquida!
Ho detto: il tiramisù deve stare almeno un giorno in frigo! Sperando che accadesse il miracolo, che magari diventasse un po' più solido, che fosse, insomma, mangiabile!
Il giorno dopo quando dovevamo assaggiarlo ero molto in apprensione...ma, colpo di scena, il miracolo era avvenuto, il tiramisù era più che mangiabile, oserei dire buono! Io, che ne conosco il vero gusto, ero abbastanza soddisfatta, loro, invece, ne erano incredibilmente entusiasti, felici oltremodo! E così è stato che ieri Aimee è venuta da me è mi ha chiesto: "Azzurra, please, could you make Cannoli for me?". E io ho detto, che mi sarebbe piaciuto tanto, ma non ne ero capace! E lei mi ha detto, candidamente: puoi chiedere la ricetta a tua madre! Come se in fondo la madre di tutte le ricette fosse questa: ask to your mom! e non fosse necessario sapere null'altro! Ed è così che sono diventata chef!
PS: Lo so che dopo questo post la vostra stima nei miei confronti sarà calata a -3245,24...ma vi assicuro: so fare un sacco di altre cose! :-/
Come primo, facile: orecchiette alla bolognese e grana padano.
Precisazione: entrambi, grana e orecchiette (handmade), portati dall'Italia nella valigia di cartone legata con lo spago!
Quando hanno assaggiato il grana avevano facce estasiate e li ho dovuti fermare prima che lo mangiassero tutto...ovvio, qui il loro formaggio ha un gusto che si avvicina più alla plastica che a qualcosa di commestibile.
Pensare al dolce è stato già più complicato, non sapevo cosa preparare...e lo ammetto candidamente: non avevo mai fatto un dolce in vita mia!
Ma ad un tratto l'illuminazione, qual'è il dolce più italiano che agli americani piace di più? Il tiramisù! Quando l'ho proposto i loro occhi si sono illuminati di immenso, e increduli mi hanno chiesto: "Davvero?! Lo sai fare??!! Si, per favore, grazie!!! Per noi è troppo difficile, ma grazie!"
E lì ho iniziato ad avere i primi dubbi: troppo difficile?
Avevo trovato la ricetta 5 minuti prima su internet e non mi era sembrata tanto difficile! Allora ho chiesto soccorso a skype...e tramite skype to my mom! E i miei genitori si sono subito prodigati a incoraggiarmi: "Ma cosa prometti? Il tiramisù è troppo difficile, non ci riuscirai mai a farlo, è troppo difficile per te!"
Ma ormai avevo promesso...non potevo tirarmi indietro!
E' così abbiamo iniziato...un inizio catastrofico: non sapevo dividere il bianco dal rosso delle uova...e loro mi hanno insegnato! :-/
Poi però ho iniziato a montare tutto, a mischiare gli ingredienti, solo che ho aggiunto un uovo in più...e non sapevo cosa significasse montare il bianco delle uova a neve...e quindi in realtà non le ho montate...
Long story short: alla fine tutti gli ingredienti erano mischiati, ma il composto era troppo liquido...mentre invece doveva essere una crema...ho di nuovo chiesto aiuto, ho dato la colpa al mascarpone, che era poco rispetto alle dosi indicate nella ricetta...e si, mi sono in un certo senso arrampicata sugli specchi!
Cosa fare, cosa non fare, è colpa del poco mascarpone? Aggiungiamo del cream cheese!
Allora io li ho guardati inorridita: "cosa? la philadelphia nel tiramisù??!!!" No way! Why not? E' come la cheesecake...hanno ribattuto loro! Fair enough! Ok, tanto ero disperata...abbiamo aggiunto la philadelphia e poi un po' di zucchero, perchè la philadelphia non è dolce come il mascarpone!
Insomma ladyfinger (che sarebbero l'equivalente dei nostri biscotti per il tiramisù), bagnati nel caffè, e questa crema...liquida!
Ho detto: il tiramisù deve stare almeno un giorno in frigo! Sperando che accadesse il miracolo, che magari diventasse un po' più solido, che fosse, insomma, mangiabile!
Il giorno dopo quando dovevamo assaggiarlo ero molto in apprensione...ma, colpo di scena, il miracolo era avvenuto, il tiramisù era più che mangiabile, oserei dire buono! Io, che ne conosco il vero gusto, ero abbastanza soddisfatta, loro, invece, ne erano incredibilmente entusiasti, felici oltremodo! E così è stato che ieri Aimee è venuta da me è mi ha chiesto: "Azzurra, please, could you make Cannoli for me?". E io ho detto, che mi sarebbe piaciuto tanto, ma non ne ero capace! E lei mi ha detto, candidamente: puoi chiedere la ricetta a tua madre! Come se in fondo la madre di tutte le ricette fosse questa: ask to your mom! e non fosse necessario sapere null'altro! Ed è così che sono diventata chef!
PS: Lo so che dopo questo post la vostra stima nei miei confronti sarà calata a -3245,24...ma vi assicuro: so fare un sacco di altre cose! :-/
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martedì 22 gennaio 2008
Non per sempre
In questo momento sono proprio felice, tutto sembra andare bene, sono decisamente nella fase ascendente della curva del "Cultural Adjustment"...sto bene in questa nuova casa, con i miei friendly and easy-going roommate. Li capisco e loro mi capiscono, capisco i programmi alla TV, un risultato insperato fino a pochi mesi fa, che mi rende davvero orgogliosa di me stessa! Il lavoro finalmente sembra andare bene, sto facendo finalmente qualcosa che mi piace (era ora!), e sono finalmente entrata nel meccanismo e capito cosa vogliono che faccia. Ann Arbor mi piace un sacco, la trovo così romantica e anche la neve sembra non spaventarmi più, e i -14 non li sento quasi quando esco tutta imbacuccata come una terrorista (e si, lo so che prima o poi mi arresteranno). Ho finalmente capito cosa mi piace mangiare, cosa devo ordinare al ristorante e cosa devo assolutamente evitare!!! Insomma sto bene...e quindi non dovrei scrivere questo post. Si sa che si è sempre più ispirati e portati a scrivere quando si è tristi e malinconici, non quando tutto sembra andare bene...eppure...sto scrivendo.
