Voglio raccontare di una "eterea" esperienza che ha caratterizzato i giorni che hanno preceduto il Natale. Amo molto le attese, credo servano a capire l'importanza di ciò che si attende, a non essere impreparati e a gustare ogni singolo minuto che precede l'evento. Credo che per una persona cristiana, quale io cerco faticosamente di essere, il modo più bello di attendere il Natale sia quello di partecipare alla Novena. La Novena, come suggerisce il nome, dura per nove giorni, dal 16 dicembre alla vigilia di Natale (domenica esclusa).
Quest'anno mi sono animata delle migliori intenzioni, anche se, devo dire, avevo pochissima fiducia in me, mi piace troppo dormire e la prospettiva di svegliarmi alle 6 di mattina, per arrivare in Chiesa alle 6.30 mi spaventava non poco. Però ho deciso di provare!
Il primo giorno, quando ancora non hai accumulato la stanchezza dei giorni e hai l'entusiasmo della novità, è facile, mi sono svegliata pimpante e sono uscita di casa che era ancora buio.
Uno dei punti fondamentali della novena è che deve iniziare quando è ancora buio, perchè è "attesa della luce": ogni giorno, per nove giorni, si attende l'alba e si attende il Natale che porterà la "vera luce".
Quando sono arrivata in Chiesa il primo giorno sono rimasta sorpresa dalla quantità di gente presente, ma soprattutto dal fatto che fossero rappresentate tutte le età! La prima cosa che uno pensa quando pensa alla novena, io per prima, è schiere di vecchiette con il velo nero in testa che non hanno nulla di meglio da fare al mattino se non andare in Chiesa, anche perchè si svegliano naturalmente presto.
Invece, lo stupore è una costante della mia vita, perchè niente è mai come uno si aspetta: c'erano genitori, ragazzi delle superiori con lo zaino in spalla, giovani trentenni come me, per un totale di 150 persone, la chiesa piena come se fosse una messa della domenica alle 10 del mattino! La preghiera durava un'oretta, molto intensa, mentre i raggi del sole facevano piano piano capolino dalle finestre, noi pregavamo insieme e fuori si faceva piano piano giorno, ogni minuto un po' di più. Alle 7.30 eravamo tutti fuori, c'era chi scappava subito, perchè magari era già in ritardo, chi invece, come me, si tratteneva a chiacchierare. All'uscita infatti, ho scoperto, ognuno condivideva con gli altri qualcosa che aveva portato: cioccolato caldo, caffè, ciambelle, biscotti, crostate, tutto, rigorosamente, homemade! E così, tra un sorriso, un ciao, un morso alla ciambella, un "buon lavoro e buona giornata" e un sorso di caffè, si salutava l'alba insieme. I ragazzi delle superiori discutevano dei compiti di latino, i medici della mancanza di affiancamento, gli ingegneri della cassa integrazione, in un miscuglio di vite e di sentimenti che faceva apparire la tua giornata molto meno pesante del solito. "Ebbene si, devo contattare i partner per quel progetto - pensavo - nessuno ancora mi ha risposto, ma alla fine se deve andare andrà e guarda qua, tutti hanno la loro dose di "casi da risolvere" oggi, ma tutti hanno un sorriso sulle labbra".
Dopo questo primo giorno, ho continuato per tutti i nove giorni, per quanto la stanchezza si facesse sentire sempre di più, ma vedere che si faceva alba ogni giorno, ogni giorno di più, era impagabile ed irrinunciabile. Iniziare la giornata così mi dava davvero una marcia in più.
All'inizio non volevo chiamarlo "sacrificio" questo sacrificio di alzarmi all'alba, quando la voglia di dormire è travolgente, mi sembrava che il termine avesse qualcosa di negativo e non lo volevo associare a qualcosa che di negativo per me non aveva niente.
Poi, però, ho scoperto che il termine sacrificio, significa rendere sacro e quindi ho pensato che quello era, invece, un vero e proprio "sacrificio", in quanto rendeva sacra la mia giornata e la illuminava di una luce diversa.
E poi, mi dava davvero il senso di essere cristiana, quello di ritrovarmi con gli altri a pregare al mattino presto e poi, dopo aver fatto tesoro delle parole ascoltate, sparpagliarci nel mondo a portare questo messaggio, non con le parole o falsi proclami, ma con i nostri gesti, il nostro esempio, il nostro vivere, faticoso ma pieno di speranza.
E proprio così dal sagrato, ogni giorno, come tanti fiumi che si dipartono dalla stessa sorgente, ognuno prendeva la sua strada, andava per il mondo per "annunziare il vangelo con la sua vita", come Don G. ogni giorno augurava alla fine della celebrazione, e mai come in quei giorni l'ho sentito mio, anzi nostro.
giovedì 31 dicembre 2009
lunedì 28 dicembre 2009
Un novello principe azzurro
L'altro giorno parlavo con l'impiegato della mia banca...in chat, meraviglie del Web 2.0. All'inizio era un po' strano usare questo strumento tipico di futili chiacchierate (appunto! ;) per cose di estrema "importanza" e "serietà" quali carte di credito, bancomat, password perse e poi ritrovate, accrediti mancati e spese fantasma, ma dopo la diffidenza iniziale ho iniziato ad amarlo: potevo risolvere tutto in poco tempo, avendo il mio conto davanti e continuando a lavorare con il mio PC mentre l'operatore effettua i soliti controlli di rito. Nessuna coda allo sportello, nessuna attesa, problemi risolti, insomma, il paradiso.
L'altro giorno ero in chat con l'operatore di turno ed avevamo un problema abbastanza ostico da risolvere, ed eravamo in chat da un po' e lui, ad un certo punto, mi fa: "Non preoccuparti, stai con me che risolviamo tutto insieme".
All'inizio ho guardato lo schermo, mi sembrava una frase eccessiva per un (piccolo) problema bancario. Quella frase mi rimandava come minimo a paesaggi sconfinati, monti e valli, draghi che tengono prigioniere nelle torri principesse che aspettano il principe azzurro, che è lì nella valle e cavalca un cavallo bianco ed ha un unico scopo nella vita: salvarle.
Guardavo la frase nella finestra chat sorridendo, ed ad un certo punto ho pensato di scrivere: "ma davvero mi aiuti a risolvere tutto? i regali di Natale che al 23 dicembre non ho ancora fatto? La spesa che devo fare perchè il mio frigo è ormai vuoto? Il mutuo che non mi concederanno mai, il lavoro che non si sa bene se e dove sarà nel prossimo futuro? Capire quale destinazione prendere al prossimo, ennesimo, bivio, non il primo, nè certo l'ultimo? Mi aiuti tu? Davvero risolviamo tutto insieme?" Mani sulla tastiera, sorriso sulle labbra, un pensiero nella testa: "quasi quasi glielo scrivo...". Poi lui è arrivato con la soluzione al mio problema, solo uno, non i mille che rendono non-noiosa la mia vita, ma era già qualcosa, meno uno, per gli altri? keep working... ;)
L'altro giorno ero in chat con l'operatore di turno ed avevamo un problema abbastanza ostico da risolvere, ed eravamo in chat da un po' e lui, ad un certo punto, mi fa: "Non preoccuparti, stai con me che risolviamo tutto insieme".
All'inizio ho guardato lo schermo, mi sembrava una frase eccessiva per un (piccolo) problema bancario. Quella frase mi rimandava come minimo a paesaggi sconfinati, monti e valli, draghi che tengono prigioniere nelle torri principesse che aspettano il principe azzurro, che è lì nella valle e cavalca un cavallo bianco ed ha un unico scopo nella vita: salvarle.
Guardavo la frase nella finestra chat sorridendo, ed ad un certo punto ho pensato di scrivere: "ma davvero mi aiuti a risolvere tutto? i regali di Natale che al 23 dicembre non ho ancora fatto? La spesa che devo fare perchè il mio frigo è ormai vuoto? Il mutuo che non mi concederanno mai, il lavoro che non si sa bene se e dove sarà nel prossimo futuro? Capire quale destinazione prendere al prossimo, ennesimo, bivio, non il primo, nè certo l'ultimo? Mi aiuti tu? Davvero risolviamo tutto insieme?" Mani sulla tastiera, sorriso sulle labbra, un pensiero nella testa: "quasi quasi glielo scrivo...". Poi lui è arrivato con la soluzione al mio problema, solo uno, non i mille che rendono non-noiosa la mia vita, ma era già qualcosa, meno uno, per gli altri? keep working... ;)
lunedì 7 dicembre 2009
Il mondo al tempo dell'Iphone (Capitolo 1)
Sono ormai quattro mesi che possiedo questo oggetto del desiderio e non ho di che lamentarmi se non che "non parla" con il mio ubuntu.
E' esattamente ciò che mi aspetto da uno smartphone, anzi è molto di più di quello che pensavo, e la "mela" dovrebbe darmi una percentuale sulle vendite, visto il mio entusiasmo contagiante per questa piccola meraviglia.
C'è da premettere che non sono mai stata una fanatica di cellulari e che prima di diventare un'iphone geek ero una che pensava che il cellulare servisse solo a telefonare, anzi che "solo" a quello "dovesse" servire, perchè tutte le altre funzionalità erano un tentativo, riuscito male, di "imitare altri dispositivi non riuscendoci". Chiariamo subito, l'iphone non è un cellulare, è più un computer portatile, ma davvero portatile! Lo puoi usare per lavoro, leggere la posta, consultare siti internet, o per divertimento, facebook in primis ;) per annoiare tutti i tuoi amici con i tuoi (anche minimi) spostamenti, postati in tempo reale insieme a foto di cui non frega a nessuno...ma vuoi mettere il tempo reale? La condivisione istantanea? Come quelle ragazze americane che si erano trovate in trappola qualche mese fa e invece di chiamare la polizia con il loro cellulare hanno aggiornato il loro stato su FB! Di certo più effective! L'iphone mi sta cambiando le abitudini...la mattina, ad esempio, latte, frutta, cereali e giornale...non di carta, ma online! ;)
Nei tempi morti smaltisco la posta, quando ho un attimo per me prego (la liturgia delle ore è tutta online!!!), quando si discute con gli amici e si ha un dubbio su un qualsiasi argomento di minima importanza (in che regione si trova la tal città, che tempo farà domani, come si chiama quell'applicazione, quanti anni sono passati da quell'evento)...just ask google! Non esiste contesa che non possa essere risolta all'istante!
Poi mi permette di mantenere una promessa che avevo fatto su questo blog all'inizio dell'anno (dalle parole ai fatti), quella di imparare lo spagnolo, poter ascoltare i podcast di spagnolo in bus, treno o aereo è impagabile! Non avrei avuto altro tempo se non imparare in questi tempi di stand-by!
Ma più di tutti credo che un esempio sia significativo: qualche settimana fa stavo andando a Rimini, ero in macchina, non guidavo io (giusto per rassicurarvi, è uno dei pochi momenti in cui cerco di non usarlo :), e mentre ero a Bologna ho pensato che forse bisognava trovare un posto dove dormire a Rimini...wanderlust chiama iphone, iphone risponde! Ho cercato un hotel su booking.com, prenotato con la mia carta di credito, chiamato l'hotel per avere conferma che la mia prenotazione fosse arrivata, cercato e raggiunto l'hotel grazie a Google maps e trovato un ristorante in cui cenare grazie a "tell me", scaricato dall'apple store.
What can you ask more?
E' esattamente ciò che mi aspetto da uno smartphone, anzi è molto di più di quello che pensavo, e la "mela" dovrebbe darmi una percentuale sulle vendite, visto il mio entusiasmo contagiante per questa piccola meraviglia.
C'è da premettere che non sono mai stata una fanatica di cellulari e che prima di diventare un'iphone geek ero una che pensava che il cellulare servisse solo a telefonare, anzi che "solo" a quello "dovesse" servire, perchè tutte le altre funzionalità erano un tentativo, riuscito male, di "imitare altri dispositivi non riuscendoci". Chiariamo subito, l'iphone non è un cellulare, è più un computer portatile, ma davvero portatile! Lo puoi usare per lavoro, leggere la posta, consultare siti internet, o per divertimento, facebook in primis ;) per annoiare tutti i tuoi amici con i tuoi (anche minimi) spostamenti, postati in tempo reale insieme a foto di cui non frega a nessuno...ma vuoi mettere il tempo reale? La condivisione istantanea? Come quelle ragazze americane che si erano trovate in trappola qualche mese fa e invece di chiamare la polizia con il loro cellulare hanno aggiornato il loro stato su FB! Di certo più effective! L'iphone mi sta cambiando le abitudini...la mattina, ad esempio, latte, frutta, cereali e giornale...non di carta, ma online! ;)
Nei tempi morti smaltisco la posta, quando ho un attimo per me prego (la liturgia delle ore è tutta online!!!), quando si discute con gli amici e si ha un dubbio su un qualsiasi argomento di minima importanza (in che regione si trova la tal città, che tempo farà domani, come si chiama quell'applicazione, quanti anni sono passati da quell'evento)...just ask google! Non esiste contesa che non possa essere risolta all'istante!
Poi mi permette di mantenere una promessa che avevo fatto su questo blog all'inizio dell'anno (dalle parole ai fatti), quella di imparare lo spagnolo, poter ascoltare i podcast di spagnolo in bus, treno o aereo è impagabile! Non avrei avuto altro tempo se non imparare in questi tempi di stand-by!
Ma più di tutti credo che un esempio sia significativo: qualche settimana fa stavo andando a Rimini, ero in macchina, non guidavo io (giusto per rassicurarvi, è uno dei pochi momenti in cui cerco di non usarlo :), e mentre ero a Bologna ho pensato che forse bisognava trovare un posto dove dormire a Rimini...wanderlust chiama iphone, iphone risponde! Ho cercato un hotel su booking.com, prenotato con la mia carta di credito, chiamato l'hotel per avere conferma che la mia prenotazione fosse arrivata, cercato e raggiunto l'hotel grazie a Google maps e trovato un ristorante in cui cenare grazie a "tell me", scaricato dall'apple store.
What can you ask more?
lunedì 9 novembre 2009
Ho trovato...
I miei genitori hanno deciso, a mia insaputa, di imbiancare la mia stanza mentre ero a Trento, hanno infilato tutto in degli enormi scatoloni e via!
Quando sono tornata l'altro giorno ero sotto scacco: potevo rientrare nella mia stanza solo se avessi buttato via un po' di roba, perchè non c'era verso che tutta quella roba rientrasse nuovamente nella mia stanza!
Effettivamente anche io mi chiedevo che formato di compressione avessi usato per far entrare, negli anni, tutto quanto nel poco spazio della mia mini-mini-stanza.
Incredibile, lo spettacolo che mi si è presentato ha sorpreso anche me: montagne di scatole, da scoraggiare chiunque al solo pensiero.
Mi sono armata di coraggio, nonostante l'influenza, e, piano piano, step by step, mi sono passati davanti tutti gli anni della mia vita!
Devo premettere che io sono sempre molto restia a "buttare via i ricordi" per cui ho trovato di tutto: dai quaderni della prima elementare a quelli del mio ultimo esame all'università, bigliettini di auguri, monete provenienti da tutte le parti del mondo, un carnet di 10 biglietti della metro di Parigi di 12 anni fa, quando ci sono andata per la prima volta, una cartina di Bologna del 2000 con gli orari di tutti i musei, i quaderni del mio primo corso di inglese a Dublino insieme con i sottobicchieri collezionati nei pub. ;)
E poi ho trovato le cassette...quante...avevo dimenticato che ascoltassimo quella roba, a me che ora anche i CD mi sembrano obsoleti, ora che tutto è un file sul mio iphone!
Le casette registrate, scritte a penna dagli amici, che ti regalavano la loro musica personalizzata, e poi anche un LP di Guccini (via Paolo Fabbri 43) comprato presso una bancarella di un mercato di Roma, i bastoncini di incenso che avevo rimediato nel mio periodo new age, i biglietti dei concerti, le tavole del mio esame di disegno all'università, i fogliettini, che pur non guardando mai, portavo sempre con me all'esame, perchè mi davano sicurezza, le carte di imbarco dei miei primi viaggi oltreoceano, le cartoline, che quella volta che si allagò casa dovetti stenderle poi dovunque per farle asciugare!
