venerdì 31 luglio 2009

Come perdere ai supplementari la finale dei mondiali ed essere contenti lo stesso...

"We are the champions - my friends - and we'll keep on fighting - till the end " cantano i queen e io avrei voglia di cantare a squarciagola in questo momento e invece scrivo, perchè so che questa notte non dormirò, perchè è troppa l'adrenalina in circolo, troppa la felicità che scorre come un fiume in piena...la più grande soddisfazione professionale della mia vita, e mentre lo scrivo ancora non me ne rendo conto, non mi rendo conto di quello che è successo e stento a crederci. Tutto è iniziato sei mesi fa, quando ho convinto un gruppo di studenti a partecipare ad una competition organizzata da Google, un po' per gioco, un po' per amore...della sfida. Li ho subito messi in guardia, puntiamo a vincere, ma non facciamoci troppe illusioni, ci sono i giganti americani, le università da 50000 dollari a semestre, inutile competere, ma ci proviamo, dissi, magari ci divertiamo, magari impariamo qualcosa. Ed è iniziato tutto per gioco, con gli incontri in cui cercavo di motivarli, abbiamo aperto un forum, siamo andati insieme a prendere una birra e sempre parlavamo di una e una sola cosa: la competition, le migliori strategie, come vincere, come battere il gigante, the BigG. Poi io sono partita per Trento, ma non abbiamo smesso di provarci, parlavamo via skype, io spendevo le mie notti a correggere le loro relazioni e a dare consigli, loro si sentivamo un po' abbandonati ma non mollavano e io, da lontano, cercavo di essergli vicino. E poi è arrivato luglio, competition finita, e non c'era nient'altro da fare se non aspettare, aspettare i risultati. Poi stasera, eccoli!, li guardo, li guardo ancora, li sto ancora guardando e non ci credo, non credo ai miei occhi, e quasi tremo e sono commossa, ma non riesco a piangere, lì su quella pagina c'è il mio nome. Non abbiamo vinto, no, ma abbiamo una menzione di onore, siamo ottavi su 2137 team che hanno partecipato da tutto il mondo. Il mio nome è su quella pagina, il nome della mia università, troppo spesso bistrattata, troppo spesso sconosciuta ai più, ora è lì e ha qualcosa da dire, qualcosa di positivo, e resterà lì per un po' e molti lo vedranno, insieme ai nomi delle università americane, insieme ai giganti che abbiamo battuto e lasciato indietro, là, sul tetto del mondo, oggi ci siamo noi. Ed ero già orgogliosa dei miei studenti, già prima di questo, per quanto si erano impegnati e non mi aspettavo nulla di più, già quello mi bastava, mi bastava aver rispettato quella massima greca che dice: lo studente non è un vaso da riempire, ma un legno da accendere. E la competition ci aveva accesi tutti e tanto bastava, avevo rispettato il mio dovere di insegnante.
Ora, ora sono commossa, e questo mi sembra la giusta ricompensa, la più bella ricompensa di tutto lo sforzo che mi costa e che spesso sembra inutile.
Sono questi i momenti per cui vale la pena di vivere? Beh, decisamente si, e anche perchè qui, come al solito, non si tratta solo di lavoro, si tratta di persone che hanno dedicato le loro ore, il loro sonno perduto ad una cosa in cui credevano, tutti, senza esclusione e quindi tutti meriterebbero che il loro nome fosse lì su quella pagina, purtroppo c'è solo il mio, anche se so che il mio non rappresenta me, ma la mia squadra, la fatica di tutti e mai come in questo momento capisco cosa provano gli allenatori, cosa ha provato Guardiola quando ha vinto la Champions League e guardava incantato lo stadio e, mentre i suoi festeggiavano, lui non poteva credere, non poteva credere a quello che vedevano i suoi occhi...come io ancora non ci credo.

mercoledì 15 luglio 2009

Racconti da emigrante: La sciura

L'altro giorno parlavo con flo e lui ogni due parole intervallava il suo discorso dicendo: "ma è proprio una sciura", "sembra proprio una sciura", al che io dopo 15 minuti di sconcerto, in cui avevo finto di capire, chiedendomi se dovevo ridere o meno, se fosse cioè un soprannome ridicolo o altro, mi sono decisa a chiedere: "scusa flo, ma che cos'è la sciura?". E lui mi ha guardato un po' incredulo e poi ha detto: "la signora" in milanese, sorpreso che non conoscessi il termine.
Mi sono sentita molto emigrante, un po' come quando non sapevo cosa fosse la "cadrega", ricordate il film di aldo giovanni e giacomo? :)

Quando le parole non bastano (2)

Ammetto, il post dell'altro giorno nascondeva istinti maniaco-depressivi, ma quando si è soli la testa inizia a girare veloce e come dice qualcuno è come un computer che si surriscalda e poi...schermata blu!
Per questo scrivo, perchè quando ho una grande tristezza dentro, un grande peso sul cuore, l'unico modo che trovo, l'unico modo che conosco, sin da quando ero bambina, per alleviarlo è scrivere.
Perchè scrivendo riverso la tristezza nelle parole, e quelle parole ne risultano poi intrise, ma il mio animo, poi, non lo è più, e torna a sentirsi leggero.
Il sentirsi soli e malinconici a volte piega e spesso la mia unica difesa è scrivere, andare a scrutare il proprio animo, scrostarlo dalla tristezza, ripulirlo, pazientemente, con ogni parola; come se ogni parola scritta sulla carta potesse medicare quelle ferite aperte, e liberare quei nodi non sciolti, ridandoti le ali.
Per me scrivere è questo e molto più di questo, è comporre la mia immagine nella pagina che ho di fronte, che come uno specchio riflette me stessa servendosi delle parole.
Parole, parole, parole, che a volte non servono, ma che a volte, facendosi carico di tutta la mia tristezza, mi aiutano a volare ancora.

venerdì 10 luglio 2009

Quando le parole non bastano

Parole, parole, parole, scritte in un email o digitate freneticamente in una finestra di chat, manifestate platealmente su facebook o semplicemente sussurrate attraverso il caro vecchio phone o sparate in cuffia dall'mp3.
Sono queste le parole che ho trovato in questo giorno, che è uno di quei giorni in cui vorresti semplicemente andare a prendere una birra con un amico e raccontargli come stai.
Ma i miei amici sono sparsi per il mondo, tutti su facebook e nessuno qui, e oggi le parole proprio non mi bastano, non possono bastare, e le parole di una canzone servono solo a far sentire più forte la malinconia, a farla bruciare.
Oggi ho il cuore scoperto e vulnerabile, aperto al mondo e indifeso.
A volte mi capita e non mi dispiace, anche se fa male, come una ferita scoperta.
E' solo che, a volte, avresti bisogno di toccare le dita di una mano, di stringere mani nella tua, o di guardare negli occhi qualcuno che sai può leggere nei tuoi, di abbracciare e sentire il calore, di sentirsi abbracciati.
A volte le parole non possono bastare e non bastano, e non possono sostituire quella birra insieme, bevuta all'aria aperta mentre il sole tramonta, raccontandosi come va. Osservando le persone passare e la vita andare.
Ci sono gesti che nessuna parola può sostituire, di cui si ha bisogno in certe sere come questa, quando le parole, da sole, non bastano, anzi, non servono.