Scrivo perchè, in fondo, una nota di malinconia c'è, piccola e sgusciante, ma c'è.
E si, perchè tra meno di tre mesi questa esperienza sarà over. E non ho alcuna intenzione di lamentarmi, no, nessun complain, e non voglio neanche che pensiate che non mi mancate e che basti a me stessa. Ci sono un sacco di persone che mi mancano un sacco, ma so di averle.
Ma mi chiedo se, quando si è fatta esperienza della differenza, sia possibile tornare indietro, se potrò riabituarmi all'inefficienza cronica dell'Italia, a lavorare sottopagata e in un posto buio e inospitale, se sopporterò ancora la segretaria che per default mi dice: "E no, non si può fare", senza neanche provarci, e se potrò accettare il limite invalicabile imposto al numero delle possibilità.
America, terra delle possibilità. Quando sono arrivata qui mi chiedevo, senza riuscire a rispondermi, perchè tanta gente emigra, cosa li spinge, cosa li porta ad abbandonare tutto e venire qua, in questa terra lontana?
E' il sogno. Perchè qui essere intelligente e capace basta, non ti servono conoscenze, non ti serve nulla più della tua forza di volontà, ed è magnifico. E quello basta e poi il resto lo fanno gli altri.
Tu devi solo fare il tuo lavoro, perchè al resto ci pensano gli altri, è il loro lavoro!
E così, stasera, tornando a casa, avvertivo questo rivolo di malinconia e la consapevolezza che tanto mi mancherà. A cominciare dal bacon con le scramble egg, e le patate fatte a filini sottili sottili, le hash brown (che ho impiegato un mese a capire cos'erano, prima di decidermi ad ordinarle e scoprire che erano semplicemente patate!). E il gelato al caffè di starbuck, che, mi fa male dirlo, ma è buono come quello italiano, forse di più. E mi mancherà la mattina arrivare in dipartimento e andare a riempire la mia tazza gialla con la M blu di caffè, che non sarà mai buono come l'espresso, ma aiuta un sacco a mettere in moto il cervello!
E andare da Cindy quando ho un problema e scoprire, due secondi dopo, che non lo ho più.
Mi mancheranno i miei roommate e i loro "raccapriccianti" muffin al cioccolato e burro di arachidi e burro e zucchero a velo (li hanno mangiati e sono ancora vivi!!!).
E così alla fine scopri che in realtà non sei mai pienamente felice, anche quando tutto sembra andare bene, perchè hai la consapevolezza, terribilmente precisa in questo caso, che comunque finirà.
Pensavo, se solo avessimo questa stessa, precisa, consapevolezza, che niente, nessuno stato, è per sempre, anche quando siamo terribilmente tristi, se solo fossimo capaci di considerare, quando siamo nel punto più basso, che non importa, non fa niente, l'importante è vivere il presente guardando avanti, tanto, nel bene e nel male, non sarà per sempre.
Scrivo perchè, in fondo, una nota di malinconia c'è, piccola e sgusciante, ma c'è.
E si, perchè tra meno di tre mesi questa esperienza sarà over. E non ho alcuna intenzione di lamentarmi, no, nessun complain, e non voglio neanche che pensiate che non mi mancate e che basti a me stessa. Ci sono un sacco di persone che mi mancano un sacco, ma so di averle.
Ma mi chiedo se, quando si è fatta esperienza della differenza, sia possibile tornare indietro, se potrò riabituarmi all'inefficienza cronica dell'Italia, a lavorare sottopagata e in un posto buio e inospitale, se sopporterò ancora la segretaria che per default mi dice: "E no, non si può fare", senza neanche provarci, e se potrò accettare il limite invalicabile imposto al numero delle possibilità.
America, terra delle possibilità. Quando sono arrivata qui mi chiedevo, senza riuscire a rispondermi, perchè tanta gente emigra, cosa li spinge, cosa li porta ad abbandonare tutto e venire qua, in questa terra lontana?
E' il sogno. Perchè qui essere intelligente e capace basta, non ti servono conoscenze, non ti serve nulla più della tua forza di volontà, ed è magnifico. E quello basta e poi il resto lo fanno gli altri.
Tu devi solo fare il tuo lavoro, perchè al resto ci pensano gli altri, è il loro lavoro!
E così, stasera, tornando a casa, avvertivo questo rivolo di malinconia e la consapevolezza che tanto mi mancherà. A cominciare dal bacon con le scramble egg, e le patate fatte a filini sottili sottili, le hash brown (che ho impiegato un mese a capire cos'erano, prima di decidermi ad ordinarle e scoprire che erano semplicemente patate!). E il gelato al caffè di starbuck, che, mi fa male dirlo, ma è buono come quello italiano, forse di più. E mi mancherà la mattina arrivare in dipartimento e andare a riempire la mia tazza gialla con la M blu di caffè, che non sarà mai buono come l'espresso, ma aiuta un sacco a mettere in moto il cervello!