I libri, ma quanti...quanti ne ho potuti leggere?? Una miriade, dai classici tipo "Madame Bovary", Pirandello e De Filippo, ai libri storico-scientifici, come le "5 equazioni che hanno cambiato il mondo", o la storia di Fermi, e poi quelli un po' frivoli, tipo "4Blondes" o "Sushi per principianti" e quelli ultra-impegnati della giovinezza: Siddharta o il Giovane Holden, che quando li leggi decidi inevitabilmente di cambiare il mondo o che il mondo, da quel giorno in poi, per te, non sarà più lo stesso. La spinta, il coraggio, il tumulto interiore che quei libri ti provocano puoi provarlo solo a 16 anni, poi sarà comunque diverso. E poi i libri su Caravaggio e la serie dei libri del maestro Guccini e "La Locandiera" di Goldoni, imparato a memoria perchè recitato in teatro in quarto superiore...
E poi le lettere, quante e da quanti, lettere che raccontano rapporti profondi, quando ancora l'email non esisteva e si scriveva su fogli di carta, carta da lettera, carta dei quaderni degli appunti, carta rimediata chissà dove e come, quando si doveva cogliere e fermare per sempre l'ispirazione.
La lettera che Guccini mi ha inviato quel giorno speciale di Novembre, la lettere di A. che stava male per quello stronzo che la faceva soffrire, la lettera di M. che non riusciva a lasciare L. e mi chiedeva aiuto, la lettera di A. che mi chiedeva scusa se non mi aveva capito quando stavo male, ma che mi ammirava per come mi ero ripresa da quella brutta storia, la lettera di L. che mi diceva di lasciarlo perdere, "ma non lo vedi che per lui non sei importante, e se lo fossi non si comporterebbe così?", la lettera di V. che mi chiede di non partire, perchè mi vuole con se anche l'anno prossimo. Quante storie, quante...ma quando abbiamo avuto il tempo di viverle tutte e tutte così fino in fondo, fino all'ultimo respiro? E poi storie che allora erano il mondo intero e sembrava che non si potesse vivere senza e che poi, sotto il velo del tempo, sembrano innocue e lontane. E alcune non bruciano nemmeno più, e ti chiedi come facevi a pensare che la tua vita dipendesse da un si o da un no.
Ma quante cose ho fatto nella mia vita? Qualche giorno fa compivo 30 anni e mi sembrava di essere ancora così giovane, che il tempo fosse volato, invece no, il mio tempo è stato colmo, denso di esperienze, rapporti, amori, amicizie, sofferenze, gioie, ferite che ci sono ancor oggi, come quegli oggetti, nella mia stanza, che sono là a ricordarmi quello che oggi non ho più il tempo di ricordare, a ricordarmi quando avevo tempo di leggere, scrivere, ascoltare musica, sognare il mio futuro, e immaginarlo pieno di sorprese come poi è stato.
Oggi corro troppo veloce, e mi sembra di non aver più tempo per scrivere, leggere, sognare, ma oggi mi sono fermata...e non so se voglio perdermi tutto questo, non so se voglio svegliarmi tra 10 anni e non trovare i ricordi di questi anni, perchè ero troppo impegnata a fare altro, non lo so, perchè come dice un grande poeta e cantautore: "Chi si ferma è perduto, ma si perde tutto chi non si ferma mai".
Quando sono tornata l'altro giorno ero sotto scacco: potevo rientrare nella mia stanza solo se avessi buttato via un po' di roba, perchè non c'era verso che tutta quella roba rientrasse nuovamente nella mia stanza!
Effettivamente anche io mi chiedevo che formato di compressione avessi usato per far entrare, negli anni, tutto quanto nel poco spazio della mia mini-mini-stanza.
Incredibile, lo spettacolo che mi si è presentato ha sorpreso anche me: montagne di scatole, da scoraggiare chiunque al solo pensiero.
Mi sono armata di coraggio, nonostante l'influenza, e, piano piano, step by step, mi sono passati davanti tutti gli anni della mia vita!
Devo premettere che io sono sempre molto restia a "buttare via i ricordi" per cui ho trovato di tutto: dai quaderni della prima elementare a quelli del mio ultimo esame all'università, bigliettini di auguri, monete provenienti da tutte le parti del mondo, un carnet di 10 biglietti della metro di Parigi di 12 anni fa, quando ci sono andata per la prima volta, una cartina di Bologna del 2000 con gli orari di tutti i musei, i quaderni del mio primo corso di inglese a Dublino insieme con i sottobicchieri collezionati nei pub. ;)
E poi ho trovato le cassette...quante...avevo dimenticato che ascoltassimo quella roba, a me che ora anche i CD mi sembrano obsoleti, ora che tutto è un file sul mio iphone!
Le casette registrate, scritte a penna dagli amici, che ti regalavano la loro musica personalizzata, e poi anche un LP di Guccini (via Paolo Fabbri 43) comprato presso una bancarella di un mercato di Roma, i bastoncini di incenso che avevo rimediato nel mio periodo new age, i biglietti dei concerti, le tavole del mio esame di disegno all'università, i fogliettini, che pur non guardando mai, portavo sempre con me all'esame, perchè mi davano sicurezza, le carte di imbarco dei miei primi viaggi oltreoceano, le cartoline, che quella volta che si allagò casa dovetti stenderle poi dovunque per farle asciugare!
I libri, ma quanti...quanti ne ho potuti leggere?? Una miriade, dai classici tipo "Madame Bovary", Pirandello e De Filippo, ai libri storico-scientifici, come le "5 equazioni che hanno cambiato il mondo", o la storia di Fermi, e poi quelli un po' frivoli, tipo "4Blondes" o "Sushi per principianti" e quelli ultra-impegnati della giovinezza: Siddharta o il Giovane Holden, che quando li leggi decidi inevitabilmente di cambiare il mondo o che il mondo, da quel giorno in poi, per te, non sarà più lo stesso. La spinta, il coraggio, il tumulto interiore che quei libri ti provocano puoi provarlo solo a 16 anni, poi sarà comunque diverso. E poi i libri su Caravaggio e la serie dei libri del maestro Guccini e "La Locandiera" di Goldoni, imparato a memoria perchè recitato in teatro in quarto superiore...
E poi le lettere, quante e da quanti, lettere che raccontano rapporti profondi, quando ancora l'email non esisteva e si scriveva su fogli di carta, carta da lettera, carta dei quaderni degli appunti, carta rimediata chissà dove e come, quando si doveva cogliere e fermare per sempre l'ispirazione.
La lettera che Guccini mi ha inviato quel giorno speciale di Novembre, la lettere di A. che stava male per quello stronzo che la faceva soffrire, la lettera di M. che non riusciva a lasciare L. e mi chiedeva aiuto, la lettera di A. che mi chiedeva scusa se non mi aveva capito quando stavo male, ma che mi ammirava per come mi ero ripresa da quella brutta storia, la lettera di L. che mi diceva di lasciarlo perdere, "ma non lo vedi che per lui non sei importante, e se lo fossi non si comporterebbe così?", la lettera di V. che mi chiede di non partire, perchè mi vuole con se anche l'anno prossimo. Quante storie, quante...ma quando abbiamo avuto il tempo di viverle tutte e tutte così fino in fondo, fino all'ultimo respiro? E poi storie che allora erano il mondo intero e sembrava che non si potesse vivere senza e che poi, sotto il velo del tempo, sembrano innocue e lontane. E alcune non bruciano nemmeno più, e ti chiedi come facevi a pensare che la tua vita dipendesse da un si o da un no.
Ma quante cose ho fatto nella mia vita? Qualche giorno fa compivo 30 anni e mi sembrava di essere ancora così giovane, che il tempo fosse volato, invece no, il mio tempo è stato colmo, denso di esperienze, rapporti, amori, amicizie, sofferenze, gioie, ferite che ci sono ancor oggi, come quegli oggetti, nella mia stanza, che sono là a ricordarmi quello che oggi non ho più il tempo di ricordare, a ricordarmi quando avevo tempo di leggere, scrivere, ascoltare musica, sognare il mio futuro, e immaginarlo pieno di sorprese come poi è stato.
Oggi corro troppo veloce, e mi sembra di non aver più tempo per scrivere, leggere, sognare, ma oggi mi sono fermata...e non so se voglio perdermi tutto questo, non so se voglio svegliarmi tra 10 anni e non trovare i ricordi di questi anni, perchè ero troppo impegnata a fare altro, non lo so, perchè come dice un grande poeta e cantautore: "Chi si ferma è perduto, ma si perde tutto chi non si ferma mai".
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giovedì 29 ottobre 2009
Alla ricerca della felicità
L'altro giorno ho fatto una sessione di orientamento ai ragazzi di quarto e quinto superiore, dovevo in pratica raccontargli cosa facciamo qui all'università, fargli vedere qualche applicazione "wow" and so on. Non volevo che si annoiassero e quindi ho cercato di dare il meglio di me, di intrigarli, di incuriosirli e mi sembra anche di esserci riuscita un poco. Mi sono sorpresa a parlare con entusiasmo del mio lavoro, fin troppo forse (ma questo l'ho realizzato dopo), eppure non è che abbia raccontato tutto il rosa, ho anche raccontato il grigio e il nero, come la frustrazione che si prova quando dopo settimane di lavoro magari si arriva ad un ramo morto e si deve ricominciare tutto dall'inizio, eppure anche il negativo lo presentavo sotto una luce positiva, dicevo: "si, ci si può scoraggiare, perchè in quel momento tutto il nostro lavoro ci sembra perso, eppure non è perso, perchè anche in quel tempo abbiamo imparato, abbiamo imparato qualcosa dai nostri errori". Poi mi hanno chiesto in che cosa ero laureata e questa è stata l'occasione per sottolineare come nella vita nessuna scelta sia definitiva, ed io ne ero l'esempio in quel caso, che poi le strade non è detto che siano segnate dal principio, ho detto: "Non vi dico di non riflettere bene su questa scelta che state per fare, che è comunque importante, ma solo che non è detto che sia definitiva e quindi scegliete senza paura, perchè la paura paralizza e non vi fa scegliere". E così ho chiuso il mio intervento di un'ora, e loro avevano gli occhi abbastanza accesi, mentre io, nello stesso istante in cui sono uscita da quell'aula, mi sono sentita completamente svuotata e completamente spenta, continuava a girarmi nella testa quella frase: "scegliete senza paura, perchè la paura paralizza e non vi fa scegliere" e insieme il pensiero che sono troppo brava a dirle certe cose, ma non a metterle in pratica...eppure non è che non ci creda, ma forse non ci credo abbastanza. E così, ho ripensato a tutte quelle persone che in questo periodo mi hanno detto, in modi ed in momenti diversi la stessa cosa: che trasmetto entusiasmo, che metto allegria, che loro in qualche modo si sentono contagiati, come da un vortice. E tutto ciò mi fa piacere, ma mi fa riflettere anche. Se dovessi descrivermi in questo momento, non mi definirei una persona felice, eppure, apparentemente, per tutto il resto del mondo lo sono.
Mi sembra di essere un dipinto di Van Gogh, giallo, luminoso, apparentemente brillante ed entusiasta, ma che invece è lo specchio di una personalità profondamente inquieta. Non lo so se sono felice, forse ritengo di no perchè associo questa estrema inquietudine, questa continua ricerca di qualcosa, anche se non so cosa, al fatto di non esserlo, per me felice è colui che dentro ha la pace, non colui che è continuamente alla ricerca.
Ma torniamo al mio entusiasmo prorompente, che sembra travolgere tutti come un'onda, mi sono chiesta: da dove viene? E la risposta che mi sono data è che non viene da dentro, not at all, viene da voi. Sono come una spugna, e la mia felicità non è la mia, ma semplicemente la vostra che io mi limito ad assorbire e riflettere, è il vostro essere persone meravigliose che mi "accende", che accende il mio entusiasmo, che mi fa sempre sorridere quando vi ho di fronte, che mi fa saltare di gioia, abbracciarvi, come se non vi vedessi da mesi quando mancate per due giorni, vi travolgo, perchè a mia volta da voi sono travolta, ed è per questo che quando non ci siete sono triste. La mia felicità non sarà mai solo la mia.
domenica 27 settembre 2009
The Truman Show
Quante volte vi è capitato di non capire come possa Berlusconi prendere tanti voti alle elezioni se quando parlate con i vostri amici, colleghi e conoscenti tutti sono concordi nel definirlo il più imbarazzante presidente del consiglio degli ultimi 150 anni?
Quante volte avete pensato che, per forza, qualcuno doveva pur mentire, e che, alla fine, proprio per imbarazzo, nessuno ammette di votarlo?
Ebbene in questi mesi io ho conosciuto il "lato oscuro della forza", ovvero una persona che rappresenta quella parte di Italia che non solo lo vota, ma ne è contenta (per nulla imbarazzata) e parla esattamente come lui.
In questo mio periodo trentino sono ospite di mio zio, anche lui "immigrato" (e lo sottolineo, perchè è fondamentale) in queste lande quasi 30 anni or sono. Una sera, mentre cenavamo ho fatto il solito commento sulla solita "ultima uscita" del nostro brillante premier, che ci fa vergognare di essere italiani.
E lì ho scoperto l'amara realtà, mio zio non solo aveva votato Berlusconi, ma anche lo sosteneva con veemenza ed era prostrato (ma davvero) di avere una nipote che era stata traviata dalla sinistra, che purtroppo nell'università la fa da padrone, e manipola le menti (!!!).
Io non potevo credere alle mie orecchie, poi giorno dopo giorno ho scoperto che la realtà era anche più dura di come si era prefissata quella prima sera, mio zio non solo è di destra, vota lega (!!!) ed è contro gli immigrati, che, secondo lui, dovrebbero essere tutti rimandati a casa senza distinzione, ma è un cultore di Berlusconi!
Mio zio legge Libero e il Giornale, guarda il tg4 di Emilio Fede e parla esattamente come parlano loro, non si rende conto che ripete esattamente le stesse parole che Feltri scrive sul Giornale!
Un giorno, infatti, scoprendo che leggevo il libro di Travaglio, ha inveito dicendo che non devo leggere certa spazzatura, che è opera dei "mistificatori della realtà!"
E si, perchè lui è convinto che la sinistra (ho cercato inutilmente di spiegargli che Travaglio non è di sinistra) non faccia altro che alterare la realtà, è convinto che le registrazioni sono inventate (!!!) e le immagini di Berlusconi che parla al Parlamento Europeo (che vergogna!) sono video-montaggi, immagini falsificate ad arte dalla sinistra. Che tutto il mondo ci ride dietro, non perchè Berlusconi è semplicemente impresentabile, ma perchè "tutti" i giornali di "tutto" il mondo sono deviati dalla sinistra, che li influenza.
Io ogni volta che dice queste cose rimango a bocca aperta e, dopo una prima fase in cui cerco di ribattere, mi ammutolisco: come puoi dire che registrazioni e video non sono reali???
E' un muro di gomma, tutto quello che dico mi rimbalza contro, non c'è modo non di fargli cambiare idea, ma anche solo di mettere in discussione qualcosa.
Ora io sono convinta che mio zio non è l'unico a pensarla così, e la cosa mi spaventa, perchè questo significa che forse è già troppo tardi per iniziare una battaglia per la libertà di stampa, perchè quello che manca è la capacità di avere una idea, che non sia una ripetizione di parole sentite in TV. Quando ho studiato il fascismo a scuola non riuscivo a capire come le persone che avevano vissuto in quel periodo avessero potuto permettere che accadesse una cosa del genere, come non si erano accorti e come avevano potuto non ribellarsi alla mancanza di quelle libertà fondamentali...ora ho capito, semplicemente non si erano accorti che mancava qualcosa, pensavano di avere il migliore presidente del consiglio degli ultimi 150 anni....
Quante volte avete pensato che, per forza, qualcuno doveva pur mentire, e che, alla fine, proprio per imbarazzo, nessuno ammette di votarlo?
Ebbene in questi mesi io ho conosciuto il "lato oscuro della forza", ovvero una persona che rappresenta quella parte di Italia che non solo lo vota, ma ne è contenta (per nulla imbarazzata) e parla esattamente come lui.
In questo mio periodo trentino sono ospite di mio zio, anche lui "immigrato" (e lo sottolineo, perchè è fondamentale) in queste lande quasi 30 anni or sono. Una sera, mentre cenavamo ho fatto il solito commento sulla solita "ultima uscita" del nostro brillante premier, che ci fa vergognare di essere italiani.
E lì ho scoperto l'amara realtà, mio zio non solo aveva votato Berlusconi, ma anche lo sosteneva con veemenza ed era prostrato (ma davvero) di avere una nipote che era stata traviata dalla sinistra, che purtroppo nell'università la fa da padrone, e manipola le menti (!!!).
Io non potevo credere alle mie orecchie, poi giorno dopo giorno ho scoperto che la realtà era anche più dura di come si era prefissata quella prima sera, mio zio non solo è di destra, vota lega (!!!) ed è contro gli immigrati, che, secondo lui, dovrebbero essere tutti rimandati a casa senza distinzione, ma è un cultore di Berlusconi!
