martedì 12 luglio 2011

Fare lo scrittore

E’ una sera d’estate, calda, fin troppo, e non posso fare a meno di bere bicchieroni di menta ghiacciata, uno dopo l’altro, sperando che la sete si calmi e, con l’avvicinarsi della notte, anche il caldo. Forse è una speranza vana, ma come ogni speranza non va uccisa, ma sostenuta, sempre. Oggi sono in vena di scrivere, ma non di scrivere un semplice post, come sto facendo, ma sono innamorata, di nuovo, dell’idea di scrivere.
Fare la scrittrice è sempre stato il mio sogno, sin da quando ero bambina, e ho sempre creduto, anche se con momenti di up&down, che un giorno ci sarei riuscita.
Quando smettevo di crederci c’era sempre qualche evento che faceva rinascere la speranza, per esempio c’è stato il periodo dei romanzi di Montalbano, e quando ho letto l’età di Camilleri ho pensato: “Succeda quel che succeda non devo mai smettere di sperare di realizzare questo sogno, neanche a 70 anni, se per allora non sarò ancora diventata una scrittrice di successo. Vedi Camilleri, è diventato famoso quando alla sua età gli altri sono ormai in pensione e si limitano a fare passeggiate nei parchi con i nipotini”.
E poi non è mica il solo, ci sono tante storie di scrittori famosi, che prima di diventare scrittori facevano un “mestiere normale”.
Uno di questi scrittori ho incontrato qualche sera fa a un Festival del libro (Il libro possibile), uno dei tanti che ci sono in estate. C’è da dire che non era uno scrittore come tanti, era uno dei miei preferiti. La cornice del Festival era bellissima, scrittori famosi ed emergenti raccontavano i loro libri in diverse piazze del paese, tutti per un tempo limitato, mezz’ora per raccontare il loro libro, per far venire voglia a noi lettori di leggerlo. Il programma prevedeva diverse presentazioni in altrettante corti del paese, che come tanti piccoli teatri a cielo aperto accoglievano i lettori desiderosi di ascoltare. E’ stata una serata bellissima e la gente è rimasta ad ascoltare gli scrittori finalisti del premio Strega fino all’una e un quarto, tanto che Edoardo Nesi, fresco di premio Strega vinto solo poche ore prima ha detto: “Sono contento di essere venuto qui a Polignano e non essere rimasto a casa mia a Prato a riposarmi, anche se sono stremato. Non ho mai visto una piazza così gremita di gente per ascoltare scrittori parlare dei loro libri, peraltro ad un’ora così tarda!”.
Ma torniamo al punto del post, al mio ritorno di fiamma per il mio sogno di sempre, fare la scrittrice, non diventare scrittrice, perché ogni scrittore ha sempre la presunzione di esserlo già ☺.
Alla fine di ogni presentazione gli autori erano disponibili per firmare le copie dei loro libri e io, naturalmente, ne avevo portate ben due da far firmare! Quando è stato il mio turno - dopo una lunga fila in cui strizzavo il mio cervello pensando a cosa dire e soprattutto pensavo “non dire frasi banali, ti prego!” – ho deciso di fare la domanda che più mi stava a cuore, ma prima, educatamente, dopo aver porto il mio libro e detto il mio nome, ho chiesto: “Posso farle una domanda?” e lui, altrettanto educatamente: “Certo, dimmi Azzurra” e qui non posso non aprire una piccola parentesi sul tono amichevole con cui lui mi si è rivolto, portando il dialogo su una soglia così diversa da quella iniziale che io, senza accorgermene, ho continuato passando al più confidenziale “tu”.
“Volevo chiederti se quando facevi XXX [il suo lavoro] sapevi o pensavi che un giorno saresti diventato scrittore” e lui, visibilmente emozionato, come se gli avessi chiesto qualcosa che lo toccava profondamente nell’intimo, mi risponde con gli occhi bassi e quasi non riesce a guardarmi mentre dice (e c’è da dire che io non pensavo assolutamente di provocare questa reazione di emozione, anzi, pensavo: chissà quante volte gli avranno fatto questa domanda, mi risponderà scocciatissimo e invece…) “Lo sognavo sempre, ma non pensavo che sarebbe accaduto, ma la vita è così, a volte capita un evento, una scintilla e cambia tutto” e allora io quasi per venirgli in soccorso e toglierlo dall’imbarazzo in cui mi sembrava di averlo posto con la mia domanda ho detto: “Quindi posso continuare a sperare che un giorno…” e lui “Si certo, nella vita non si può mai dire, io non pensavo, ma, vedi, è difficile da spiegare con le parole” e su questa frase gli ho stretto la mano, dopo avergli detto che il libro che mi aveva appena firmato era bellissimo (eh, non ce l’ho fatta a non essere banale, sorry) e sono quasi scappata, perché mi sembrava di avergli chiesto una cosa che lo toccava troppo nell’intimo, in un momento che di intimo non aveva nulla, il chiasso, la gente e il poco tempo a disposizione tutto intorno. Sono andata via, ma mi sono fermata non troppo lontano, per cui potevo guardarlo continuare a firmare autografi e lì con mio sommo stupore mi sono commossa.
Uno scrittore che resta senza parole, uno scrittore che mi dice: “E’ difficile da spiegare con le parole”?!
Si, nella vita può succedere di tutto.
Si deve sempre continuare a sperare.