E andare da Cindy quando ho un problema e scoprire, due secondi dopo, che non lo ho più.
Mi mancheranno i miei roommate e i loro "raccapriccianti" muffin al cioccolato e burro di arachidi e burro e zucchero a velo (li hanno mangiati e sono ancora vivi!!!).
E così alla fine scopri che in realtà non sei mai pienamente felice, anche quando tutto sembra andare bene, perchè hai la consapevolezza, terribilmente precisa in questo caso, che comunque finirà.
Pensavo, se solo avessimo questa stessa, precisa, consapevolezza, che niente, nessuno stato, è per sempre, anche quando siamo terribilmente tristi, se solo fossimo capaci di considerare, quando siamo nel punto più basso, che non importa, non fa niente, l'importante è vivere il presente guardando avanti, tanto, nel bene e nel male, non sarà per sempre.
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Appendice
giovedì 17 gennaio 2008
Studenti di dottorato di tutto il mondo...non siamo soli!
Oggi nella mia università regnava: the power of procastination! Jorge Cham è approdato in queste lande innevate per un talk on the power of procastination. E così è stato che alle 16:45 tutti, silenziosamente, siamo usciti dai nostri uffici e ci siamo trovati là, tutti nell'atrio: i Ph.D. overwhelmed e stressed del dipartimento di Computer Science, pronti a disertare ben due seminari (!) per il richiamo irresistibile di chi ci fa ridere e piangere allo stesso tempo: lo scrittore dei PhDcomics!
Quando l'ho visto non mi sembrava vero, un ragazzo come noi, con il gel nei capelli arruffati e anche un po' impacciato sulla scena!
Chissà perchè me lo immaginavo diverso...ma poi in fondo non poteva non essere come noi!
Ha iniziato raccontandoci about wikifact (fatti trovati su wikipedia sull'UofM).
Ma lo sapevate che tra gli Alumni dell'University del Michigan c'è Unabomber?!?! Mentre tra quelli che hanno lasciato prima di finire c'è Michael Moor (quello di Fahrenheit 9/11 e Sicko?) e Madonna !?!?!?!?! e qua i punti esclamativi/interrogativi si sprecano!!!!...appunto! :)
Quasi che sarebbe meglio lasciare che continuare? Mhmm.
Poi ha citato i dati di una ricerca fatta su studenti di dottorato dell'università di Berckley.
Il 95% degli studenti si sente "travolto", overwhelmed appunto, e allora nasce spontanea la domanda...solo il 95%?
Voglio conoscere l'altro 5%!
Poi ha presentato il *motivation-o-meter*: all'inizio la motivazione è ad altissimi livelli, Asimov quando ha iniziato il suo dottorato pensava di diventare un famoso scienziato, guadagnare un sacco di soldi e vincere il premio Nobel.
Più o meno quello che pensano tutti.
Lo so, il problema sono le aspettative!
Asimov ci ha messo 10 (dieci!!!) anni per addottorarsi in Chimica! Ragazzi, c'è speranza per tutti, ma proprio tutti!!!
Poi la motivazione inizia a calare quando, una volta entrati in graduate school, scopriamo di non essere più intelligenti degli altri, che ci sono un sacco di persone più intelligenti di noi, che lavorano più di noi e scrivono più paper di noi...e quindi iniziamo a pensare di essere stati ammessi al PhD per errore...è la sindrome dell'impostore!!!
E poi pensiamo che il nostro advisor pensi che siamo degli stupidi...ma è lì che, poi, la nostra motivazione ricomincia a crescere e raggiunge un piccolo picco...quando in realtà realizziamo che il nostro advisor in realtà non spende gran parte del suo tempo, come avevamo immaginato, pensando a noi!!!
Ma ecco che poi ci raggiunge la telefonata di un amico che lavora, ha già una famiglia, un bambino e ha comprato una casa...perchè le case si possono comprare???!!!
E si, perchè facendo un breve calcolo, si scopre che il salario medio di uno studente di dottorato è di $14,055, quello di un dipendente del McDonald solo...$14,040!!! Si! Si! Sono 15 dollari in meno!!! Puff!!! Che sollievo, io si che guadagno di più!
Ma poi la nostra motivazione ha di nuovo una piccola risalita, quando realizziamo che, in fondo, a nessuno piace la propria tesi di dottorato, nessuno è entusiasta della ricerca fatta durante il PhD, che anche i professori realmente non apprezzano quello che hanno fatto nel loro dottorato, che alla fine, se sono famosi, sono famosi per altro...per quello che hanno fatto dopo...si, dopo, quando finalmente avevano degli studenti che lavoravano per loro! :)
Ma, allora, ecco il vero potere della procastination: non dobbiamo necessariamente fare le cose che non ci piacciono fare, non c'è niente nella vita che dobbiamo fare per forza! Ma non è questo il vero problema, il vero problema è che poi ad un certo punto non possiamo più ignorarlo...è il senso di colpa!
Guilt, I feel guilt!
Il vero motivo per cui non enjoyiamo la procastination!
E pure è la procastination il vero motore del mondo, il cervello non è creativo quando è stressato e focalizzato su poche cose sempre uguali, questo è scientificamente dimostrato!
Prendi Newton ad esempio...che ci stava a fare sotto l'albero quando la famosa mela cadde sulla sua testa?
Mica era in lab a fare ricerca!!!
Insomma, procastinatori di tutto il mondo riuniamoci!
Questo era il talk.
Alla fine del talk ha risposto ad alcune domande, ed ho scoperto che il suo advisor non era poi così terribile come nel fumetto, che, anzi, apprezzava le sue strip, e che lui non ha lasciato, che ce l'ha fatta ad addottorarsi, e che ora il suo lavoro è scrivere strip e girare le università del mondo...semplicemente e meravigliosamente questo.