Mio zio legge Libero e il Giornale, guarda il tg4 di Emilio Fede e parla esattamente come parlano loro, non si rende conto che ripete esattamente le stesse parole che Feltri scrive sul Giornale!
Un giorno, infatti, scoprendo che leggevo il libro di Travaglio, ha inveito dicendo che non devo leggere certa spazzatura, che è opera dei "mistificatori della realtà!"
E si, perchè lui è convinto che la sinistra (ho cercato inutilmente di spiegargli che Travaglio non è di sinistra) non faccia altro che alterare la realtà, è convinto che le registrazioni sono inventate (!!!) e le immagini di Berlusconi che parla al Parlamento Europeo (che vergogna!) sono video-montaggi, immagini falsificate ad arte dalla sinistra. Che tutto il mondo ci ride dietro, non perchè Berlusconi è semplicemente impresentabile, ma perchè "tutti" i giornali di "tutto" il mondo sono deviati dalla sinistra, che li influenza.
Io ogni volta che dice queste cose rimango a bocca aperta e, dopo una prima fase in cui cerco di ribattere, mi ammutolisco: come puoi dire che registrazioni e video non sono reali???
E' un muro di gomma, tutto quello che dico mi rimbalza contro, non c'è modo non di fargli cambiare idea, ma anche solo di mettere in discussione qualcosa.
Ora io sono convinta che mio zio non è l'unico a pensarla così, e la cosa mi spaventa, perchè questo significa che forse è già troppo tardi per iniziare una battaglia per la libertà di stampa, perchè quello che manca è la capacità di avere una idea, che non sia una ripetizione di parole sentite in TV. Quando ho studiato il fascismo a scuola non riuscivo a capire come le persone che avevano vissuto in quel periodo avessero potuto permettere che accadesse una cosa del genere, come non si erano accorti e come avevano potuto non ribellarsi alla mancanza di quelle libertà fondamentali...ora ho capito, semplicemente non si erano accorti che mancava qualcosa, pensavano di avere il migliore presidente del consiglio degli ultimi 150 anni....
domenica 9 agosto 2009
La carica dei 101
Oggi che questo cielo grigio grigio, e carico di pioggia, mi ha impedito di andare al mare, ho deciso di dedicare un po' di tempo al mio ed ad altri blog, scoprendo, per caso, che l'ultimo post pubblicato è il mio centesimo post!
Mi sono un po' sorpresa (ho scritto così tanto??) e un po' mi sono emozionata (un po' come ci si emoziona davanti ai traguardi dei propri figli: il primo giro in bici, il primo giorno di scuola, il primo dente che cade...). Una tappa importante, mi sono detta, bisogna che non passi inosservata.
Credo fermamente nell'importanza del celebrare, anche piccoli passi come questi, perchè sono tali piccoli passi che poi fanno i grandi cambiamenti della nostra vita. Quando ho iniziato a scrivere questo blog dall'altra parte dell'oceano, a vancouver (actually, affacciata su un altro oceano :), seduta sulla verandina di un accogliente b&b (Vancouver, BC, Canada), mai avrei immaginato che questo blog sarebbe arrivato così lontano, un po' ci speravo, ma avevo anche paura che il mio scrivere fosse semplicemente uno slancio di entusiasmo che, come spesso accade, si sarebbe spento nel giro di pochi mesi, e invece, sono due anni. Due anni che scrivo del bello e brutto della mia vita, per me, per chi so che sempre mi legge, per chi capita qui per caso, per chi ci resta e per chi va via dopo solo un post. Non si può piacere a tutti.
Questo è il post n.101, let's celebrate!, qui nel mio/nostro piccolo, sul davanzale di questa finestra, affacciata sul mondo.
Mi sono un po' sorpresa (ho scritto così tanto??) e un po' mi sono emozionata (un po' come ci si emoziona davanti ai traguardi dei propri figli: il primo giro in bici, il primo giorno di scuola, il primo dente che cade...). Una tappa importante, mi sono detta, bisogna che non passi inosservata.
Credo fermamente nell'importanza del celebrare, anche piccoli passi come questi, perchè sono tali piccoli passi che poi fanno i grandi cambiamenti della nostra vita. Quando ho iniziato a scrivere questo blog dall'altra parte dell'oceano, a vancouver (actually, affacciata su un altro oceano :), seduta sulla verandina di un accogliente b&b (Vancouver, BC, Canada), mai avrei immaginato che questo blog sarebbe arrivato così lontano, un po' ci speravo, ma avevo anche paura che il mio scrivere fosse semplicemente uno slancio di entusiasmo che, come spesso accade, si sarebbe spento nel giro di pochi mesi, e invece, sono due anni. Due anni che scrivo del bello e brutto della mia vita, per me, per chi so che sempre mi legge, per chi capita qui per caso, per chi ci resta e per chi va via dopo solo un post. Non si può piacere a tutti.
Questo è il post n.101, let's celebrate!, qui nel mio/nostro piccolo, sul davanzale di questa finestra, affacciata sul mondo.
venerdì 31 luglio 2009
Come perdere ai supplementari la finale dei mondiali ed essere contenti lo stesso...
"We are the champions - my friends - and we'll keep on fighting - till the end " cantano i queen e io avrei voglia di cantare a squarciagola in questo momento e invece scrivo, perchè so che questa notte non dormirò, perchè è troppa l'adrenalina in circolo, troppa la felicità che scorre come un fiume in piena...la più grande soddisfazione professionale della mia vita, e mentre lo scrivo ancora non me ne rendo conto, non mi rendo conto di quello che è successo e stento a crederci. Tutto è iniziato sei mesi fa, quando ho convinto un gruppo di studenti a partecipare ad una competition organizzata da Google, un po' per gioco, un po' per amore...della sfida. Li ho subito messi in guardia, puntiamo a vincere, ma non facciamoci troppe illusioni, ci sono i giganti americani, le università da 50000 dollari a semestre, inutile competere, ma ci proviamo, dissi, magari ci divertiamo, magari impariamo qualcosa. Ed è iniziato tutto per gioco, con gli incontri in cui cercavo di motivarli, abbiamo aperto un forum, siamo andati insieme a prendere una birra e sempre parlavamo di una e una sola cosa: la competition, le migliori strategie, come vincere, come battere il gigante, the BigG. Poi io sono partita per Trento, ma non abbiamo smesso di provarci, parlavamo via skype, io spendevo le mie notti a correggere le loro relazioni e a dare consigli, loro si sentivamo un po' abbandonati ma non mollavano e io, da lontano, cercavo di essergli vicino. E poi è arrivato luglio, competition finita, e non c'era nient'altro da fare se non aspettare, aspettare i risultati. Poi stasera, eccoli!, li guardo, li guardo ancora, li sto ancora guardando e non ci credo, non credo ai miei occhi, e quasi tremo e sono commossa, ma non riesco a piangere, lì su quella pagina c'è il mio nome. Non abbiamo vinto, no, ma abbiamo una menzione di onore, siamo ottavi su 2137 team che hanno partecipato da tutto il mondo. Il mio nome è su quella pagina, il nome della mia università, troppo spesso bistrattata, troppo spesso sconosciuta ai più, ora è lì e ha qualcosa da dire, qualcosa di positivo, e resterà lì per un po' e molti lo vedranno, insieme ai nomi delle università americane, insieme ai giganti che abbiamo battuto e lasciato indietro, là, sul tetto del mondo, oggi ci siamo noi. Ed ero già orgogliosa dei miei studenti, già prima di questo, per quanto si erano impegnati e non mi aspettavo nulla di più, già quello mi bastava, mi bastava aver rispettato quella massima greca che dice: lo studente non è un vaso da riempire, ma un legno da accendere. E la competition ci aveva accesi tutti e tanto bastava, avevo rispettato il mio dovere di insegnante.
Ora, ora sono commossa, e questo mi sembra la giusta ricompensa, la più bella ricompensa di tutto lo sforzo che mi costa e che spesso sembra inutile.
Sono questi i momenti per cui vale la pena di vivere? Beh, decisamente si, e anche perchè qui, come al solito, non si tratta solo di lavoro, si tratta di persone che hanno dedicato le loro ore, il loro sonno perduto ad una cosa in cui credevano, tutti, senza esclusione e quindi tutti meriterebbero che il loro nome fosse lì su quella pagina, purtroppo c'è solo il mio, anche se so che il mio non rappresenta me, ma la mia squadra, la fatica di tutti e mai come in questo momento capisco cosa provano gli allenatori, cosa ha provato Guardiola quando ha vinto la Champions League e guardava incantato lo stadio e, mentre i suoi festeggiavano, lui non poteva credere, non poteva credere a quello che vedevano i suoi occhi...come io ancora non ci credo.
Ora, ora sono commossa, e questo mi sembra la giusta ricompensa, la più bella ricompensa di tutto lo sforzo che mi costa e che spesso sembra inutile.
Sono questi i momenti per cui vale la pena di vivere? Beh, decisamente si, e anche perchè qui, come al solito, non si tratta solo di lavoro, si tratta di persone che hanno dedicato le loro ore, il loro sonno perduto ad una cosa in cui credevano, tutti, senza esclusione e quindi tutti meriterebbero che il loro nome fosse lì su quella pagina, purtroppo c'è solo il mio, anche se so che il mio non rappresenta me, ma la mia squadra, la fatica di tutti e mai come in questo momento capisco cosa provano gli allenatori, cosa ha provato Guardiola quando ha vinto la Champions League e guardava incantato lo stadio e, mentre i suoi festeggiavano, lui non poteva credere, non poteva credere a quello che vedevano i suoi occhi...come io ancora non ci credo.
mercoledì 15 luglio 2009
Racconti da emigrante: La sciura
L'altro giorno parlavo con flo e lui ogni due parole intervallava il suo discorso dicendo: "ma è proprio una sciura", "sembra proprio una sciura", al che io dopo 15 minuti di sconcerto, in cui avevo finto di capire, chiedendomi se dovevo ridere o meno, se fosse cioè un soprannome ridicolo o altro, mi sono decisa a chiedere: "scusa flo, ma che cos'è la sciura?". E lui mi ha guardato un po' incredulo e poi ha detto: "la signora" in milanese, sorpreso che non conoscessi il termine.
Mi sono sentita molto emigrante, un po' come quando non sapevo cosa fosse la "cadrega", ricordate il film di aldo giovanni e giacomo? :)
Mi sono sentita molto emigrante, un po' come quando non sapevo cosa fosse la "cadrega", ricordate il film di aldo giovanni e giacomo? :)
Quando le parole non bastano (2)
Ammetto, il post dell'altro giorno nascondeva istinti maniaco-depressivi, ma quando si è soli la testa inizia a girare veloce e come dice qualcuno è come un computer che si surriscalda e poi...schermata blu!
Per questo scrivo, perchè quando ho una grande tristezza dentro, un grande peso sul cuore, l'unico modo che trovo, l'unico modo che conosco, sin da quando ero bambina, per alleviarlo è scrivere.
Perchè scrivendo riverso la tristezza nelle parole, e quelle parole ne risultano poi intrise, ma il mio animo, poi, non lo è più, e torna a sentirsi leggero.
Il sentirsi soli e malinconici a volte piega e spesso la mia unica difesa è scrivere, andare a scrutare il proprio animo, scrostarlo dalla tristezza, ripulirlo, pazientemente, con ogni parola; come se ogni parola scritta sulla carta potesse medicare quelle ferite aperte, e liberare quei nodi non sciolti, ridandoti le ali.
Per me scrivere è questo e molto più di questo, è comporre la mia immagine nella pagina che ho di fronte, che come uno specchio riflette me stessa servendosi delle parole.
Parole, parole, parole, che a volte non servono, ma che a volte, facendosi carico di tutta la mia tristezza, mi aiutano a volare ancora.
Per questo scrivo, perchè quando ho una grande tristezza dentro, un grande peso sul cuore, l'unico modo che trovo, l'unico modo che conosco, sin da quando ero bambina, per alleviarlo è scrivere.
Perchè scrivendo riverso la tristezza nelle parole, e quelle parole ne risultano poi intrise, ma il mio animo, poi, non lo è più, e torna a sentirsi leggero.
Il sentirsi soli e malinconici a volte piega e spesso la mia unica difesa è scrivere, andare a scrutare il proprio animo, scrostarlo dalla tristezza, ripulirlo, pazientemente, con ogni parola; come se ogni parola scritta sulla carta potesse medicare quelle ferite aperte, e liberare quei nodi non sciolti, ridandoti le ali.
Per me scrivere è questo e molto più di questo, è comporre la mia immagine nella pagina che ho di fronte, che come uno specchio riflette me stessa servendosi delle parole.
Parole, parole, parole, che a volte non servono, ma che a volte, facendosi carico di tutta la mia tristezza, mi aiutano a volare ancora.
venerdì 10 luglio 2009
Quando le parole non bastano
Parole, parole, parole, scritte in un email o digitate freneticamente in una finestra di chat, manifestate platealmente su facebook o semplicemente sussurrate attraverso il caro vecchio phone o sparate in cuffia dall'mp3.
Sono queste le parole che ho trovato in questo giorno, che è uno di quei giorni in cui vorresti semplicemente andare a prendere una birra con un amico e raccontargli come stai.
Ma i miei amici sono sparsi per il mondo, tutti su facebook e nessuno qui, e oggi le parole proprio non mi bastano, non possono bastare, e le parole di una canzone servono solo a far sentire più forte la malinconia, a farla bruciare.
Oggi ho il cuore scoperto e vulnerabile, aperto al mondo e indifeso.
A volte mi capita e non mi dispiace, anche se fa male, come una ferita scoperta.
E' solo che, a volte, avresti bisogno di toccare le dita di una mano, di stringere mani nella tua, o di guardare negli occhi qualcuno che sai può leggere nei tuoi, di abbracciare e sentire il calore, di sentirsi abbracciati.
A volte le parole non possono bastare e non bastano, e non possono sostituire quella birra insieme, bevuta all'aria aperta mentre il sole tramonta, raccontandosi come va. Osservando le persone passare e la vita andare.
Ci sono gesti che nessuna parola può sostituire, di cui si ha bisogno in certe sere come questa, quando le parole, da sole, non bastano, anzi, non servono.
Sono queste le parole che ho trovato in questo giorno, che è uno di quei giorni in cui vorresti semplicemente andare a prendere una birra con un amico e raccontargli come stai.
Ma i miei amici sono sparsi per il mondo, tutti su facebook e nessuno qui, e oggi le parole proprio non mi bastano, non possono bastare, e le parole di una canzone servono solo a far sentire più forte la malinconia, a farla bruciare.
Oggi ho il cuore scoperto e vulnerabile, aperto al mondo e indifeso.
A volte mi capita e non mi dispiace, anche se fa male, come una ferita scoperta.
E' solo che, a volte, avresti bisogno di toccare le dita di una mano, di stringere mani nella tua, o di guardare negli occhi qualcuno che sai può leggere nei tuoi, di abbracciare e sentire il calore, di sentirsi abbracciati.
A volte le parole non possono bastare e non bastano, e non possono sostituire quella birra insieme, bevuta all'aria aperta mentre il sole tramonta, raccontandosi come va. Osservando le persone passare e la vita andare.
Ci sono gesti che nessuna parola può sostituire, di cui si ha bisogno in certe sere come questa, quando le parole, da sole, non bastano, anzi, non servono.
giovedì 18 giugno 2009
Tornare a casa
Per il ponte del due giugno sono "scesa" a bari. Nella mia ingenuità di viaggiatrice non esperta ho tardato a prenotare il biglietto del treno, per cui, poichè gli eurostar erano tutti presi, ho dovuto ripiegare sull'inter-city. Dieci ore di viaggio per attraversare tutta la penisola. Ero alla stazione di Trento, e con una certa euforia (inspiegabile?) aspettavo il treno sulla banchina, iniziando il mio studio sociologico dei viaggiatori e delle loro valigie, quando due signore, che andavano a Rovereto, iniziano a discettare: "Ma questo treno va giù fino a Lecce?" e l'altra: "Eh si, c'è gente che lo prende persino da qui e arriva fino in Puglia!". Ho sorriso, poi ho guardato il tabellone, e letto incredula il numero di fermate che sembrava non finire mai: rovereto, verona, mantova, carpi, modena, bologna, forlì, cesena, rimini, riccione, pesaro, senigallia, ancona, civitanova marche, san benedetto del tronto, pescara, vasto, termoli, san severo, foggia, barletta, trani, bisceglie, molfetta, bari (finally!).
Mi sono sentita molto "emigrante", come nella canzone dei sud sound system, e mi sono tornate alla mente immagini di valigie di cartone.