lunedì 4 luglio 2011

Prime impressioni

Sono passate due settimane da quando ho iniziato il nuovo lavoro e tutti mi chiedono come va e io non so bene come rispondere, perché ancora non lo so bene.
Prime impressioni, dovrei averle dopo due settimane, non giudizi definitivi, si intende, prime impressioni, appunto.
Che dire, la prima grande differenza rispetto all’università è che esco alle 6 dall’ufficio e ogni giorno faccio otto ore di lavoro e basta. Quando esco non penso più al lavoro. Al mattino faccio tutto di corsa e non mi sveglio più con la sensazione di essere frustata e impotente in un mondo di baroni.
Però non è tutto rose e fiori, il mio nuovo lavoro mi sembra un po’ più noioso e ripetitivo di quello all’università, e mi sembra anche un po’ finto.
Il mondo della consulenza, si sa, non è pulitissimo e spesso si gioca sporco e si abbassano i costi sulle spalle dei consulenti che sono poi costretti a essere allocati su più progetti contemporaneamente e a fare i salti mortali.
Non so quanto tempo potrò resistere, ho davvero l’impressione che “questo mondo” non sia per me, che se seguissi il mio cuore sarei in riva al mare a scrivere e non chiusa in una stanza con altre 20 persone alla luce artificiale per 8 ore al giorno, 5 giorni a settimana.
(Lo so cosa state pensando, che tutti lo vorrebbero, però io credo davvero che sia possibile, che non sia solo un sogno)
Mi chiedo se sarò mai contenta di questa mia vita, se un giorno troverò la mia strada. Non voglio rassegnarmi a vivere di weekend o di vacanze, ho ancora il sogno nascosto che tutta la vita possa essere una vacanza. Ho ancora il sogno e la speranza che tutta la giornata debba e possa valere la pena di essere vissuta, non solo una parte di essa.
Vedremo. L’università un po’ mi manca, anche se so che è stato giusto lasciare, non volevo più essere schiava e se mai vi ritornerò sarà in un posto dove mi sentirò libera e non più schiava.
Voglio vivere la mia vita come fosse una canzone, come fosse questa canzone: http://www.youtube.com/watch?v=fyFwZSOgOGI

lunedì 6 giugno 2011

Vivi ogni giorno come fosse l’ultimo…oppure…

Ho ancora negli occhi la bellezza dell’agriturismo in cui abbiamo trascorso la scorsa settimana. Mi basta socchiudere gli occhi e mi sembra di respirare l’aria fresca del mattino, di sentire il dolce cinguettio degli uccellini e di vedere la valle che si estende sotto il podere a perdita d’occhio.
E poi, se indugio ancora un po’, mi sembra di sentire il sole caldo sulla pelle, mentre a bordo piscina leggo il mio libro “da vacanza”. Una buona vacanza dovrebbe sempre essere accompagnata da un buon libro, anche se il libro non dovrebbe essere troppo buono, nel senso che se ti prende troppo finisci per trascorrere tutto il giorno a leggere e allora non fa differenza essere rimasti a casa o essere in un posto splendido e incontaminato (o forse si). Durante questa settimana di vacanza ho letto uno di quei libri che non riesci a mettere giù, se non forzandoti, legandoti le mani e bendandoti gli occhi: One Day di David Nicholls. Devo ammettere, con un po’ di imbarazzo e un po’ di vergogna, che ho pianto, leggendolo, come una fontana. Nei commenti di copertina (commenti ai quali spesso non presto attenzione perché mi sembrano spesso solo pubblicità gratuita), c’era scritto: “You really do put the book down with the hallucinatory feeling that they’ve become as well known to you as your closest friends”. Quando l’ho letto ho pensato: “mah, solita frase…” e invece no, è proprio così, alla fine ti sembra che siano davvero i tuoi più cari amici e non puoi fare a meno di “voler entrare nella storia” e voler dire la tua, e dare due sberle ad uno e anche all’altra, “ma come fate a non accorgervene? è tutto così palese!” ti verrebbe voglia di gridargli. Prima di questo libro avevo avuto la stessa sensazione e avevo provato le stesse forti emozioni solo con un altro libro: “I ragazzi della via Pal”, certo erano altri tempi e avevo anche un’età diversa, 10 anni, ovvero 20 anni fa, ma la sensazione la ricordo, nitida ancor adesso. Se vi capita di leggerlo, anche nella versione italiana (Un giorno) vorrei tanto sapere se ha fatto piangere anche voi e, se no, quale è stato un libro che vi ha fatto piangere e sentire i personaggi così vicini, ma così vicini, da poterli quasi toccare.
Vi lascio con uno stralcio dal libro (tradotto da me molto liberamente dal testo inglese): “Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo - questo è il consiglio che si da’ sempre, ma poi, chi ha l’energia per seguirlo? Cosa succede se quel giorno piove o ti senti un po’ giù? Semplicemente non è pratico. Molto meglio, di gran lunga, semplicemente provare ad essere buoni e coraggiosi e audaci e fare la differenza. Non esattamente cambiare il mondo, ma quel po’ che c’è intorno a te. Vai là fuori con la tua passione, la tua macchina da scrivere elettrica e lavora duro per…qualcosa. Cambia le vite attraverso l’arte, magari. Abbi cura dei tuoi amici, stai saldo con i tuoi principi, vivi con passione, pienamente e bene. Sperimenta cose nuove. Ama e sii amato, se ne hai la possibilità.”