Alla fine del talk ho comprato il suo libro e quando sono andata da lui per farlo autografare gli ho chiesto di scrivermi un messaggio di speranza. E lui ha scritto: Quit now! Poi lo ha sbarrato e scritto: You can do it!
Mi ha guardato intensamente, il suo sguardo era profondo e capiva, capiva esattamente. Mi ha augurato good luck.
Uscendo e ripensando a quel "You can do it!" ho realizzato che davvero posso farlo, davvero posso farcela, che un giorno farò nella vita quello che realmente voglio fare...I can do it! Anzi lo faccio già! E voi ne siete tutti testimoni! E anche voi: Don't quit! Don't quit!
Quando l'ho visto non mi sembrava vero, un ragazzo come noi, con il gel nei capelli arruffati e anche un po' impacciato sulla scena!
Chissà perchè me lo immaginavo diverso...ma poi in fondo non poteva non essere come noi!
Ha iniziato raccontandoci about wikifact (fatti trovati su wikipedia sull'UofM).
Ma lo sapevate che tra gli Alumni dell'University del Michigan c'è Unabomber?!?! Mentre tra quelli che hanno lasciato prima di finire c'è Michael Moor (quello di Fahrenheit 9/11 e Sicko?) e Madonna !?!?!?!?! e qua i punti esclamativi/interrogativi si sprecano!!!!...appunto! :)
Quasi che sarebbe meglio lasciare che continuare? Mhmm.
Poi ha citato i dati di una ricerca fatta su studenti di dottorato dell'università di Berckley.
Il 95% degli studenti si sente "travolto", overwhelmed appunto, e allora nasce spontanea la domanda...solo il 95%?
Voglio conoscere l'altro 5%!
Poi ha presentato il *motivation-o-meter*: all'inizio la motivazione è ad altissimi livelli, Asimov quando ha iniziato il suo dottorato pensava di diventare un famoso scienziato, guadagnare un sacco di soldi e vincere il premio Nobel.
Più o meno quello che pensano tutti.
Lo so, il problema sono le aspettative!
Asimov ci ha messo 10 (dieci!!!) anni per addottorarsi in Chimica! Ragazzi, c'è speranza per tutti, ma proprio tutti!!!
Poi la motivazione inizia a calare quando, una volta entrati in graduate school, scopriamo di non essere più intelligenti degli altri, che ci sono un sacco di persone più intelligenti di noi, che lavorano più di noi e scrivono più paper di noi...e quindi iniziamo a pensare di essere stati ammessi al PhD per errore...è la sindrome dell'impostore!!!
E poi pensiamo che il nostro advisor pensi che siamo degli stupidi...ma è lì che, poi, la nostra motivazione ricomincia a crescere e raggiunge un piccolo picco...quando in realtà realizziamo che il nostro advisor in realtà non spende gran parte del suo tempo, come avevamo immaginato, pensando a noi!!!
Ma ecco che poi ci raggiunge la telefonata di un amico che lavora, ha già una famiglia, un bambino e ha comprato una casa...perchè le case si possono comprare???!!!
E si, perchè facendo un breve calcolo, si scopre che il salario medio di uno studente di dottorato è di $14,055, quello di un dipendente del McDonald solo...$14,040!!! Si! Si! Sono 15 dollari in meno!!! Puff!!! Che sollievo, io si che guadagno di più!
Ma poi la nostra motivazione ha di nuovo una piccola risalita, quando realizziamo che, in fondo, a nessuno piace la propria tesi di dottorato, nessuno è entusiasta della ricerca fatta durante il PhD, che anche i professori realmente non apprezzano quello che hanno fatto nel loro dottorato, che alla fine, se sono famosi, sono famosi per altro...per quello che hanno fatto dopo...si, dopo, quando finalmente avevano degli studenti che lavoravano per loro! :)
Ma, allora, ecco il vero potere della procastination: non dobbiamo necessariamente fare le cose che non ci piacciono fare, non c'è niente nella vita che dobbiamo fare per forza! Ma non è questo il vero problema, il vero problema è che poi ad un certo punto non possiamo più ignorarlo...è il senso di colpa!
Guilt, I feel guilt!
Il vero motivo per cui non enjoyiamo la procastination!
E pure è la procastination il vero motore del mondo, il cervello non è creativo quando è stressato e focalizzato su poche cose sempre uguali, questo è scientificamente dimostrato!
Prendi Newton ad esempio...che ci stava a fare sotto l'albero quando la famosa mela cadde sulla sua testa?
Mica era in lab a fare ricerca!!!
Insomma, procastinatori di tutto il mondo riuniamoci!
Questo era il talk.
Alla fine del talk ha risposto ad alcune domande, ed ho scoperto che il suo advisor non era poi così terribile come nel fumetto, che, anzi, apprezzava le sue strip, e che lui non ha lasciato, che ce l'ha fatta ad addottorarsi, e che ora il suo lavoro è scrivere strip e girare le università del mondo...semplicemente e meravigliosamente questo.
Alla fine del talk ho comprato il suo libro e quando sono andata da lui per farlo autografare gli ho chiesto di scrivermi un messaggio di speranza. E lui ha scritto: Quit now! Poi lo ha sbarrato e scritto: You can do it!
Mi ha guardato intensamente, il suo sguardo era profondo e capiva, capiva esattamente. Mi ha augurato good luck.