Eppure ero felice, felice di tornare a casa con tante cose da raccontare, perchè sarei andata al matrimonio della mia amica, perchè il mare avrebbe accompagnato dal finestrino il mio viaggio, perchè il paesaggio sarebbe cambiato sotto i miei occhi, man mano che le città venivano superate. Il viaggio lungo l'adriatica mi sembra sempre così poetico, con questo treno che in certi punti fa il pelo alla spiaggia, che sembra quasi toccarla, quasi tuffarsi in quell'acqua.
E ho pensato a quante volte "ero tornata a casa" e quante altre lo avrei fatto, e alla mia voglia di esplorare il mondo. Pensavo alla mia curiosità che mi ha fatto "conoscere tanto e tanti", a quanto avevo ricevuto, ma anche a quanto questo "tanto" costa, in termini di posti e di persone da lasciare, per sempre a volte. E così scrivo questo post, proprio oggi che ho scoperto per caso (grazie a facebook, eh si, sono capitolata!) che Nia, una mia rommate in Michigan, si è sposata! Proprio oggi che una mia amica spagnola, che non vedo da cinque anni, mi ha contattato perchè viene a fare un colloquio a Treviso e finalmente ci rivedremo. Proprio oggi, che mentre scrivo questo post, ho ricevuto una telefonata da una mia cara amica, che non vedevo e sentivo da tempo, anche lei lontana come tanti nella mia vita, ma presente nel mio cuore, sempre. Mi chiama perchè era al concerto di Guccini, e mi fa sentire Eskimo...un'emozione grandissima, e non solo perchè sentivo la voce di Guccini, ma anche per chi era dall'altra parte del telefono...e questo ripaga un po' quel prezzo da pagare, che a volta sembra davvero troppo alto.
Mi sono sentita molto "emigrante", come nella canzone dei sud sound system, e mi sono tornate alla mente immagini di valigie di cartone.
Eppure ero felice, felice di tornare a casa con tante cose da raccontare, perchè sarei andata al matrimonio della mia amica, perchè il mare avrebbe accompagnato dal finestrino il mio viaggio, perchè il paesaggio sarebbe cambiato sotto i miei occhi, man mano che le città venivano superate. Il viaggio lungo l'adriatica mi sembra sempre così poetico, con questo treno che in certi punti fa il pelo alla spiaggia, che sembra quasi toccarla, quasi tuffarsi in quell'acqua.
E ho pensato a quante volte "ero tornata a casa" e quante altre lo avrei fatto, e alla mia voglia di esplorare il mondo. Pensavo alla mia curiosità che mi ha fatto "conoscere tanto e tanti", a quanto avevo ricevuto, ma anche a quanto questo "tanto" costa, in termini di posti e di persone da lasciare, per sempre a volte. E così scrivo questo post, proprio oggi che ho scoperto per caso (grazie a facebook, eh si, sono capitolata!) che Nia, una mia rommate in Michigan, si è sposata! Proprio oggi che una mia amica spagnola, che non vedo da cinque anni, mi ha contattato perchè viene a fare un colloquio a Treviso e finalmente ci rivedremo. Proprio oggi, che mentre scrivo questo post, ho ricevuto una telefonata da una mia cara amica, che non vedevo e sentivo da tempo, anche lei lontana come tanti nella mia vita, ma presente nel mio cuore, sempre. Mi chiama perchè era al concerto di Guccini, e mi fa sentire Eskimo...un'emozione grandissima, e non solo perchè sentivo la voce di Guccini, ma anche per chi era dall'altra parte del telefono...e questo ripaga un po' quel prezzo da pagare, che a volta sembra davvero troppo alto.
sabato 13 giugno 2009
Quando un posto si può dire casa?
Quando un posto si può dire casa? Casa nel senso di home, che gli inglesi distinguono, giustamente, da house, dedicandole un nome esclusivo. E' un mese e mezzo che sono qua, se si esclude la parentesi di budapest, bilancio? Oggi mi sento a casa, anche qui, in un piccolo paesino di montagna near Trento, che ogni giorno scopro di più, che ogni giorno mi rivela uno squarcio nuovo, un'improvvisa apertura su una valle o su dei monti...monti che sto imparando ad apprezzare. Oggi sono andata a correre e, per quanto le mie prestazioni siano ancora piuttosto scarse, la cosa mi aiuta a familiarizzare con il posto, mi aiuta a sentirmi a casa, appunto. Con in cuffia i Negrita corro, corro, corro, tra le montagne, il verde, le casette con i balconi in legno e i fiori sul davanzale, così clichè e così vere. La gente innaffia il giardino, i bambini si dondolano sull'altalena nel prato e le coppie di mezz'età vanno a fare un giro in centro, che qui si traduce nel fare cento metri e andare al bar della piazza. Cose semplici, che sanno di passato. E' così fuori dal tempo, dal frastuno, dalla corsa che corro ogni giorno questo paese, e mentre io corro per smaltire le scorie di altre corse, meno salutari, lui è lì a guardarmi. Eppure inizia a piacermi davvero. Mi piace l'idea di essere in un posto lontano dalla città, dall'università, un posto dove posso trovare me stessa. Ormai conosco la strada che porta all'università, ogni singola curva, so dove e come scalare le marcie, conosco la strada secondaria, che solo i locali conoscono, insomma, inizio a sentirmi a casa. Ci sono piccoli gesti, che iniziano a diventare abitudine, ci sono posti che iniziano a diventare familiari, ci sono persone che iniziano ad essere parte delle mie giornate...piacevolmente parte. Bari, Ann Arbor, Trento, posti che sono, sono stati e saranno home, not only house.
mercoledì 20 maggio 2009
MandM's da meditazione
Di ritorno da budapest, da una conferenza, contenta. La tizia accanto a me non fa altro che ingurgidare mandm's (blogger non mi fa scrivere la e commerciale!), uno dietro l'altro, come se nemmeno avesse la cognizione di farlo, guarda fisso nel vuoto. E io mi domando se è una crisi affettiva, una voglia irrefrenabile di alzare il livello di colesterolo, o semplicemente se, come il vino, anche gli m&m possono essere "da meditazione".
Sono ormai tre anni consecutivi che partecipo a questa conferenza e ormai conosco tutti, ogni anno è un po' come il ritrovarsi di una grande famiglia per le feste, con gli amici più cari, i parenti che ami e quelli che a mala pena sopporti.
Ogni anno qualcosa è cambiato, mentre qualcosaltro non cambia mai. Quest'anno, per esempio, non si è più PhD student, c'è chi è entrato nell'olimpo dei faculty professor, chi è post-doc e chi deve ancora capire cosa fare. Si cresce, famiglie a carico, e per la prima volta ho visto una mamma con il suo bambino di un anno cercare di ascoltare i talk della conferenza, ed essere puntualmente costretta ad uscire ai primi pianti.
Si cresce, ci si racconta, mogli, mariti, fidanzati/e al seguito o lasciati a casa, e poi le storie dell'ultimo anno, sempre più persone che tornano a casa dopo essere emigrati all'estero.
E così incontro due ragazzi greci, tornati dall'inghilterra nella loro terra e costretti a fare 6 mesi di servizio militare, invece che due anni (ma va già bene!). L'anno scorso mi avevano detto che per finire il PhD avevano disertato ed erano "ricercati" e non potevano più tornare in Grecia con voli diretti,ma, at the end, tutto è bene quello che finisce bene.
E poi un altro ragazzo italiano, che era sempre in Inghilterra l'anno scorso ed aveva lasciato la moglie in Italia, dopo ben 9 concorsi, tutti "già assegnati", (ma non a lui) alla fine, finalmente, ce l'ha fatta a tornare. Storie di ordinaria immigrazione e ritorni.
Io invece, sono emigrata a Trento, anche io avevo una novità quest'anno.
Quante vite, quante storie in questo mini-mondo da conferenza, quante birre bevute in compagnia, raccontandosi, confidandosi le proprie speranze. Ed è strano, anche se ci si vede una volta all'anno, alla fine basta essere lontani da casa, in una città straniera, ed è come conoscersi da sempre.
L'aereo mi aspetta, si torna a casa, nel cuore la bellezza di budapest, le sue luci, il danubio.
Ci si vede l'anno prossimo, per raccontarsi ancora.
Sono ormai tre anni consecutivi che partecipo a questa conferenza e ormai conosco tutti, ogni anno è un po' come il ritrovarsi di una grande famiglia per le feste, con gli amici più cari, i parenti che ami e quelli che a mala pena sopporti.
Ogni anno qualcosa è cambiato, mentre qualcosaltro non cambia mai. Quest'anno, per esempio, non si è più PhD student, c'è chi è entrato nell'olimpo dei faculty professor, chi è post-doc e chi deve ancora capire cosa fare. Si cresce, famiglie a carico, e per la prima volta ho visto una mamma con il suo bambino di un anno cercare di ascoltare i talk della conferenza, ed essere puntualmente costretta ad uscire ai primi pianti.
Si cresce, ci si racconta, mogli, mariti, fidanzati/e al seguito o lasciati a casa, e poi le storie dell'ultimo anno, sempre più persone che tornano a casa dopo essere emigrati all'estero.
E così incontro due ragazzi greci, tornati dall'inghilterra nella loro terra e costretti a fare 6 mesi di servizio militare, invece che due anni (ma va già bene!). L'anno scorso mi avevano detto che per finire il PhD avevano disertato ed erano "ricercati" e non potevano più tornare in Grecia con voli diretti,ma, at the end, tutto è bene quello che finisce bene.
E poi un altro ragazzo italiano, che era sempre in Inghilterra l'anno scorso ed aveva lasciato la moglie in Italia, dopo ben 9 concorsi, tutti "già assegnati", (ma non a lui) alla fine, finalmente, ce l'ha fatta a tornare. Storie di ordinaria immigrazione e ritorni.
Io invece, sono emigrata a Trento, anche io avevo una novità quest'anno.
Quante vite, quante storie in questo mini-mondo da conferenza, quante birre bevute in compagnia, raccontandosi, confidandosi le proprie speranze. Ed è strano, anche se ci si vede una volta all'anno, alla fine basta essere lontani da casa, in una città straniera, ed è come conoscersi da sempre.
L'aereo mi aspetta, si torna a casa, nel cuore la bellezza di budapest, le sue luci, il danubio.
Ci si vede l'anno prossimo, per raccontarsi ancora.
lunedì 11 maggio 2009
Tra le montagne
Trento. Di nuovo una partenza, una nuova avventura, un nuovo viaggio. Scrivo e davanti a me il paese che mi accoglie, la mia nuova casa, il mio nuovo posto. Tutto intorno le montagne. Che strano, non ci sono abituata, sono abituata ad avere il cielo sgombro intorno, senza confini, senza contorno.
La gente di qui dice che non può stare senza montagne, che quando è in altri posti ne sente la mancanza. Posso immaginarlo, quando sei abituato a vederle fin da bambino a contornare il tuo cielo in qualsiasi altro posto ti senti a disagio, tra le montagne, invece, ti senti protetto e difeso.
Il mio feeling con le montagne è strano, a volte mi sembrano troppo cosa, soprattutto quando il sole va via, come adesso.
Ma durante il giorno sono meravigliose, illuminate dal sole, risplendono, soprattutto quelle che hanno la cima innevata e sono così belle.
Mi incanto a volte a guardarle e cerco di fare mia la loro bellezza, di capirle, di sentirle, come le sentono loro, i trentini, ma non so se potrò mai riuscirci, non sono nata qua.
Mi manca il mare? Mah, non so, il mare è in completa antitesi con queste montagne, spazio aperto, senza confini e senza contorni. Ma entrambi risplendono illuminati dal sole.
Perchè sono partita? Perchè sono inguaribilmente curiosa, perchè voglio vedere sempre cosa c'è oltre, esplorare altre possibilità, altre vite, conoscere altre storie.
Sono venuta per “sentire” le montagne e capirle.
E così, appena un anno dopo essere tornata dal Michigan, riparto di nuovo, per un'altra avventura, stay tuned. :)
La gente di qui dice che non può stare senza montagne, che quando è in altri posti ne sente la mancanza. Posso immaginarlo, quando sei abituato a vederle fin da bambino a contornare il tuo cielo in qualsiasi altro posto ti senti a disagio, tra le montagne, invece, ti senti protetto e difeso.
Il mio feeling con le montagne è strano, a volte mi sembrano troppo cosa, soprattutto quando il sole va via, come adesso.
Ma durante il giorno sono meravigliose, illuminate dal sole, risplendono, soprattutto quelle che hanno la cima innevata e sono così belle.
Mi incanto a volte a guardarle e cerco di fare mia la loro bellezza, di capirle, di sentirle, come le sentono loro, i trentini, ma non so se potrò mai riuscirci, non sono nata qua.
Mi manca il mare? Mah, non so, il mare è in completa antitesi con queste montagne, spazio aperto, senza confini e senza contorni. Ma entrambi risplendono illuminati dal sole.
Perchè sono partita? Perchè sono inguaribilmente curiosa, perchè voglio vedere sempre cosa c'è oltre, esplorare altre possibilità, altre vite, conoscere altre storie.
Sono venuta per “sentire” le montagne e capirle.
E così, appena un anno dopo essere tornata dal Michigan, riparto di nuovo, per un'altra avventura, stay tuned. :)
mercoledì 22 aprile 2009
L'ultimo baluardo: il portiere
Quando dico che gioco a calcio la gente resta sempre un po' interdetta, uno, perchè non è che sia uno sport prettamente femminile e, due, perchè non è che io incarni lo stereotipo della calciatrice: non ho i polpacci grandi e nemmeno i capelli corti. Nella mia squadra siamo tutte molto femminili, non si direbbe che siamo aspiranti calciatrici, almeno secondo lo stereotipo comune. Quando mi chiedono perchè abbia scelto di giocare a calcio rispondo, subito, d'istinto: perchè è uno sport di squadra e perchè si può praticare all'aria aperta. Non è che sia, infatti, un grande talento, ma giocare mi è sempre piaciuto, e non riesco a fare nessun altro sport, se non quello. In primis perchè mi piace l'idea del gruppo che fatica e si diverte con un obiettivo comune.
Non troverei possibile, altrimenti, correre, saltare, sudare, se non per uno scopo: giocare meglio in partita, essere più agile e più veloce. Odio la palestra, perchè non trovo lo scopo.
E così, l'altra sera siamo andate a giocare fuori casa, per me era l'ultima volta, almeno per questa stagione, speravo di segnare almeno un gol, visto che mi fregio, immeritatamente, del titolo di centravanti, anche se sono molto più brava nell'ultimo passaggio smarcante, un po' come Cassano con Pazzini, giusto per esagerare ancora un po' con i paragoni. :)
L'altra sera ci mancava il portiere, anzi tutti e due, e allora il nostro mister ha chiesto un volontario. Io non ho esitato a propormi, ho giocato anche in porta, di tanto in tanto, per gioco appunto, niente di serio. Lui mi ha chiesto se me la sentivo di “sacrificarmi”, ma per me non era davvero un sacrificio, anzi, mi sentivo di poter essere utile in quel momento per la squadra, e non mi importava se non era il mio ruolo, non mi interessa brillare, mi interessa che la mia squadra vinca, o almeno, se perde, che lo faccia combattendo sino all'ultimo minuto. ;)
Quando ho indossato la divisa del portiere e i guanti, per la mia prima volta, ho iniziato a pensare che forse ero stata troppo affrettata nel propormi...
La partita è iniziata e dopo neanche 5 minuti mi sono ritrovata con l'attaccante avversaria che si involava da sola verso la porta. In quel momento non potevo guardare intorno a me, ma ho sentito, chiaramente, tutti gli sguardi su di me, sentivo che le mie compagne, in campo e in panchina, il mister, tutti speravano, ma nel contempo sapevano già che sarebbe stato goal. Sono uscita, come si fa, per “chiudere lo specchio” della porta, lei ha tirato, io ho deviato con la punta del piede cadendo in scivolata, e cadendo mi sono girata verso la porta guardando il pallone toccare il palo e poi scivolare fuori!
E in quel momento ho sentito le grida di gioia dalla panchina e rosy, il mio difensore, che veniva ad abbracciarmi. Ma in quel momento ho anche realizzato l'incredibile responsabilità del ruolo, che sei davvero “l'ultimo uomo” e se sbagli non è come sbagliare un passaggio o anche un goal, è molto peggio.