martedì 17 maggio 2011

Goodbye academia, I get a life

Questa storia potrebbe iniziare come il film che ho deciso di vedere stasera, mentre mangerò, finalmente in pace con me stessa, il mio filetto di salmone con gli asparagi e un filo di glassa di aceto balsamico: “Quando ero bambino non facevo altro che pensare a come sarei stato da grande, a cosa sarei riuscito a fare nella vita a che tipo di persona sarei diventato e tra i mille sogni ad occhi aperti che facevo alla fine sceglievo sempre lo stesso: ci sono io, beato, che dormo nel grande letto della mia casa, poi leggera e bellissima la mia canzone preferita…” E’ l’inizio di Generazione Mille Euro, uno dei tanti film sulla “nostra condizione”, ma quale condizione poi? In questo periodo ho avuto modo di rifletterci molto, passando dalla depressione più completa alla gioia più grande e poi giù di nuovo e infine su, come su un’infinita montagna russa.
All’inizio la forzata presa di coscienza che così non si può andare avanti, eh si, è sempre stato un mio sogno essere una ricercatrice, lavorare all’università, insegnare, ma fino a quando e fino a quali condizioni un sogno rimane tale? Fino a quando un sogno resta tale se ti spinge a rinnegare te stessa, le persone che ti sono intorno, la vita, quando un sogno che ti toglie la libertà diventa un incubo? Non voglio parlare male dell’università, ci sono tante realtà che sono splendide e tante persone che lavorano nell’ombra, sottopagate e con pochi mezzi, e a loro va tutta la mia ammirazione, io sono una di quelle, anche se ancora per poco.
Però, mi chiedo se in nome di un sogno sia giusto sacrificare la propria libertà, e non parlo solo del fatto che spesso l’università sia assorbente e ti spinga a dimenticarsi del resto del mondo o del fatto che la ricerca di fondi spesso è disperata, perché ci sono poche risorse e molte persone meritevoli (leggete questo illuminante blog post: “Goodbye Academia, I get a life” a cui mi sono liberamente ispirata per il titolo di questo post). Parlo del fatto che in Italia stare all’università significhi sottostare in tutto e per tutto al volere di un professore, che quando va bene si fa carico del tuo futuro, ma che lo fa nei modi che lui ritiene più giusti e opportuni. Parlo del fatto che nell’università non esiste il merito, che per quanto sei brava e ti possa impegnare non puoi da sola cambiare le cose e che se i soldi non ci sono, non ci sono e basta, puoi anche essere Einstein, questo non cambierà le cose. Parlo della tanta fretta che si aveva di approvare la riforma Gelmini, perché necessaria all’università e dell’enorme ritardo che invece stiamo sperimentando aspettando ormai da 6 mesi i cosiddetti decreti attuativi che dovrebbero dire come istanziare la riforma. Ma se era così importante riformare l’università perché allora non si emanano questi famosi decreti attuativi? Perché forse l’unica cosa importante da fare era tagliare, per la riforma vera si può aspettare invece. E così accade che un sacco di persone, come la sottoscritta, siano senza stipendio da mesi e nonostante ciò vadano comunque a lavorare ogni mattina. Ma fino a quando? Io non posso dire al mio padrone di casa che non posso pagargli l’affitto fino a quando la Gelmini non farà i decreti attuativi, né posso dirlo al supermercato quando vado a fare la spesa. Ho 31 anni, sono sposata da poco, ma l’idea di poter aver una famiglia non può rientrare nei miei piani adesso, così come quella di comprare una casa. Faccio lezione all’università e il mio corso sarà pagato la bellezza di 900euro alla fine dell’anno, meno di quanto è pagato per un mese un insegnante di palestra (con tutto il rispetto per gli insegnanti di palestra). E poi, anche quando lo stipendio ce l’hai, ti arriva con due mesi di ritardo e in tutto ciò la tua vita è in stand-by.
Quindi l’università è bloccata? Be’ non proprio, i problemi in realtà sono solo per i poveri cristi, come me, per i figli di chi conta si trova sempre una via di uscita, a tal proposito basta vedere la puntata “illuminante” di Report.
La cosa davvero brutta però è che in tutta questa storia alla fine ti fanno sentire incapace, e tu inizi a crederci veramente, inizi a credere veramente che dipenda da te, che se non ce la fai è perché non sei abbastanza bravo e i sensi di colpa per aver deluso te, i tuoi genitori e tutte le aspettative su di te ti assalgono e diventano una prigione. Questo dice il protagonista di un altro film illuminante “C'è chi dice no!”, dove la nostra situazione è spiegata benissimo.
E bene, a un certo punto ti accorgi che il sogno non è più un sogno, perché ti sta distruggendo, perché ti sta succhiando l’anima, facendoti diventare una persona rancorosa, frustata e sempre triste, ti sta spegnendo il sorriso.
E allora basta, allora basta, è ora di cambiare direzione, diventare l’ennesimo cervello in fuga. Ci ho provato, ma un sogno non è più un sogno quando chiede di abdicare alla tua libertà, e io questo non posso farlo: “Goodbye academia, I get a life”