Uscendo e ripensando a quel "You can do it!" ho realizzato che davvero posso farlo, davvero posso farcela, che un giorno farò nella vita quello che realmente voglio fare...I can do it! Anzi lo faccio già! E voi ne siete tutti testimoni! E anche voi: Don't quit! Don't quit!
lunedì 14 gennaio 2008
I Componenti della (Nuova) Casa
E così è stato che, non potendone più dei cambiamenti di umore della mia landlady e dell'odore del cibo dei miei amici cinesi e del fatto di vivere in campagna, mi sono trasferita in downtown!
Adesso vivo con cinque americani, 4ragazze e un ragazzo, un vero cambio di scena.
Sembrano simpatici e tutti da scoprire.
Aimee, la mia vicina di stanza, è completamente out of mind, nel senso più positivo del termine, si intende!
La mattina quando si alza e ha sempre gli occhi semi-chiusi,mi guarda e mi sembra che pensi "ma chi sei?", ma poi, passato il momento critico, inizia a sorridermi.
Non vede l'ora che arrivi il week-end per poter dormire fino alle due del pomeriggio, mentre il suo povero ragazzo, Eric, aspettando che si svegli, gioca da solo in salotto a wii.
Aimee è distratta, non beve il latte perchè lo trova indigesto, tranne quando serve per fare i cocktail, perchè, per sua stessa ammissione, sa già che tanto, in quel caso, le farà male comunque!
Diana è invece la persona più studiosa della casa, è di origine armena, studia biologia e domani si sveglia presto perchè alle 7.30 deve essere già in laboratorio per un esperimento con le mosche...le deve fermare prima che si riproducano!
Vanessa studia Sociologia, è sempre molto dolce con me, e i primi giorni si preoccupava un sacco che non dormissi per il fuso orario.
Nia è un pezzo forte, in tutti i sensi! E' rotonda e mi viene sempre una grande voglia di abbracciarla quando la vedo.
Nia è la cuoca del gruppo, i suoi muffin al cioccolato...mhmm...non li ho assaggiati, ma l'odore era più che eccellente.
Poi c'è Rob, lo scrittore. Rob studia per diventare screenwriter, cioè per diventare il nuovo sceneggiatore dei Graysanatomy e Dottor House del futuro. Rob adora Lost e Guitar Hero. Rob è sempre davanti alla TV, eh, che bella vita direte voi, ed invece no, lui lavora! Eh si, perchè, se ci pensate un attimo, per lui guardare i telefilm è come studiare...lo invidio tantissimo, lui si che ha l'alibi perfetto!
Rob beve sempre Coca Cola davanti alla TV, rigorosamente quella zero, mentre non ho ancora scoperto chi in casa beve la cherry-coca-cola...solo gli americani potevano concepire (e anche comprare!) una tale disgustosa bevanda.
Rob è il mio preferito.
L'altra sera guardavamo la TV e Rob dopo aver finito la sua solita Coca Cola Zero è andato a prendere dal frigo la pizza del giorno prima, l'ha riscaldata e ci ha bevuto su, mentre la mangiava, un bel bicchiere di latte!
Non fate le facce disgustate, siamo nella terra del "why not?". Io solo vorrei sapere perchè quando io tento di bere il latte come fanno loro con altri cibi che non siano dolci a me viene puntualmente l'acidità di stomaco...forse dovrei fare come Rob? Bere prima la Coca Cola? O forse semplicemente non sono allenata...ci vogliono anni di esperienza per costruirsi uno stomaco di amianto!
Adesso vivo con cinque americani, 4ragazze e un ragazzo, un vero cambio di scena.
Sembrano simpatici e tutti da scoprire.
Aimee, la mia vicina di stanza, è completamente out of mind, nel senso più positivo del termine, si intende!
La mattina quando si alza e ha sempre gli occhi semi-chiusi,mi guarda e mi sembra che pensi "ma chi sei?", ma poi, passato il momento critico, inizia a sorridermi.
Non vede l'ora che arrivi il week-end per poter dormire fino alle due del pomeriggio, mentre il suo povero ragazzo, Eric, aspettando che si svegli, gioca da solo in salotto a wii.
Aimee è distratta, non beve il latte perchè lo trova indigesto, tranne quando serve per fare i cocktail, perchè, per sua stessa ammissione, sa già che tanto, in quel caso, le farà male comunque!
Diana è invece la persona più studiosa della casa, è di origine armena, studia biologia e domani si sveglia presto perchè alle 7.30 deve essere già in laboratorio per un esperimento con le mosche...le deve fermare prima che si riproducano!
Vanessa studia Sociologia, è sempre molto dolce con me, e i primi giorni si preoccupava un sacco che non dormissi per il fuso orario.
Nia è un pezzo forte, in tutti i sensi! E' rotonda e mi viene sempre una grande voglia di abbracciarla quando la vedo.
Nia è la cuoca del gruppo, i suoi muffin al cioccolato...mhmm...non li ho assaggiati, ma l'odore era più che eccellente.
Poi c'è Rob, lo scrittore. Rob studia per diventare screenwriter, cioè per diventare il nuovo sceneggiatore dei Graysanatomy e Dottor House del futuro. Rob adora Lost e Guitar Hero. Rob è sempre davanti alla TV, eh, che bella vita direte voi, ed invece no, lui lavora! Eh si, perchè, se ci pensate un attimo, per lui guardare i telefilm è come studiare...lo invidio tantissimo, lui si che ha l'alibi perfetto!
Rob beve sempre Coca Cola davanti alla TV, rigorosamente quella zero, mentre non ho ancora scoperto chi in casa beve la cherry-coca-cola...solo gli americani potevano concepire (e anche comprare!) una tale disgustosa bevanda.