Più volte mi sono trovata faccia a faccia, da sola con l'avversario, ho fatto quello che potevo, a volte ho parato a volte no. Ho fatto del mio meglio, sentendo il peso della partita sulle mie spalle, per tutta la partita, e quando l'arbitro ha fischiato la fine mi sono gettata a terra e ho chiuso gli occhi e pensato: “meno male che è finita, non ce la facevo più!” Poi, dopo, sono andata ad abbracciare le mie compagne, tutte mi facevano i compimenti e dicevano “abbiamo trovato un portiere!”. Anche il mister, serio, mi ha fatto i complimenti, e non me li aveva mai fatti. Che abbia scoperto una nuova vocazione? Non lo so, so solo che ero felice, felice perchè, al di là del risultato, avevo dato un contributo alla squadra, mi ero spesa per loro, insieme avevamo giocato...a calcio, e tanto mi basta.
Non troverei possibile, altrimenti, correre, saltare, sudare, se non per uno scopo: giocare meglio in partita, essere più agile e più veloce. Odio la palestra, perchè non trovo lo scopo.
E così, l'altra sera siamo andate a giocare fuori casa, per me era l'ultima volta, almeno per questa stagione, speravo di segnare almeno un gol, visto che mi fregio, immeritatamente, del titolo di centravanti, anche se sono molto più brava nell'ultimo passaggio smarcante, un po' come Cassano con Pazzini, giusto per esagerare ancora un po' con i paragoni. :)
L'altra sera ci mancava il portiere, anzi tutti e due, e allora il nostro mister ha chiesto un volontario. Io non ho esitato a propormi, ho giocato anche in porta, di tanto in tanto, per gioco appunto, niente di serio. Lui mi ha chiesto se me la sentivo di “sacrificarmi”, ma per me non era davvero un sacrificio, anzi, mi sentivo di poter essere utile in quel momento per la squadra, e non mi importava se non era il mio ruolo, non mi interessa brillare, mi interessa che la mia squadra vinca, o almeno, se perde, che lo faccia combattendo sino all'ultimo minuto. ;)
Quando ho indossato la divisa del portiere e i guanti, per la mia prima volta, ho iniziato a pensare che forse ero stata troppo affrettata nel propormi...
La partita è iniziata e dopo neanche 5 minuti mi sono ritrovata con l'attaccante avversaria che si involava da sola verso la porta. In quel momento non potevo guardare intorno a me, ma ho sentito, chiaramente, tutti gli sguardi su di me, sentivo che le mie compagne, in campo e in panchina, il mister, tutti speravano, ma nel contempo sapevano già che sarebbe stato goal. Sono uscita, come si fa, per “chiudere lo specchio” della porta, lei ha tirato, io ho deviato con la punta del piede cadendo in scivolata, e cadendo mi sono girata verso la porta guardando il pallone toccare il palo e poi scivolare fuori!
E in quel momento ho sentito le grida di gioia dalla panchina e rosy, il mio difensore, che veniva ad abbracciarmi. Ma in quel momento ho anche realizzato l'incredibile responsabilità del ruolo, che sei davvero “l'ultimo uomo” e se sbagli non è come sbagliare un passaggio o anche un goal, è molto peggio.
Più volte mi sono trovata faccia a faccia, da sola con l'avversario, ho fatto quello che potevo, a volte ho parato a volte no. Ho fatto del mio meglio, sentendo il peso della partita sulle mie spalle, per tutta la partita, e quando l'arbitro ha fischiato la fine mi sono gettata a terra e ho chiuso gli occhi e pensato: “meno male che è finita, non ce la facevo più!” Poi, dopo, sono andata ad abbracciare le mie compagne, tutte mi facevano i compimenti e dicevano “abbiamo trovato un portiere!”. Anche il mister, serio, mi ha fatto i complimenti, e non me li aveva mai fatti. Che abbia scoperto una nuova vocazione? Non lo so, so solo che ero felice, felice perchè, al di là del risultato, avevo dato un contributo alla squadra, mi ero spesa per loro, insieme avevamo giocato...a calcio, e tanto mi basta.
venerdì 10 aprile 2009
Eskimo
Qualche settimana fa sono capitata a Roma per caso, solo un week-end. Appena arrivata ho preso il bus che dalla stazione termini mi avrebbe portato a casa di mio zio e per ingannare il tempo ho preso a leggere uno di quei giornali gratuiti che la gente legge sui mezzi di trasporto pubblico e poi abbandona lì, per il prossimo passeggero.
Stavo sfogliando distrattamente le pagine, quando ho letto una notizia che mi ha fatto sobbalzare, e controllare più volte la data sul mio giornale, e poi sull'orologio e poi sul giornale e poi, poiché non mi sembrava vero, ho chiesto anche ad un ignaro signore che era lì accanto.
Ecco la notizia: Francesco Guccini in concerto, domani al Palalottomatica!
Ora per capire il mio entusiasmo alle stelle uno dovrebbe conoscere:
A- la mia sfrenata passione per questo cantante dall'età di sedici anni, prima musica seria ascoltata, primi moti di ribellione associati, tutte le canzoni più importanti imparate a memoria, i CD rigorosamente originali.
B- quanti pochi concerti Guccini faccia al sud e quindi la “quasi impossibilità” di incontrarlo live.
A questo proposito apro una piccola parentesi: nella mia vita da fan ho visto Guccini in concerto per tre volte: una volta ad Andria, una a Lecce ed una a Bari. Il concerto di Bari è stato forse il più brutto, una sera freddissima di settembre che sembrava gennaio, poca gente, poca voglia e io con la testa già in Michigan, eh si, perchè di lì a qualche giorno sarei partita. Però è stato quello che ha avuto l'epilogo più cinematografico e indimenticabile.
Finito il concerto andiamo a mangiare una pizza e dopo un po' chi ti arriva nella pizzeria? Proprio lui, con tutta la band, i musicisti e la compagna, roba da soccombere di emozione. Una cosa che se me l'avessero detta a sedici anni avrei pagato oro, ci avrei messo diecimila firme, ma non ci avrei creduto, non ci avrei mai creduto si potesse realizzare davvero. E si, perchè questo è un sogno di quelli che fai ad occhi aperti, quando ascolti le sue canzoni o magari leggi su internet di chi l'ha incontrato in pizzeria per caso e pensi come sarebbe (bello) se capitasse anche a te. Certo, confesso che se fosse successo a 16 anni forse mi sarebbe venuto un infarto, però, anche quindici anni dopo, l'emozione è stata forte. Ad un certo punto della serata, dopo aver smesso di guardarlo attonita, sono anche riuscita ad avvicinarmi e chiederli di poter fare una foto insieme, ma, soprattutto, sono riuscita a stringergli la manona! E poi in quei casi vorresti dire un sacco di cose, vorresti dire frasi intelligenti, che restino impresse, che ti distinguano nella massa indistinta dei fan, ma quali frasi intelligenti puoi dire in quei casi? Probabilmente nessuna e allora o resti zitta o finisci col dire una frase banale.
Ma questa era una parentesi, torniamo a Roma, torniamo al giornale, a quel concerto di Guccini. Dopo l'euforia iniziale un dubbio si affaccia subito alla mente: ma ci saranno ancora i biglietti?
Tempo di arrivare a casa, chiamo, tutto esaurito, internet tutto esaurito, provo su i siti di annunci, magari qualcuno li vende, niente. Ed ecco che poi arriva mio zio, con l'idea di andare lo stesso e comprare là i biglietti. Premetto che ciò mi creava un “forte” problema morale, non amo il bagarinaggio e soprattutto chi approfitta delle passioni della gente.
E qui apro un'altra parentesi, ma questa volta proprio piccola, avevo acquistato i biglietti per il 6 nazioni di rugby, non potendoci più andare, li ho venduti su internet. Ho avuto la tentazione di venderli ad un prezzo di poco maggiorato, senza arrivare al x5 degli altri su eBay, ma poi mi sono ricordata dei post di Marco Travaglio, del senso di legalità che da un po' mi permane, e ho venduto il tutto a prezzo di costo. Un po' mi è costato fatica, all'inizio, ma sono sicura di aver fatto la scelta giusta ed è questo, alla fine, l'unica cosa che conta.
Torniamo a Roma, mio zio supereroe esce un po' prima da lavoro, passa a prendermi, e andiamo. Fa freddo e di biglietti nessuna traccia. Stiamo fuori due ore, dopo un po' inizia anche a piovere, io voglio andare via, ho freddo, non ce la faccio più e non voglio più vedere gente felice con il biglietto che entra senza problemi, e va bene, sarà per un'altra volta...
Ma mio zio non desiste, a mezz'ora dal concerto ci offrono dei biglietti a prezzi immorali, dopo un po' iniziano a scendere, quando scendono a prezzi accettabili do a mio zio il consenso, va bene, possiamo comprarli, d'altronde, penso, questo potrebbe essere l'ultimo concerto che vedrò, Guccini andrà prima o poi in pensione o io, prima o poi, non ci potrò andare più...
Entriamo felici, io ho ritrovato l'entusiasmo, è così bello vedere quanto sia variegato il pubblico, che va dai sedicenni esaltati (come lo ero io) ai sessantenni pieni di risorse (come è ancora Guccini).
Entra, noi siamo vicinissimi al palco, posso vederlo benissimo, si parte con la solita canzone.
Il concerto scorre via troppo veloce, lui parla tanto, ed è arguto e sagace come sempre.
Canta le sue canzoni più belle, quelle che mi piacciono di più.
E il concerto vola via veloce, sino alla Locomotiva, e come sempre la voce non mi basta, dopo 2 ore di canzoni, non ce la faccio mai a gridare come vorrei: “...e sembra dire ai contadini curvi, quel fischio che si spande in aria, fratello non temere che corro al mio dovere, trionfi la giustizia proletaria, trionfi la giustizia proletaria, trionfi la giustizia proletaria!”
In tutto ciò, l'unica nota stonata è che noto, per la prima volta, in quante sue canzoni ci sia la parola ventanni, come in “Farewell”: e sorridevi e sapevi sorridere, con i tuoi ventanni portati così, come si porta un maglione sformato su un paio di jeans o in “Eskimo”: perchè a ventanni è tutto ancora intero, a ventanni è tutto o chi lo sa, a ventanni si è stupidi davvero, quante balle si hanno in testa a quell'età.
E penso che io di anni ne ho ventinove, e che quello è sicuramente l'ultimo concerto di Guccini in cui sono nella fascia dei venti e mi posso immedesimare in quel “quante balle si hanno in testa a quell'età”, e poi anche se non ne ho ancora trenta è già un po' vero che ormai “non è più tutto intero”. Rifletto su questo e sono un po' triste, ma solo un po', per un momento penso anche che non andrò più ad un suo concerto per non sentire più quelle frasi, ma so già che è solo il pensiero di un momento, che domani avrò già dimenticato.
Torniamo dal concerto, le parole di Eskimo mi ritornano in mente, sento che inizio a “vivere davvero la canzone”. Mio zio, a casa, vuole farmi vedere una cosa, apre l'armadio e scopre, non credo ai miei occhi, un eskimo! Ormai a lui non va più, troppo stretto, ma non so perchè lo conserva lo stesso, vorrebbe regalarmelo, lo provo, troppo grande!
E penso ancora alla canzone, a quell'eskimo troppo piccolo per lui e troppo grande per me, che un giorno, però è stato (o sarà) giusto, per entrambi, ora non ancora o non più. E penso che è la vita, che purtroppo non si può fermare, ma ogni volta è qualcosa in più, un ricordo, una canzone, un'emozione.
Stavo sfogliando distrattamente le pagine, quando ho letto una notizia che mi ha fatto sobbalzare, e controllare più volte la data sul mio giornale, e poi sull'orologio e poi sul giornale e poi, poiché non mi sembrava vero, ho chiesto anche ad un ignaro signore che era lì accanto.
Ecco la notizia: Francesco Guccini in concerto, domani al Palalottomatica!
Ora per capire il mio entusiasmo alle stelle uno dovrebbe conoscere:
A- la mia sfrenata passione per questo cantante dall'età di sedici anni, prima musica seria ascoltata, primi moti di ribellione associati, tutte le canzoni più importanti imparate a memoria, i CD rigorosamente originali.
B- quanti pochi concerti Guccini faccia al sud e quindi la “quasi impossibilità” di incontrarlo live.
A questo proposito apro una piccola parentesi: nella mia vita da fan ho visto Guccini in concerto per tre volte: una volta ad Andria, una a Lecce ed una a Bari. Il concerto di Bari è stato forse il più brutto, una sera freddissima di settembre che sembrava gennaio, poca gente, poca voglia e io con la testa già in Michigan, eh si, perchè di lì a qualche giorno sarei partita. Però è stato quello che ha avuto l'epilogo più cinematografico e indimenticabile.
Finito il concerto andiamo a mangiare una pizza e dopo un po' chi ti arriva nella pizzeria? Proprio lui, con tutta la band, i musicisti e la compagna, roba da soccombere di emozione. Una cosa che se me l'avessero detta a sedici anni avrei pagato oro, ci avrei messo diecimila firme, ma non ci avrei creduto, non ci avrei mai creduto si potesse realizzare davvero. E si, perchè questo è un sogno di quelli che fai ad occhi aperti, quando ascolti le sue canzoni o magari leggi su internet di chi l'ha incontrato in pizzeria per caso e pensi come sarebbe (bello) se capitasse anche a te. Certo, confesso che se fosse successo a 16 anni forse mi sarebbe venuto un infarto, però, anche quindici anni dopo, l'emozione è stata forte. Ad un certo punto della serata, dopo aver smesso di guardarlo attonita, sono anche riuscita ad avvicinarmi e chiederli di poter fare una foto insieme, ma, soprattutto, sono riuscita a stringergli la manona! E poi in quei casi vorresti dire un sacco di cose, vorresti dire frasi intelligenti, che restino impresse, che ti distinguano nella massa indistinta dei fan, ma quali frasi intelligenti puoi dire in quei casi? Probabilmente nessuna e allora o resti zitta o finisci col dire una frase banale.
Ma questa era una parentesi, torniamo a Roma, torniamo al giornale, a quel concerto di Guccini. Dopo l'euforia iniziale un dubbio si affaccia subito alla mente: ma ci saranno ancora i biglietti?
Tempo di arrivare a casa, chiamo, tutto esaurito, internet tutto esaurito, provo su i siti di annunci, magari qualcuno li vende, niente. Ed ecco che poi arriva mio zio, con l'idea di andare lo stesso e comprare là i biglietti. Premetto che ciò mi creava un “forte” problema morale, non amo il bagarinaggio e soprattutto chi approfitta delle passioni della gente.
E qui apro un'altra parentesi, ma questa volta proprio piccola, avevo acquistato i biglietti per il 6 nazioni di rugby, non potendoci più andare, li ho venduti su internet. Ho avuto la tentazione di venderli ad un prezzo di poco maggiorato, senza arrivare al x5 degli altri su eBay, ma poi mi sono ricordata dei post di Marco Travaglio, del senso di legalità che da un po' mi permane, e ho venduto il tutto a prezzo di costo. Un po' mi è costato fatica, all'inizio, ma sono sicura di aver fatto la scelta giusta ed è questo, alla fine, l'unica cosa che conta.
Torniamo a Roma, mio zio supereroe esce un po' prima da lavoro, passa a prendermi, e andiamo. Fa freddo e di biglietti nessuna traccia. Stiamo fuori due ore, dopo un po' inizia anche a piovere, io voglio andare via, ho freddo, non ce la faccio più e non voglio più vedere gente felice con il biglietto che entra senza problemi, e va bene, sarà per un'altra volta...
Ma mio zio non desiste, a mezz'ora dal concerto ci offrono dei biglietti a prezzi immorali, dopo un po' iniziano a scendere, quando scendono a prezzi accettabili do a mio zio il consenso, va bene, possiamo comprarli, d'altronde, penso, questo potrebbe essere l'ultimo concerto che vedrò, Guccini andrà prima o poi in pensione o io, prima o poi, non ci potrò andare più...
Entriamo felici, io ho ritrovato l'entusiasmo, è così bello vedere quanto sia variegato il pubblico, che va dai sedicenni esaltati (come lo ero io) ai sessantenni pieni di risorse (come è ancora Guccini).
Entra, noi siamo vicinissimi al palco, posso vederlo benissimo, si parte con la solita canzone.
Il concerto scorre via troppo veloce, lui parla tanto, ed è arguto e sagace come sempre.
Canta le sue canzoni più belle, quelle che mi piacciono di più.
E il concerto vola via veloce, sino alla Locomotiva, e come sempre la voce non mi basta, dopo 2 ore di canzoni, non ce la faccio mai a gridare come vorrei: “...e sembra dire ai contadini curvi, quel fischio che si spande in aria, fratello non temere che corro al mio dovere, trionfi la giustizia proletaria, trionfi la giustizia proletaria, trionfi la giustizia proletaria!”