domenica 30 gennaio 2011

Al posto giusto al momento giusto

Mi sono chiesta in questi giorni come sono finita a fare un corso per operatrice shiatsu.
Allora, facciamo un passo indietro: ho deciso che volevo imparare quando circa due settimane fa ho fatto il mio primo trattamento shiatsu e, mentre lo ricevo, pensavo: “anche io voglio essere capace di comunicare questo ad un altro corpo, anche io voglio danzare così in sintonia con un altro corpo.”
Poi la casualità ha voluto che ci fosse un corso shiatsu proprio nella mia palestra, lì a portata di mano, sembrava aspettarmi.
Ma continuiamo a fare non uno, ma due passi indietro. Come sono finita a fare il trattamento shiatsu? Avevo trovato un’offerta su City Deal a cui non si poteva dire di no.
Però c’è da dire che non avrei mai comprato un coupon per un massaggio shiatsu se non lo avessi assimilato (erroneamente) ai massaggi fatti in Thailandia. Quindi forse l’origine e la causa di tutto questo vanno ricercati nel viaggio in Thailandia? Non saprei dire perché abbiamo scelto di andare là, però una ragione ci sarà sicuramente, ma penso che a questo punto non sia neanche importante.
Anche perché in realtà, pensandoci, non c’è una sola causa, il trattamento shiatsu da solo non sarebbe bastato a convincermi se non ci fossero stati tanti altri piccoli pezzi di puzzle che si sono combinati per dare vita a questo quadro bellissimo: 1) il corso nella mia palestra, praticamente a portata di mano (e quindi forse dovremmo risalire alla causa che mi ha portato a iscrivermi là e non da un’altra parte?); 2) il maestro, che io già conoscevo come maestro di Aikido e che mi aveva sempre affascinato quando lo vedevo far lezione, perché percepivo chiaramente che aveva un’energia positiva, un’energia che un giorno mi sarebbe piaciuto incontrare e quale occasione migliore di questa?
Va bene, lo so, tutto questo discorso non ha molto senso, lo ammetto, volevo solo giocare, le cose succedono un po’ per caso, un po’ per volontà e se pur è vero che bisogna trovarsi al posto giusto al momento giusto, bisogna anche saper cogliere le opportunità quando ci troviamo in quel famoso posto giusto al momento giusto, senza lasciarle scivolare via.
Io oggi scrivo questo post e non so se questo percorso che ho appena iniziato sarà solo una piccola parentesi nella mia vita o se, invece, ne cambierà la direzione o se mi aprirà chissà quali altre porte che io non immagino ancora, chissà, sono qui per scoprirlo e non vedo l’ora di percorrere questa strada insieme al mio maestro e ai miei compagni di avventura che come me vogliono imparare questa nobile arte.