Rob è il mio preferito.
L'altra sera guardavamo la TV e Rob dopo aver finito la sua solita Coca Cola Zero è andato a prendere dal frigo la pizza del giorno prima, l'ha riscaldata e ci ha bevuto su, mentre la mangiava, un bel bicchiere di latte!
Non fate le facce disgustate, siamo nella terra del "why not?". Io solo vorrei sapere perchè quando io tento di bere il latte come fanno loro con altri cibi che non siano dolci a me viene puntualmente l'acidità di stomaco...forse dovrei fare come Rob? Bere prima la Coca Cola? O forse semplicemente non sono allenata...ci vogliono anni di esperienza per costruirsi uno stomaco di amianto!
venerdì 11 gennaio 2008
La Storia
Ma dove, come e perchè ha avuto inizio questa storia?
Come ci sono finita in questo telefilm americano, dove tutto è uguale ad una puntata di Dawson Creek?
Ecco la versione ufficiale: all'inizio era solo un pensiero, il desiderio di conoscere qualcuno davvero bravo nel mio campo e poi, forse, chissà, proviamo.
Questa storia affonda le sue radici nell'Agosto 2006, o meglio qualche mese prima, quando io e il "mio socio in affari" decidiamo, sotto consiglio "del grande capo" (preferisco mantenere le identità segrete, in quanto la missione, che sto per raccontare, era, ovviamente, segreta) di scrivere un articolo per una conferenza. Motivati dal fatto che tra gli "invitated speaker" della conferenza c'era anche "il nostro uomo", quindi una buona occasione per conoscerlo e farsi conoscere.
Fortunatamente l'articolo viene accettato e nell'Agosto 2006 io ed il Mio Socio partiamo alla volta di un paese sperduto del Canada, il solito paese "on the middle of nowhere", ma abbiamo una missione da compiere, mica siamo qua per divertirci!
Il Nostro Uomo appare al secondo e penultimo giorno della conferenza, dobbiamo avvicinarlo prima del suo talk, chiedergli, magari, di venire a sentire il nostro talk e, soprattutto, prima che lui riparta.
Nessuna occasione alla cena sociale. Il giorno dopo a colazione facciamo finta di seguire l'invited talk di uno sconosciuto, mentre invece studiamo le mosse del Nostro Uomo.
Ad un certo punto, colpo di scena, il Nostro Uomo finisce di bere il suo caffè, si alza ed esce dalla conference room.
Attimi di incertezza, guardo il Mio Socio, cosa fare? Lui sembra interdetto come me, ma poi, convinto, molto più di me, mi dice: "seguilo!".
Io, istintivamente mi alzo, lo seguo nel corridoio, e vedo la sua figura allontanarsi probabilmente verso l'ascensore, che è proprio dietro l'angolo, alla fine del corridoio a destra. Sono attimi, ma sembrano minuti, lo guardo e mi chiedo: si, vabbè, lo seguo, ma poi cosa gli dico?
E mentre la parte del mio cervello razionale si sta ancora interrogando, un'altra parte della mia personalità irrompe impetuosa e mi dice: "Questa è la chance che hai, forse cambierà la tua vita o forse no, ma non lo saprai mai se non provi!"
E prima ancora che la parte razionale riprenda a funzionare, le mie gambe sono in movimento, sto andando nella sua stessa direzione, ma lui è da un po' scomparso dietro l'angolo, e ormai non penso più, spero solo che l'ascensore non sia ancora arrivato, spero di trovarlo ancora lì in attesa e poi, se c'è, mi inventerò qualcosa, non penso ad altro se non a sperare. In fondo, I pretend with myself to be good nell'improvvisazione!
Ecco, ancora due passi, giro l'angolo e lui è lì, in attesa dell'elevator, lo saluto, con l'unica frase che avevo pronta da mesi: "Hi, may I introduce myself?" e poi, poichè non mi viene in mente nulla, gli dico, mentendo spudoratamente: "I read a lot of your papers". Lui, mi sorride, mi ringrazia, è imbarazzato forse più di me, credo che cerchi di capire chi sono e se mi ha mai letta come "nome in un paper".Nel frattempo l'ascensore arriva e io entro con lui, fingendo di essere lì proprio per il suo stesso motivo: take the elevator. Mentre l'ascensore corre veloce al sesto piano, lo invito al mio talk, se non ha nient'altro di meglio da fare, si gli dico così, è solo due ore più tardi, se vuole...lui guarda lo schedule, e mi dice che ci sarà. Arrivati, sesto piano, il mio era il quinto, ma farò finta sia il settimo, dopo di lui, lui esce dall'ascensore, siamo al piano superlusso, non il mio di certo, io sono confusa, le porte dell'ascensore si chiudono e un sorriso nasce spontaneo.
La parte irrazionale di me, ha già realizzato, molto prima di quella razionale, cosa tutto questo volesse dire e quale meccanismo avevo innescato in quel momento, un meccanismo che mi ha portato fino a qua. Per farla breve, lui poi è venuto al talk e quando, qualche mese più tardi, gli ho scritto chiedendogli cosa ne pensava di un "visiting period" lui mi ha risposto entusiasta che gli sembrava una buonissima idea.
Non ho ancora capito cosa lo entusiasmava e non so se è entusiasta ancora, ma sono qua.
E quando ripenso a quel corridoio, penso che nel film della mia vita quello è stato un momento topico, uno di quei momenti in cui sulla tua strada hai un bivio, a volte tu decidi, altre volte il destino ti aiuta, come, per esempio, un'ascensore che arriva in ritardo.