In tutto ciò, l'unica nota stonata è che noto, per la prima volta, in quante sue canzoni ci sia la parola ventanni, come in “Farewell”: e sorridevi e sapevi sorridere, con i tuoi ventanni portati così, come si porta un maglione sformato su un paio di jeans o in “Eskimo”: perchè a ventanni è tutto ancora intero, a ventanni è tutto o chi lo sa, a ventanni si è stupidi davvero, quante balle si hanno in testa a quell'età.
E penso che io di anni ne ho ventinove, e che quello è sicuramente l'ultimo concerto di Guccini in cui sono nella fascia dei venti e mi posso immedesimare in quel “quante balle si hanno in testa a quell'età”, e poi anche se non ne ho ancora trenta è già un po' vero che ormai “non è più tutto intero”. Rifletto su questo e sono un po' triste, ma solo un po', per un momento penso anche che non andrò più ad un suo concerto per non sentire più quelle frasi, ma so già che è solo il pensiero di un momento, che domani avrò già dimenticato.
Torniamo dal concerto, le parole di Eskimo mi ritornano in mente, sento che inizio a “vivere davvero la canzone”. Mio zio, a casa, vuole farmi vedere una cosa, apre l'armadio e scopre, non credo ai miei occhi, un eskimo! Ormai a lui non va più, troppo stretto, ma non so perchè lo conserva lo stesso, vorrebbe regalarmelo, lo provo, troppo grande!
E penso ancora alla canzone, a quell'eskimo troppo piccolo per lui e troppo grande per me, che un giorno, però è stato (o sarà) giusto, per entrambi, ora non ancora o non più. E penso che è la vita, che purtroppo non si può fermare, ma ogni volta è qualcosa in più, un ricordo, una canzone, un'emozione.
giovedì 9 aprile 2009
Passateparola
Ecco qualcosa che voglio condividere con voi. In realtà ce ne sarebbe molto più di una...ma scelgo questa: la Giustizia. Ho sempre pensato di avere un profondo ed innato senso di giustizia, ma invece, qualche mese fa, mi sono accorta che non è che ne avessi molto. Il fatto è che molte cose, che non sono "giuste", con il tempo lo diventano, per il semplice fatto che così "fan tutti" e ci sembrano normali, e giuste, anche quando non lo sono.
Potrei elencare una serie infinita di esempi, ma ne farò uno per tutti: il biglietto sull'autobus.
A bari il biglietto sul bus, per la maggioranza delle persone, è normale non farlo e fino a poco tempo fa mi sembrava anche giusto, semplicemente perchè nessuno lo fa e io non sono mica più scema degli altri. Eppure, quando sono stata ad Edimburgo, a Sidney, a Dublino, mi sembrava normale pagare per il servizio e giusto, anche perchè tutti lo facevano.
Poi ritornavo a Bari e ritornavo nel mio torpore. Tutto questo fino a quando ho iniziato a leggere il blog di Marco Travaglio, e ho iniziato ad indignarmi per l'assoluta mancanza di giustizia che caratterizza questa terra martoriata che è l'Italia, ma, molto di più, mi sono indignata per la totale indifferenza "degli altri", come se i fatti, pur gravi, denunciati da Travaglio, fossero normali e quindi non "denuciabili". Normale che un ministro (o peggio, il capo del governo) inquisito non si dimetta, normale, perchè in Italia è sempre stato normale. All'inizio ero indignata, poi l'indignazione ha lasciato il posto alla tristezza, al senso di impotenza, al pensiero che io non potevo, non potevo nulla di fronte alla montagna di ingiustizia che ci adombrava.
E poi mi sono appassionata al caso De Magistris, ho ricostruito quello che era successo mentre io ero felice e ignara in Michigan, e la tristezza mi ha assalito maggiormente.
Non solo per l'ingiustizia che continuava a perpetuarsi, ma anche perchè pensavo a quest'uomo, a come doveva sentirsi, condannato ingiustamente dai media e dai suoi stessi colleghi, a quanto doveva essere depresso, se io lo ero per il solo fatto di conoscere la sua storia.
E poi, per caso, ho letto una sua intervista, ed è stato come un lampo che inaspettatamente illumina la notte, diceva che aveva fatto il concorso in magistratura negli stessi mesi in cui si compivano le stragi di mafia, mentre Falcone e Borsellino venivano barbaramente uccisi e che era entrato in magistratura con il desiderio di percorrere i loro stessi passi.
E non sembrava per niente un uomo sconfitto o depresso, per niente piegato, e ho pensato che forse niente può piegarci se rimaniamo fedeli a noi stessi e ai più alti ideali, se combattiamo per una causa giusta, se ci anima e ci trasporta il senso di giustizia.
Ed è così che è rinato in me il senso di giustizia, che finalmente ho capito che se De Magistris era lì, ancora a testa alta, con la voglia di non arrendersi, io non potevo arrendermi.
E ho anche capito cosa potevo fare per iniziare a cambiare incrementalmente le cose, che non era ncessario fare grandi gesti, che, per prima cosa, bisognava che il senso di giustizia ritornasse ad avere un suo posto, perchè tutti i mali derivano da quello, dal fatto che non ci "scandalizziamo" più e tutto ci sembra normale.
E allora ho iniziato a timbrare il biglietto sull'autobus, chi mi vede resta sorpreso, altri girano la testa per non vedere, altri lo timbrano con me. Quando ad essere gli unici saranno quelli che non timbrano, e non quelli che timbrano il biglietto, qualcosa sarà cambiato e non solo su quell'autobus.
Riportate questo semplice esempio ai mille contesti della società dove le cose non funzionano perchè "noi", per primi, non le facciamo funzionare.
E allora basta lamentarsi, se vogliamo cambiare dobbiamo passare dalle parole all'azione.
"Le parole muovono, ma l'esempio trascina". Passateparola. :)
Potrei elencare una serie infinita di esempi, ma ne farò uno per tutti: il biglietto sull'autobus.
A bari il biglietto sul bus, per la maggioranza delle persone, è normale non farlo e fino a poco tempo fa mi sembrava anche giusto, semplicemente perchè nessuno lo fa e io non sono mica più scema degli altri. Eppure, quando sono stata ad Edimburgo, a Sidney, a Dublino, mi sembrava normale pagare per il servizio e giusto, anche perchè tutti lo facevano.
Poi ritornavo a Bari e ritornavo nel mio torpore. Tutto questo fino a quando ho iniziato a leggere il blog di Marco Travaglio, e ho iniziato ad indignarmi per l'assoluta mancanza di giustizia che caratterizza questa terra martoriata che è l'Italia, ma, molto di più, mi sono indignata per la totale indifferenza "degli altri", come se i fatti, pur gravi, denunciati da Travaglio, fossero normali e quindi non "denuciabili". Normale che un ministro (o peggio, il capo del governo) inquisito non si dimetta, normale, perchè in Italia è sempre stato normale. All'inizio ero indignata, poi l'indignazione ha lasciato il posto alla tristezza, al senso di impotenza, al pensiero che io non potevo, non potevo nulla di fronte alla montagna di ingiustizia che ci adombrava.
E poi mi sono appassionata al caso De Magistris, ho ricostruito quello che era successo mentre io ero felice e ignara in Michigan, e la tristezza mi ha assalito maggiormente.
Non solo per l'ingiustizia che continuava a perpetuarsi, ma anche perchè pensavo a quest'uomo, a come doveva sentirsi, condannato ingiustamente dai media e dai suoi stessi colleghi, a quanto doveva essere depresso, se io lo ero per il solo fatto di conoscere la sua storia.
E poi, per caso, ho letto una sua intervista, ed è stato come un lampo che inaspettatamente illumina la notte, diceva che aveva fatto il concorso in magistratura negli stessi mesi in cui si compivano le stragi di mafia, mentre Falcone e Borsellino venivano barbaramente uccisi e che era entrato in magistratura con il desiderio di percorrere i loro stessi passi.
E non sembrava per niente un uomo sconfitto o depresso, per niente piegato, e ho pensato che forse niente può piegarci se rimaniamo fedeli a noi stessi e ai più alti ideali, se combattiamo per una causa giusta, se ci anima e ci trasporta il senso di giustizia.
Ed è così che è rinato in me il senso di giustizia, che finalmente ho capito che se De Magistris era lì, ancora a testa alta, con la voglia di non arrendersi, io non potevo arrendermi.
E ho anche capito cosa potevo fare per iniziare a cambiare incrementalmente le cose, che non era ncessario fare grandi gesti, che, per prima cosa, bisognava che il senso di giustizia ritornasse ad avere un suo posto, perchè tutti i mali derivano da quello, dal fatto che non ci "scandalizziamo" più e tutto ci sembra normale.
E allora ho iniziato a timbrare il biglietto sull'autobus, chi mi vede resta sorpreso, altri girano la testa per non vedere, altri lo timbrano con me. Quando ad essere gli unici saranno quelli che non timbrano, e non quelli che timbrano il biglietto, qualcosa sarà cambiato e non solo su quell'autobus.
Riportate questo semplice esempio ai mille contesti della società dove le cose non funzionano perchè "noi", per primi, non le facciamo funzionare.
E allora basta lamentarsi, se vogliamo cambiare dobbiamo passare dalle parole all'azione.
"Le parole muovono, ma l'esempio trascina". Passateparola. :)
giovedì 26 marzo 2009
Il calcio...poesia
Pensavo a quanto poetica sia la canzone “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore...” e quanto è poetico il calcio. Si, poesia. Come quando si sale tutte sul pullmino, che ci porterà lontano come stasera, kilometri su kilometri per vivere, ancora insieme, un'altra avventura. Le file degli alberi di ulivo scorrono veloci, noi pure, e io che penso “Sono felice, sto vivendo un sogno”.
E poi arriviamo e si indossa con orgoglio la divisa, il tuo numero, il numero 13. E mi vesto con lentezza, dando importanza ad ogni gesto, come si conviene ai gesti rituali, per assaporarli e viverne fino in fondo l'importanza. E così entriamo in campo, uno sguardo alle avversarie, cercando di scrutarle per capire, immaginare come andrà. E poi tutte schierate, il rituale della monetina, il saluto, mani che scorrono, il fischio di inizio.
Non avrei mai creduto che finalmente, quando pensavo che ormai fosse troppo tardi, questo mio sogno di bambina si sarebbe finalmente avverato, quando ormai non ci credevo più, quando ormai ogni speranza sembrava persa...ma la speranza non è mai persa. E così sono lì anche io a giocare, finalmente un torneo ufficiale, e si fa fatica a pensare che non sia tutto un sogno, che sia realtà, tanto mi sembra un dono inaspettato.
Passano i minuti, una distrazione e loro passano in vantaggio. Ma il terreno è umido, la palla è scivolosa, proviamo, palo, proviamo ancora e ancora. E poi, finalmente, la fortuna è dalla nostra parte e una deviazione ci aiuta, pareggiamo. Fatica, si fa fatica, ma si lotta, sempre sul filo. Poi una mischia in aria, la palla arriva sul piede giusto, tiro da fuori aria, goal!
Insperato, bellissimo! Lottiamo ancora per difendere il vantaggio, manca un minuto. C'è tensione, c'è nervosismo, ma bisognerebbe stare calmi, si bisognerebbe. La palla è fuori, è nostra, ma l'arbitro sbaglia, sbaglia e assegna la rimessa contro, siamo scoperte, contropiede, tiro, goal. No, chiudo gli occhi, poi li riapro e guardo il mister, sperando ci sia ancora una possibilità, ma lui sembra (o cerca di essere) impassibile.
L'arbitro fischia la fine.
E io che già mi immaginavo e pregustavo gli abbracci, i salti, la gioia, le canzoni nel viaggio di ritorno.
Non sarà per questa volta; la prossima volta, saremo più furbe; più scaltre; più ciniche; avremo imparato la lezione, si, forse. O forse commetteremo gli stessi errori, chissà.
In fondo abbiamo pareggiato, ma è un pareggio che per noi ha il sapore della sconfitta e per le altre della vittoria. Due facce, una stessa medaglia.
E nel viaggio di ritorno siamo un po' silenziose e il mister vorrebbe che parlassimo, che commentassimo, ma il silenzio prevale, mentre gli ulivi scorrono sempre veloci. E allora parla lui: ci dice che siamo un bel gruppo, che è orgoglioso di noi, che abbiamo giocato bene ed è onorato di allenarci. E questa forse è la vittoria più bella. E piano piano la tristezza se ne va, o resta solo un sottofondo, come la canzone dei Negramaro che ora cantiamo tutte insieme: “Meraviglioso, ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso...”.
E poi arriviamo e si indossa con orgoglio la divisa, il tuo numero, il numero 13. E mi vesto con lentezza, dando importanza ad ogni gesto, come si conviene ai gesti rituali, per assaporarli e viverne fino in fondo l'importanza. E così entriamo in campo, uno sguardo alle avversarie, cercando di scrutarle per capire, immaginare come andrà. E poi tutte schierate, il rituale della monetina, il saluto, mani che scorrono, il fischio di inizio.
Non avrei mai creduto che finalmente, quando pensavo che ormai fosse troppo tardi, questo mio sogno di bambina si sarebbe finalmente avverato, quando ormai non ci credevo più, quando ormai ogni speranza sembrava persa...ma la speranza non è mai persa. E così sono lì anche io a giocare, finalmente un torneo ufficiale, e si fa fatica a pensare che non sia tutto un sogno, che sia realtà, tanto mi sembra un dono inaspettato.
Passano i minuti, una distrazione e loro passano in vantaggio. Ma il terreno è umido, la palla è scivolosa, proviamo, palo, proviamo ancora e ancora. E poi, finalmente, la fortuna è dalla nostra parte e una deviazione ci aiuta, pareggiamo. Fatica, si fa fatica, ma si lotta, sempre sul filo. Poi una mischia in aria, la palla arriva sul piede giusto, tiro da fuori aria, goal!
Insperato, bellissimo! Lottiamo ancora per difendere il vantaggio, manca un minuto. C'è tensione, c'è nervosismo, ma bisognerebbe stare calmi, si bisognerebbe. La palla è fuori, è nostra, ma l'arbitro sbaglia, sbaglia e assegna la rimessa contro, siamo scoperte, contropiede, tiro, goal. No, chiudo gli occhi, poi li riapro e guardo il mister, sperando ci sia ancora una possibilità, ma lui sembra (o cerca di essere) impassibile.
L'arbitro fischia la fine.
E io che già mi immaginavo e pregustavo gli abbracci, i salti, la gioia, le canzoni nel viaggio di ritorno.
Non sarà per questa volta; la prossima volta, saremo più furbe; più scaltre; più ciniche; avremo imparato la lezione, si, forse. O forse commetteremo gli stessi errori, chissà.
In fondo abbiamo pareggiato, ma è un pareggio che per noi ha il sapore della sconfitta e per le altre della vittoria. Due facce, una stessa medaglia.
E nel viaggio di ritorno siamo un po' silenziose e il mister vorrebbe che parlassimo, che commentassimo, ma il silenzio prevale, mentre gli ulivi scorrono sempre veloci. E allora parla lui: ci dice che siamo un bel gruppo, che è orgoglioso di noi, che abbiamo giocato bene ed è onorato di allenarci. E questa forse è la vittoria più bella. E piano piano la tristezza se ne va, o resta solo un sottofondo, come la canzone dei Negramaro che ora cantiamo tutte insieme: “Meraviglioso, ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso...”.
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martedì 24 febbraio 2009
Consigli per gli acquisti: Barenaked ladies
Niente conigliette di playboy, niente di quello che state pensando! :)
Sono semplicemente un fantastico gruppo...pop? Riduttivo, per saperne di più: barenaked ladies vi consiglio soprattutto l'album 'Gordon' quando siete in un periodo di stress lavorativo e le vostre menti devono processare molte più informazioni in molto meno tempo, è energia pura, meglio di una red bull! ;)
Provate e fatemi sapere, ora torno al mio lavoro (vedi avviso sotto :)
PS: me li ha fatti conoscere Lee, l'undergrad unica mia compagnia nel mio lab disertato da tutti all'Unimich e unico compagno dei miei lunghi caffè (quanto mi mancano!!!).
Non lo ringrazierò mai abbastanza, è uno dei regali più belli che mi sono portata dall'altra parte dell'oceano e che custodisco gelosamente, ma non manco di condividere.
Sono semplicemente un fantastico gruppo...pop? Riduttivo, per saperne di più: barenaked ladies vi consiglio soprattutto l'album 'Gordon' quando siete in un periodo di stress lavorativo e le vostre menti devono processare molte più informazioni in molto meno tempo, è energia pura, meglio di una red bull! ;)
Provate e fatemi sapere, ora torno al mio lavoro (vedi avviso sotto :)
PS: me li ha fatti conoscere Lee, l'undergrad unica mia compagnia nel mio lab disertato da tutti all'Unimich e unico compagno dei miei lunghi caffè (quanto mi mancano!!!).
Non lo ringrazierò mai abbastanza, è uno dei regali più belli che mi sono portata dall'altra parte dell'oceano e che custodisco gelosamente, ma non manco di condividere.
giovedì 19 febbraio 2009
Avviso ai naviganti
Scusate per la prolungata assenza, ma è questione di futuro, occupato o disoccupato!
Vi racconterò presto, subito dopo il 27 febbraio!
Stay tuned!
;)
lunedì 2 febbraio 2009
Facebook, ergo sum! (La potenza di Facebook)
Premetto che sono forse una dei pochi reduci che ancora resistono e non sono iscritti a facebook, anche se ormai l'antico “Cogito ergo sum” si è tramutato in “Facebook, ergo sum” e quindi pare io sia destinata a non esistere più a breve. Il mondo sta cambiando e con lui noi. No, non è la fiera delle banalità tipo: non ci sono più le mezze stagioni, e ve lo dimostrerò in a bit.
Mi è capitato l'altro giorno, pausa pranzo, trovo a terra una tessera sanitaria, la raccolgo, e scopro che è di una mia compaesana. Che coincidenza – penso, poiché l'avevo trovata non nel mio paese, ma a bari - e decido di prenderla e cercare di ritrovare la proprietaria. Non so se è stata la comunanza di origini o semplice spirito civico, ma mi sono interessata al caso. Torno al lavoro e mentre sono davanti al mio computer, cercando di convincermi che quello che faccio, se non utile al mondo, almeno è utile a me, ho l'illuminazione: facebook! È praticamente meglio di un elenco telefonico, una finestra sul mondo - altro che portare la tessera dai vigili urbani! - è la che posso trovare chi cerco. In realtà non è detto sia semplicissimo, innanzitutto potrebbe non essere iscritta, come me. Ma questa è un'ipotesi poco probabile, vista la diffusione a macchia d'olio di questo mezzo di comunicazione di ultima generazione.
Inizio la ricerca sul PC di un mio amico che “se ne intende”, e troviamo ben 5 entry, ma due le scartiamo subito perchè non sono italiane, le altre non scrivono la città di provenienza, ma il mio amico mi “svela” che possiamo dare un'occhiata al loro elenco di amici e, così, capire.
E capiamo, infatti, facciamo un'ulteriore selezione: la prima è sicuramente siciliana, ha tutti amici di Palermo e dintorni, ma la seconda ha invece conoscenze di bari e del mio paese, fuoco, fuocherello, secondo me è lei. Sempre il mio amico mi spiega che possiamo inviarle un messaggio, anche se lui non è nella sua lista di amici e così facciamo: “Ciao, scusa, ma che per caso hai perso una tessera sanitaria...”.
Siamo quasi eccitati da questa piccola ricerca investigativa e aspettiamo con ansia la risposta, per avere la conferma che siamo stati bravi e che ho avuto proprio un'idea geniale.
E la risposta arriva, puntuale, è lei!
Piccolo momento di esaltazione e il resto è storia (come è uso dire) risposta – risposta alla risposta – e si incontreranno tra due giorni, volutamente ho lasciato l'incontro al mio amico, un po' perchè le aveva scritto lui, un po' perchè è single e chissà che non possa essere un cupido virtuale, e far nascere, grazie anche a facebook, una storia...reale.
Mi è capitato l'altro giorno, pausa pranzo, trovo a terra una tessera sanitaria, la raccolgo, e scopro che è di una mia compaesana. Che coincidenza – penso, poiché l'avevo trovata non nel mio paese, ma a bari - e decido di prenderla e cercare di ritrovare la proprietaria. Non so se è stata la comunanza di origini o semplice spirito civico, ma mi sono interessata al caso. Torno al lavoro e mentre sono davanti al mio computer, cercando di convincermi che quello che faccio, se non utile al mondo, almeno è utile a me, ho l'illuminazione: facebook! È praticamente meglio di un elenco telefonico, una finestra sul mondo - altro che portare la tessera dai vigili urbani! - è la che posso trovare chi cerco. In realtà non è detto sia semplicissimo, innanzitutto potrebbe non essere iscritta, come me. Ma questa è un'ipotesi poco probabile, vista la diffusione a macchia d'olio di questo mezzo di comunicazione di ultima generazione.
Inizio la ricerca sul PC di un mio amico che “se ne intende”, e troviamo ben 5 entry, ma due le scartiamo subito perchè non sono italiane, le altre non scrivono la città di provenienza, ma il mio amico mi “svela” che possiamo dare un'occhiata al loro elenco di amici e, così, capire.
E capiamo, infatti, facciamo un'ulteriore selezione: la prima è sicuramente siciliana, ha tutti amici di Palermo e dintorni, ma la seconda ha invece conoscenze di bari e del mio paese, fuoco, fuocherello, secondo me è lei. Sempre il mio amico mi spiega che possiamo inviarle un messaggio, anche se lui non è nella sua lista di amici e così facciamo: “Ciao, scusa, ma che per caso hai perso una tessera sanitaria...”.
Siamo quasi eccitati da questa piccola ricerca investigativa e aspettiamo con ansia la risposta, per avere la conferma che siamo stati bravi e che ho avuto proprio un'idea geniale.
E la risposta arriva, puntuale, è lei!
Piccolo momento di esaltazione e il resto è storia (come è uso dire) risposta – risposta alla risposta – e si incontreranno tra due giorni, volutamente ho lasciato l'incontro al mio amico, un po' perchè le aveva scritto lui, un po' perchè è single e chissà che non possa essere un cupido virtuale, e far nascere, grazie anche a facebook, una storia...reale.
mercoledì 28 gennaio 2009
Cronache dall'ItaliaFilmFest: Documentari
In concorso al Festival del Cinema c'erano diversi documentari, tra questi voglio ricordarne due, diversissimi, ma entrambi nella categoria "vale la pena".
Il primo, "Città Aperta", era un documentario di documentari, in quanto raccoglieva spezzoni di documentari recuperati dall'archivio dell'Istituto Luce e li metteva insieme raccontando così la Storia d'Italia dal '48 al '68.
Nel montaggio sono stati accuratamente evitati gli episodi di carattere politico, cercando di comporre un racconto che si basasse sull'evoluzione della vita sociale, letteraria ed artistica dell'Italia di quegli anni, con a margine gli avvenimenti politici, che pur quella vita avevano influenzato.
E' stato molto emozionante, perché ho potuto vedere Ungaretti fare lezione alla Sapienza, Moravia con Elsa Morante e poi, dopo qualche anno, con la giovane scrittrice Dacia Maraini. Trilussa che legge una sua poesia in romanesco. E poi la dolce vita di via Veneto, l'origine del nome Paparazzo, Mastroianni, Fellini. E poi gli artisti, Picasso, le nuove correnti, Saba che legge i suoi scritti, Pasolini che semina scompiglio con i suoi film.
Ma poi tanta gente comune, che accoglie festante l'arrivo degli americani a Roma, dopo le sofferenze disseminate dalla dominazione fascista, la gente che cerca nelle feste danzanti di dimenticare la guerra. La polvere e la distruzione da cui nasce, grazie alla forza di tutti, il miracolo italiano.
Una vera full immersion nella storia di quello che non è Storia, perché non è scritto sui libri, ma al tempo stesso è storia, perché è accaduto ed è anche stato immortalato.
Il secondo documentario, "Improvvisamente l'inverno scorso", invece, tratta dell'infinita avventura dei Di.Co., è girato da una coppia di registi gay, coppia sia in senso professionale, che personale: Gustav & Luca.
Difficile descriverlo, in quanto questo è si formato da spezzoni di telegiornali o trasmissioni televisive varie, ma anche da interviste che i due fanno in giro per Roma nei giorni "critici" delle manifestazioni pro e contro i Di.Co, interviste a politici cattolici, suore, CL, persone che credono di possedere la verità rivelata; il tutto intervallato da "siparietti" presi dalla loro vita comune.
Credo, infatti, che la cosa più bella del documentario sia il fatto che, oltre a scorrere leggero, sia intervallato dai dialoghi dei protagonisti: Gustav, sempre speranzoso, infaticabile, pieno di fiducia, ottimista e Luca , invece, più disilluso, stanco di andare ai "family day", più distaccato, realista.
Luca sa che i Di.Co. non verranno mai approvati, Gustav non lo sa, perché non è italiano e crede alle Istituzioni, ai diritti che vanno rispettati, al bene che vince sempre.
Come quando ad un corteo di estrema destra, Gustav rivendica il diritto degli omosessuali ad una tutela e svela di stare insieme a Luca da otto anni e viene zittito ed invitato ad andare a casa e lui vuole rimanere perché, dice, non ha fatto nulla di male, è un libero cittadino, in un luogo pubblico. Alla fine, ormai lontani dal "pericolo scampato", Luca lo rimprovera, perché ha corso un grosso rischio, quello di essere pestato, ma Gustav non lo sa, o forse non vuole accettare, forse pensa di essere ancora in Svezia. La cosa più bella del documentario è proprio la dinamica della relazione tra i due, registi e protagonisti, risultano subito simpatici e non si riesce proprio a non solidarizzare con loro e quindi, anche se conosci la fine della storia, speri che finisca in un'altro modo, che alla fine sia Gustav ad avere ragione, che il bene trionferà, ma non è un film, è un documentario sull'Italia, e quindi è Luca ad avere ragione. Il lieto fine però c'è lo stesso, ma non ve lo dico, per non rovinarvi la sorpresa.
Il primo, "Città Aperta", era un documentario di documentari, in quanto raccoglieva spezzoni di documentari recuperati dall'archivio dell'Istituto Luce e li metteva insieme raccontando così la Storia d'Italia dal '48 al '68.
Nel montaggio sono stati accuratamente evitati gli episodi di carattere politico, cercando di comporre un racconto che si basasse sull'evoluzione della vita sociale, letteraria ed artistica dell'Italia di quegli anni, con a margine gli avvenimenti politici, che pur quella vita avevano influenzato.
E' stato molto emozionante, perché ho potuto vedere Ungaretti fare lezione alla Sapienza, Moravia con Elsa Morante e poi, dopo qualche anno, con la giovane scrittrice Dacia Maraini. Trilussa che legge una sua poesia in romanesco. E poi la dolce vita di via Veneto, l'origine del nome Paparazzo, Mastroianni, Fellini. E poi gli artisti, Picasso, le nuove correnti, Saba che legge i suoi scritti, Pasolini che semina scompiglio con i suoi film.
Ma poi tanta gente comune, che accoglie festante l'arrivo degli americani a Roma, dopo le sofferenze disseminate dalla dominazione fascista, la gente che cerca nelle feste danzanti di dimenticare la guerra. La polvere e la distruzione da cui nasce, grazie alla forza di tutti, il miracolo italiano.
Una vera full immersion nella storia di quello che non è Storia, perché non è scritto sui libri, ma al tempo stesso è storia, perché è accaduto ed è anche stato immortalato.
Il secondo documentario, "Improvvisamente l'inverno scorso", invece, tratta dell'infinita avventura dei Di.Co., è girato da una coppia di registi gay, coppia sia in senso professionale, che personale: Gustav & Luca.
Difficile descriverlo, in quanto questo è si formato da spezzoni di telegiornali o trasmissioni televisive varie, ma anche da interviste che i due fanno in giro per Roma nei giorni "critici" delle manifestazioni pro e contro i Di.Co, interviste a politici cattolici, suore, CL, persone che credono di possedere la verità rivelata; il tutto intervallato da "siparietti" presi dalla loro vita comune.
Credo, infatti, che la cosa più bella del documentario sia il fatto che, oltre a scorrere leggero, sia intervallato dai dialoghi dei protagonisti: Gustav, sempre speranzoso, infaticabile, pieno di fiducia, ottimista e Luca , invece, più disilluso, stanco di andare ai "family day", più distaccato, realista.
Luca sa che i Di.Co. non verranno mai approvati, Gustav non lo sa, perché non è italiano e crede alle Istituzioni, ai diritti che vanno rispettati, al bene che vince sempre.
Come quando ad un corteo di estrema destra, Gustav rivendica il diritto degli omosessuali ad una tutela e svela di stare insieme a Luca da otto anni e viene zittito ed invitato ad andare a casa e lui vuole rimanere perché, dice, non ha fatto nulla di male, è un libero cittadino, in un luogo pubblico. Alla fine, ormai lontani dal "pericolo scampato", Luca lo rimprovera, perché ha corso un grosso rischio, quello di essere pestato, ma Gustav non lo sa, o forse non vuole accettare, forse pensa di essere ancora in Svezia. La cosa più bella del documentario è proprio la dinamica della relazione tra i due, registi e protagonisti, risultano subito simpatici e non si riesce proprio a non solidarizzare con loro e quindi, anche se conosci la fine della storia, speri che finisca in un'altro modo, che alla fine sia Gustav ad avere ragione, che il bene trionferà, ma non è un film, è un documentario sull'Italia, e quindi è Luca ad avere ragione. Il lieto fine però c'è lo stesso, ma non ve lo dico, per non rovinarvi la sorpresa.
giovedì 22 gennaio 2009
Aneddoti dall'ItaliaFilmFest: Laura Morante
Durante i giorni del Festival ho provato molte sensazioni belle. Come quella di svegliarmi al mattino e avere il "problema" di decidere quale film andare a vedere, oppure la sensazione di essere una "ragazza fortunata" per aver ricevuto questo regalo inatteso e graditissimo del Festival, una privilegiata per il solo fatto di essere a bari in questo momento.
E poi la sensazione dell'attesa che si materializzava già dalle 5 quando sapevo di avere un "appuntamento" al festival per le 7.
E poi prendere il bus, con la stessa frenesia e il batticuore di un "primo appuntamento" e la paura di non essere in tempo, di non trovare il biglietto, l'emozione e l'aspettativa di quale strascico il film avrebbe lasciato nella mia anima, se sarebbe stato o meno indimenticabile, uno di quei film "da ricordare". E poi, arrivata al Galleria, c'era sempre qualcuno più o meno famoso, ho visto, per esempio, Laura Morante, che era semplicemente bellissima, molto più che nei film, non sono riuscita ad avvicinarla perchè mi incuteva una specie di timore, quasi drammatica nella sua figura, elegante, con un impermeabile appena appoggiato, che le scopriva una spalla nuda, la matita nera del trucco che accentuava i suoi occhi quasi tristi, mi sembrava lì ad un passo ed al tempo stesso lontanissima, come se i nostri fossero due mondi separati da un velo invisibile. E poi, il problema di incontrare i nostri miti è sempre lo stesso, cosa dirgli? Cosa dirgli che non suoni banale e scontato, che non sia un complimento e ti faccia sentire ancora più piccolo dinanzi al suo cospetto? E così sono rimasta a guardarla da lontano, cercando di trovare un incipit intelligente per il mio discorso, fino a quando anche lei non è scomparsa nel buio della sala.
E poi la sensazione dell'attesa che si materializzava già dalle 5 quando sapevo di avere un "appuntamento" al festival per le 7.
E poi prendere il bus, con la stessa frenesia e il batticuore di un "primo appuntamento" e la paura di non essere in tempo, di non trovare il biglietto, l'emozione e l'aspettativa di quale strascico il film avrebbe lasciato nella mia anima, se sarebbe stato o meno indimenticabile, uno di quei film "da ricordare". E poi, arrivata al Galleria, c'era sempre qualcuno più o meno famoso, ho visto, per esempio, Laura Morante, che era semplicemente bellissima, molto più che nei film, non sono riuscita ad avvicinarla perchè mi incuteva una specie di timore, quasi drammatica nella sua figura, elegante, con un impermeabile appena appoggiato, che le scopriva una spalla nuda, la matita nera del trucco che accentuava i suoi occhi quasi tristi, mi sembrava lì ad un passo ed al tempo stesso lontanissima, come se i nostri fossero due mondi separati da un velo invisibile. E poi, il problema di incontrare i nostri miti è sempre lo stesso, cosa dirgli? Cosa dirgli che non suoni banale e scontato, che non sia un complimento e ti faccia sentire ancora più piccolo dinanzi al suo cospetto? E così sono rimasta a guardarla da lontano, cercando di trovare un incipit intelligente per il mio discorso, fino a quando anche lei non è scomparsa nel buio della sala.
Aneddoti dall'ItaliaFilmFest: Il Grande Progetto
Durante il Festival del cinema mi è capitato di fare qualcosa che solitamente non mi capita mai: andare al cinema da sola.