Come ci sono finita in questo telefilm americano, dove tutto è uguale ad una puntata di Dawson Creek?
Ecco la versione ufficiale: all'inizio era solo un pensiero, il desiderio di conoscere qualcuno davvero bravo nel mio campo e poi, forse, chissà, proviamo.
Questa storia affonda le sue radici nell'Agosto 2006, o meglio qualche mese prima, quando io e il "mio socio in affari" decidiamo, sotto consiglio "del grande capo" (preferisco mantenere le identità segrete, in quanto la missione, che sto per raccontare, era, ovviamente, segreta) di scrivere un articolo per una conferenza. Motivati dal fatto che tra gli "invitated speaker" della conferenza c'era anche "il nostro uomo", quindi una buona occasione per conoscerlo e farsi conoscere.
Fortunatamente l'articolo viene accettato e nell'Agosto 2006 io ed il Mio Socio partiamo alla volta di un paese sperduto del Canada, il solito paese "on the middle of nowhere", ma abbiamo una missione da compiere, mica siamo qua per divertirci!
Il Nostro Uomo appare al secondo e penultimo giorno della conferenza, dobbiamo avvicinarlo prima del suo talk, chiedergli, magari, di venire a sentire il nostro talk e, soprattutto, prima che lui riparta.
Nessuna occasione alla cena sociale. Il giorno dopo a colazione facciamo finta di seguire l'invited talk di uno sconosciuto, mentre invece studiamo le mosse del Nostro Uomo.
Ad un certo punto, colpo di scena, il Nostro Uomo finisce di bere il suo caffè, si alza ed esce dalla conference room.
Attimi di incertezza, guardo il Mio Socio, cosa fare? Lui sembra interdetto come me, ma poi, convinto, molto più di me, mi dice: "seguilo!".
Io, istintivamente mi alzo, lo seguo nel corridoio, e vedo la sua figura allontanarsi probabilmente verso l'ascensore, che è proprio dietro l'angolo, alla fine del corridoio a destra. Sono attimi, ma sembrano minuti, lo guardo e mi chiedo: si, vabbè, lo seguo, ma poi cosa gli dico?
E mentre la parte del mio cervello razionale si sta ancora interrogando, un'altra parte della mia personalità irrompe impetuosa e mi dice: "Questa è la chance che hai, forse cambierà la tua vita o forse no, ma non lo saprai mai se non provi!"
E prima ancora che la parte razionale riprenda a funzionare, le mie gambe sono in movimento, sto andando nella sua stessa direzione, ma lui è da un po' scomparso dietro l'angolo, e ormai non penso più, spero solo che l'ascensore non sia ancora arrivato, spero di trovarlo ancora lì in attesa e poi, se c'è, mi inventerò qualcosa, non penso ad altro se non a sperare. In fondo, I pretend with myself to be good nell'improvvisazione!
Ecco, ancora due passi, giro l'angolo e lui è lì, in attesa dell'elevator, lo saluto, con l'unica frase che avevo pronta da mesi: "Hi, may I introduce myself?" e poi, poichè non mi viene in mente nulla, gli dico, mentendo spudoratamente: "I read a lot of your papers". Lui, mi sorride, mi ringrazia, è imbarazzato forse più di me, credo che cerchi di capire chi sono e se mi ha mai letta come "nome in un paper".Nel frattempo l'ascensore arriva e io entro con lui, fingendo di essere lì proprio per il suo stesso motivo: take the elevator. Mentre l'ascensore corre veloce al sesto piano, lo invito al mio talk, se non ha nient'altro di meglio da fare, si gli dico così, è solo due ore più tardi, se vuole...lui guarda lo schedule, e mi dice che ci sarà. Arrivati, sesto piano, il mio era il quinto, ma farò finta sia il settimo, dopo di lui, lui esce dall'ascensore, siamo al piano superlusso, non il mio di certo, io sono confusa, le porte dell'ascensore si chiudono e un sorriso nasce spontaneo.
La parte irrazionale di me, ha già realizzato, molto prima di quella razionale, cosa tutto questo volesse dire e quale meccanismo avevo innescato in quel momento, un meccanismo che mi ha portato fino a qua. Per farla breve, lui poi è venuto al talk e quando, qualche mese più tardi, gli ho scritto chiedendogli cosa ne pensava di un "visiting period" lui mi ha risposto entusiasta che gli sembrava una buonissima idea.
Non ho ancora capito cosa lo entusiasmava e non so se è entusiasta ancora, ma sono qua.
E quando ripenso a quel corridoio, penso che nel film della mia vita quello è stato un momento topico, uno di quei momenti in cui sulla tua strada hai un bivio, a volte tu decidi, altre volte il destino ti aiuta, come, per esempio, un'ascensore che arriva in ritardo.
Intermezzo 2
E' così sono in una nuova casa, tutta composta da americani questa volta...un vero giro di boa! Pensate non ci sia niente da raccontare? Mica proprio, credo che i miei roommate saranno vera fonte di ispirazione nei prossimi mesi...spero solo di avere il tempo di scrivere!
lunedì 7 gennaio 2008
Giro di Boa: ricomincia l'avventura!
Ed eccoci di nuovo qua, dopo la pausa natalizia, a ricominciare l'avventura.
Pausa davvero restful: dormito, mangiato (un sacco e costantemente), incontrato cari amici.
Non potevo desiderare di meglio, forse solo un po' di freddo in meno...speravo in un tempo più clemente e meno simile al michigan weather!
Anyway, dove sono? Ah, ah...a quest'ora dovrei già essere ad ann arbor, ed invece sono ancora all'aeroporto di Frankfurt...a fare?
Avevo prenotato un volo Lufthansa per stare al riparo da imprevisti, tipo scioperi e ritardi cronici, perdita di bagagli and so on...ma al riparo non si è mai!
Ironia del destino, il volo da Roma ha fatto tardi e una volta arrivata a Frankfurt ho perso la coincidenza per Detroit...perso, detto così sembra facile, invece la storia ha degli interessanti sviluppi.
Appena arrivati a Frankfurt, io ed un manipolo di americani ci precipitiamo al Gate, corsa da infarto per arrivarci. Arriviamo, l'aereo è ancora lì, attaccato al finger, ma non ci fanno passare, l'imbarco è chiuso.
Ed è qui che la differenza di cultura si fa palese.
I Tedeschi. Sempre troppo poco flessibili, l'imbarco è chiuso e se è chiuso è chiuso, niente da fare. Niente strappi alla regola, niente eccezioni.
Gli Americani. Loro abituati alla "customer satisafction" ed ad essere coccolati, riveriti e sempre ben serviti da qualsiasi company, iniziano ad inveire sul personale, pur gentilissimo, della Lufthansa.
C'è chi dice che non volerà più con questa compagnia, chi vuole indietro i soldi del biglietto, chi parla di "pessimo servizio clienti". E così una delle migliori compagnie aeree europee viene in pochi minuti screditata, e a me viene da pensare: ma questi hanno mai viaggiato con alitalia? Ma questo è: il miglior standard europeo non è paragonabile al livello medio americano, almeno per loro.
Arrivano perfino ad ipotizzare che abbiano venduto i nostri posti e che l'aereo fosse overbooked.
E infine io.
Gli Italiani. Io, come tutti gli italiani, abituati a viaggiare alitalia, non protesto, mi sembra normale, non mi sembra valga la pena di protestare, in fondo mi sembra che stiano cercando di fare il loro lavoro, mi pagano la notte in hotel, con cena e colazione inclusa e mi prenotano sul volo per domani.
L'impiegato della Lufthansa è gentilissimo e quando scopre che sono di Bari, inizia a dire: beatiful, nice, I love it.
Ormai ci sono abituata alle manifestazioni di affetto degli stranieri nei confronti della mia terra, anche se non riesco più ad apprezzarle, vedendo come è martoriata e trascurata e quello di cui parlano gli stranieri mi sembra una realtà così lontana.
Bella? Si bella la spazzatura a Napoli!
E sono triste al pensiero di quanto la sua bellezza si perda oggi giorno sempre più, avvelenata da una classe politica mediocre e miope, che non ama...se non il potere.
Pausa davvero restful: dormito, mangiato (un sacco e costantemente), incontrato cari amici.
Non potevo desiderare di meglio, forse solo un po' di freddo in meno...speravo in un tempo più clemente e meno simile al michigan weather!
Anyway, dove sono? Ah, ah...a quest'ora dovrei già essere ad ann arbor, ed invece sono ancora all'aeroporto di Frankfurt...a fare?
Avevo prenotato un volo Lufthansa per stare al riparo da imprevisti, tipo scioperi e ritardi cronici, perdita di bagagli and so on...ma al riparo non si è mai!
Ironia del destino, il volo da Roma ha fatto tardi e una volta arrivata a Frankfurt ho perso la coincidenza per Detroit...perso, detto così sembra facile, invece la storia ha degli interessanti sviluppi.
Appena arrivati a Frankfurt, io ed un manipolo di americani ci precipitiamo al Gate, corsa da infarto per arrivarci. Arriviamo, l'aereo è ancora lì, attaccato al finger, ma non ci fanno passare, l'imbarco è chiuso.
Ed è qui che la differenza di cultura si fa palese.
I Tedeschi. Sempre troppo poco flessibili, l'imbarco è chiuso e se è chiuso è chiuso, niente da fare. Niente strappi alla regola, niente eccezioni.
Gli Americani. Loro abituati alla "customer satisafction" ed ad essere coccolati, riveriti e sempre ben serviti da qualsiasi company, iniziano ad inveire sul personale, pur gentilissimo, della Lufthansa.
C'è chi dice che non volerà più con questa compagnia, chi vuole indietro i soldi del biglietto, chi parla di "pessimo servizio clienti". E così una delle migliori compagnie aeree europee viene in pochi minuti screditata, e a me viene da pensare: ma questi hanno mai viaggiato con alitalia? Ma questo è: il miglior standard europeo non è paragonabile al livello medio americano, almeno per loro.
Arrivano perfino ad ipotizzare che abbiano venduto i nostri posti e che l'aereo fosse overbooked.
E infine io.
Gli Italiani. Io, come tutti gli italiani, abituati a viaggiare alitalia, non protesto, mi sembra normale, non mi sembra valga la pena di protestare, in fondo mi sembra che stiano cercando di fare il loro lavoro, mi pagano la notte in hotel, con cena e colazione inclusa e mi prenotano sul volo per domani.
L'impiegato della Lufthansa è gentilissimo e quando scopre che sono di Bari, inizia a dire: beatiful, nice, I love it.
Ormai ci sono abituata alle manifestazioni di affetto degli stranieri nei confronti della mia terra, anche se non riesco più ad apprezzarle, vedendo come è martoriata e trascurata e quello di cui parlano gli stranieri mi sembra una realtà così lontana.
Bella? Si bella la spazzatura a Napoli!
E sono triste al pensiero di quanto la sua bellezza si perda oggi giorno sempre più, avvelenata da una classe politica mediocre e miope, che non ama...se non il potere.
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