Le proiezioni, infatti, erano spesso in orari "proibitivi", cioè lavorativi, e quindi era difficile trovare accompagnatori, forse anche perchè a me sarebbe piaciuto andare a vedere film vecchi e poco famosi oggi, anzichè i pur belli, Gomorra o il Divo che si possono trovare facilmente in DVD. Insomma, uno di questi giorni il desiderio di vedere il film di uno dei miei scrittori preferiti, Baricco, "Lezione 21", mi ha portato al cinema, ma i biglietti erano tutti esauriti. Allora ho deciso comunque di rimanere al Galleria, a godermi l'atmosfera.
Mi sono seduta, indecisa sul da farsi, e vicino a me c'era un signore, anche lui solo, sulla sessantina, poteva essere mio padre, con una coppola in mano. Ad un certo punto lui mi ha rivolto la parola, sarà stato forse il fatto di essere entrambi soli al cinema, una condizione di pochi e che quindi ci faceva sentire "amici", come spesso accade.
Mi ha detto che andava a vedere il "Grande Progetto", ma, quasi scusandosi, ha subito aggiunto: ma non so niente, di che parla, chi sono gli attori. Forse temeva che fosse un film dal contenuto dubbio e che quindi potessi poi formarmi una brutta opinione di lui.
Io, allora, che naturalmente ero informatissima e avevo letto tutte le recensioni dei film, gli ho spiegato di cosa si trattava, cercando di rassicurarlo.
E lui, come sollevato da un peso, si è aperto facendomi una confessione: anche io ho un grande progetto! E senza nemmeno aspettare la mia reazione mi ha detto: vincere tanti milioni al superenalotto! Al che io ho detto che mi sembrava avessimo lo stesso progetto. Allora lui si è affrettato a specificare che quei soldi non li voleva per lui, ma che avrebbe voluto aprire una grande fabbrica per dare lavoro a tanta gente. E che ci provava, con i grattaevinci e il superenalotto, ma finora non aveva vinto mai niente. Poi la lucetta verde si è accesa, si può entrare in sala, mi ha salutato cordialmente ed è andato via. Chissà se il grande progetto, il film, l'avrà ispirato.
Le proiezioni, infatti, erano spesso in orari "proibitivi", cioè lavorativi, e quindi era difficile trovare accompagnatori, forse anche perchè a me sarebbe piaciuto andare a vedere film vecchi e poco famosi oggi, anzichè i pur belli, Gomorra o il Divo che si possono trovare facilmente in DVD. Insomma, uno di questi giorni il desiderio di vedere il film di uno dei miei scrittori preferiti, Baricco, "Lezione 21", mi ha portato al cinema, ma i biglietti erano tutti esauriti. Allora ho deciso comunque di rimanere al Galleria, a godermi l'atmosfera.
Mi sono seduta, indecisa sul da farsi, e vicino a me c'era un signore, anche lui solo, sulla sessantina, poteva essere mio padre, con una coppola in mano. Ad un certo punto lui mi ha rivolto la parola, sarà stato forse il fatto di essere entrambi soli al cinema, una condizione di pochi e che quindi ci faceva sentire "amici", come spesso accade.
Mi ha detto che andava a vedere il "Grande Progetto", ma, quasi scusandosi, ha subito aggiunto: ma non so niente, di che parla, chi sono gli attori. Forse temeva che fosse un film dal contenuto dubbio e che quindi potessi poi formarmi una brutta opinione di lui.
Io, allora, che naturalmente ero informatissima e avevo letto tutte le recensioni dei film, gli ho spiegato di cosa si trattava, cercando di rassicurarlo.
E lui, come sollevato da un peso, si è aperto facendomi una confessione: anche io ho un grande progetto! E senza nemmeno aspettare la mia reazione mi ha detto: vincere tanti milioni al superenalotto! Al che io ho detto che mi sembrava avessimo lo stesso progetto. Allora lui si è affrettato a specificare che quei soldi non li voleva per lui, ma che avrebbe voluto aprire una grande fabbrica per dare lavoro a tanta gente. E che ci provava, con i grattaevinci e il superenalotto, ma finora non aveva vinto mai niente. Poi la lucetta verde si è accesa, si può entrare in sala, mi ha salutato cordialmente ed è andato via. Chissà se il grande progetto, il film, l'avrà ispirato.
martedì 20 gennaio 2009
When dreams come true
Sembra il titolo di una favola, e invece, questa volta, è realtà.
E così è avvenuto davvero: Barack Hussein Obama è presidente degli Stati Uniti D'America, e già il suo nome è tutto un programma. Oggi sono felice, perchè quando ho scoperto Obama ero in Michigan e nulla era così scontato come sembra adesso e quando ho comprato la sua maglietta pensavo: "Entrerà nella storia? E quanto varrà questa maglietta tra 20 anni? Meno di quanto l'ho pagata oggi?". Niente era così scontato come adesso e Obama sembrava molto più solo.
Ma io ci credevo, ci ho creduto fin dall'inizio e per questo non vorrei che questo post suoni vuoto, come se fosse un salire sul carro del vincitore, come adesso fanno tutti.
Non voglio commentare il suo discorso (qui in inglese), ma solo condividerne alcuni punti, quelli che mi hanno toccato maggiormente e mi ispirano forza e fiducia nel futuro e, in questo momento, ce n'è bisogno.
"In questo giorno, ci riuniamo perché abbiamo scelto la speranza sulla paura,l'unità degli intenti rispetto al conflitto e alla discordia."
"E' venuto il momento di riaffermare il nostro spirito tenace, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, l'idea nobile, passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti siamo uguali, tutti siamo liberi e tutti meritiamo una possibilità di perseguire la felicità in tutta la sua pienezza."
"Questi uomini e donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato finché le loro mani sono diventate ruvide per permettere a noi di vivere una vita migliore. Hanno visto nell'America qualcosa di più grande che una somma delle nostre ambizioni individuali"
"Quel che uomini e donne possono ottenere quando l'immaginazione si unisce alla volontà comune, e la necessità al coraggio."
"E così, per tutti i popoli e i governi che ci guardano oggi, dalle più grandi capitali al piccolo villaggio dove è nato mio padre: sappiate che l'America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che sia alla ricerca di un futuro di pace e dignità, e che noi siamo pronti ad aprire la strada ancora una volta."
"fermi nella consapevolezza che non c'è nulla di più soddisfacente per lo spirito, così importante per la definizione del carattere, che darsi completamente per una causa difficile."
Oggi la televisione ha mostrato le immagini del suo discorso e dopo quelle del discorso Martin Luther King dallo stesso luogo, 45 anni fa.
Mi hanno fatto venire i brividi, ma soprattutto mi hanno dato la sensazione tangibile che la Speranza davvero non può mai morire, neanche quando si uccide l'uomo simbolo di quella Speranza. Perchè Martin Luther King è stato ucciso, ma non il suo sogno. Mentre King pronunciava il suo discorso i neri non potevano neanche entrare nei bar, come il padre di Obama, ora suo figlio, in quella stessa piazza, parla da presidente. Non credo sia possibile descrivere con le parole cosa è davvero accaduto oggi, forse lo capiremo quando lo studieranno i nostri figli sui libri di scuola, possiamo solo immaginarlo, ma i cuori di coloro che hanno vissuto la discriminazione, oggi esultano, oggi vivono finalmente la frase pronunciata con forza da King a conclusione del suo discorso: Free at last! Free at last! (Liberi finalmente! Liberi finalmente!). Tutti, se lotteremo, avremo la possibilità di perseguire la felicità piena, non è detto che ci vorrà poco tempo, ci vorranno 60 o più anni, sacrifici di cui, forse, non vedremo i frutti, mani ruvide, ma possiamo farcela e lo faremo. Oggi a tutti è concesso di sognare, a tutti è concesso di pronunciare quella frase: I have a dream e pensare che quel sogno, un giorno, possa avverarsi.
Le cose cambiano, e, per fortuna, anche in meglio at last!
E così è avvenuto davvero: Barack Hussein Obama è presidente degli Stati Uniti D'America, e già il suo nome è tutto un programma. Oggi sono felice, perchè quando ho scoperto Obama ero in Michigan e nulla era così scontato come sembra adesso e quando ho comprato la sua maglietta pensavo: "Entrerà nella storia? E quanto varrà questa maglietta tra 20 anni? Meno di quanto l'ho pagata oggi?". Niente era così scontato come adesso e Obama sembrava molto più solo.
Ma io ci credevo, ci ho creduto fin dall'inizio e per questo non vorrei che questo post suoni vuoto, come se fosse un salire sul carro del vincitore, come adesso fanno tutti.
Non voglio commentare il suo discorso (qui in inglese), ma solo condividerne alcuni punti, quelli che mi hanno toccato maggiormente e mi ispirano forza e fiducia nel futuro e, in questo momento, ce n'è bisogno.
"In questo giorno, ci riuniamo perché abbiamo scelto la speranza sulla paura,l'unità degli intenti rispetto al conflitto e alla discordia."
"E' venuto il momento di riaffermare il nostro spirito tenace, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, l'idea nobile, passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti siamo uguali, tutti siamo liberi e tutti meritiamo una possibilità di perseguire la felicità in tutta la sua pienezza."
"Questi uomini e donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato finché le loro mani sono diventate ruvide per permettere a noi di vivere una vita migliore. Hanno visto nell'America qualcosa di più grande che una somma delle nostre ambizioni individuali"
"Quel che uomini e donne possono ottenere quando l'immaginazione si unisce alla volontà comune, e la necessità al coraggio."
"E così, per tutti i popoli e i governi che ci guardano oggi, dalle più grandi capitali al piccolo villaggio dove è nato mio padre: sappiate che l'America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che sia alla ricerca di un futuro di pace e dignità, e che noi siamo pronti ad aprire la strada ancora una volta."
"fermi nella consapevolezza che non c'è nulla di più soddisfacente per lo spirito, così importante per la definizione del carattere, che darsi completamente per una causa difficile."
Oggi la televisione ha mostrato le immagini del suo discorso e dopo quelle del discorso Martin Luther King dallo stesso luogo, 45 anni fa.
Mi hanno fatto venire i brividi, ma soprattutto mi hanno dato la sensazione tangibile che la Speranza davvero non può mai morire, neanche quando si uccide l'uomo simbolo di quella Speranza. Perchè Martin Luther King è stato ucciso, ma non il suo sogno. Mentre King pronunciava il suo discorso i neri non potevano neanche entrare nei bar, come il padre di Obama, ora suo figlio, in quella stessa piazza, parla da presidente. Non credo sia possibile descrivere con le parole cosa è davvero accaduto oggi, forse lo capiremo quando lo studieranno i nostri figli sui libri di scuola, possiamo solo immaginarlo, ma i cuori di coloro che hanno vissuto la discriminazione, oggi esultano, oggi vivono finalmente la frase pronunciata con forza da King a conclusione del suo discorso: Free at last! Free at last! (Liberi finalmente! Liberi finalmente!). Tutti, se lotteremo, avremo la possibilità di perseguire la felicità piena, non è detto che ci vorrà poco tempo, ci vorranno 60 o più anni, sacrifici di cui, forse, non vedremo i frutti, mani ruvide, ma possiamo farcela e lo faremo. Oggi a tutti è concesso di sognare, a tutti è concesso di pronunciare quella frase: I have a dream e pensare che quel sogno, un giorno, possa avverarsi.
Le cose cambiano, e, per fortuna, anche in meglio at last!
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giovedì 15 gennaio 2009
Aneddoti dall'ItaliaFilmFest: Fellini
Intervallate alle cronache del festival, aneddoti, che escludo dai racconti, perché forse poco poetici o perché farebbero perdere di continuità alla storia, ma che comunque ritengo degni di essere citati, tanto degni da dedicargli uno spazio a parte.
E per iniziare ne citerò uno non mio, ma di Ettore Scola, che pur odiando gli aneddoti, per sua stessa ammissione, ha ritenuto tale aneddoto degno di essere citato e quindi, probabilmente, lo è.
Mentre girava "C'eravamo tanto amati", Scola chiese a Fellini di interpretare se stesso in un remake della famosa scena della Fontana di Trevi della Dolce Vita, e Fellini, che all'inizio era riluttante, si è poi convinto quando Scola gli ha promesso che non l'avrebbe inquadrato di spalle. Fellini, ha svelato, aveva un piccolo complesso relativo alla mancanza di capelli nella cosiddetta area del "calcio di rigore". E così Fellini ha accettato e Scola ha disatteso la sua promessa. Ma il punto non è questo, una sera, mentre Scola riprendeva di nascosto, quello che oggi si chiamerebbe un backstage, si compie lo scherzo al maestro. Scola manda un figurante, presentato dal direttore di produzione a Fellini come un colonnello che può essere molto utile per avere i permessi per girare e che vuole solo stringergli la mano e raccomanda a Fellini di essere molto gentile. Il finto colonnello gli si avvicina, lo guarda e dice: "E' un piacere stringere la mano al grande Rossellini!". E Fellini scoppia in una grande e grossa, ma soprattutto spontanea risata.
La sera si va a cena con lui e Mastroianni, Scola la ricorda come una delle più belle serate della sua vita.
E per iniziare ne citerò uno non mio, ma di Ettore Scola, che pur odiando gli aneddoti, per sua stessa ammissione, ha ritenuto tale aneddoto degno di essere citato e quindi, probabilmente, lo è.
Mentre girava "C'eravamo tanto amati", Scola chiese a Fellini di interpretare se stesso in un remake della famosa scena della Fontana di Trevi della Dolce Vita, e Fellini, che all'inizio era riluttante, si è poi convinto quando Scola gli ha promesso che non l'avrebbe inquadrato di spalle. Fellini, ha svelato, aveva un piccolo complesso relativo alla mancanza di capelli nella cosiddetta area del "calcio di rigore". E così Fellini ha accettato e Scola ha disatteso la sua promessa. Ma il punto non è questo, una sera, mentre Scola riprendeva di nascosto, quello che oggi si chiamerebbe un backstage, si compie lo scherzo al maestro. Scola manda un figurante, presentato dal direttore di produzione a Fellini come un colonnello che può essere molto utile per avere i permessi per girare e che vuole solo stringergli la mano e raccomanda a Fellini di essere molto gentile. Il finto colonnello gli si avvicina, lo guarda e dice: "E' un piacere stringere la mano al grande Rossellini!". E Fellini scoppia in una grande e grossa, ma soprattutto spontanea risata.
La sera si va a cena con lui e Mastroianni, Scola la ricorda come una delle più belle serate della sua vita.
Cronache dall'ItaliaFilmFest: La Terrazza di Ettore Scola
Ed ecco, come promesso, alcuni aggiornamenti.
Questa mattina mi sono davvero emozionata.
Ho provato l'emozione di assistere ad un film che è un'opera d'arte, e come opera d'arte è anche storia, ma anche rarità. Di buona lena mi sono svegliata, sfidando il mio bisogno cronico di dormire almeno otto ore, diretta ad un cinema in centro, la proiezione iniziava alle 9. Traffico, biglietto, bus, decine di persone che vanno al lavoro e una sottile contentezza perché io non stavo andando al lavoro, fuggivo clandestina, perché avevo una missione molto importante da compiere, come i miei eroi del cinema ;).
Sorriso stampato, bus, fermata, scendo, lungomare, cinema, entro, buio, titoli, inizio.
Prendo posto velocemente, non sono mai andata al cinema così presto, ho ancora sonno, mi stropiccio gli occhi, sbadiglio, è strano, di solito il cinema è riservato alla sera, o peggio, alla notte, quando una giornata è ormai andata, quando siamo anche troppo stanchi, eppure ci suscita emozioni.
Il cinema alle nove di mattina è...il tuo spirito e la tua anima che respirano.
La tua anima, sgombra di pensieri e sensazioni, è pronta ad assorbirne come una spugna, il tuo spirito, librato, è pronto a farsi ispirare. E il buio è strano... Il cinema alle nove di mattina è un'altra cosa.
Scorrono le immagini de "La Terrazza" di Ettore Scola, sullo schermo Mastroianni, Gassman, Tognazzi ed un cammeo di Ugo Gregoretti ed un altro della Sora Lella, tutti insieme, tutti a recitare un ruolo diverso dal solito, come Scola amava fare: far recitare Mastroianni non nel ruolo scontato del latin lover, ma nel ruolo del marito abbandonato, Gassman non nel ruolo dell'uomo padrone di sé, ma nel ruolo dell'insicuro e indeciso.
E così lui "legge" l'Italia di quegli anni, che in parte è anche l'Italia di adesso, certe cose, si sa, sono dure a cambiare.
Quando il film finisce, il direttore del Festival, Laudadio, invita Ettore Scola a salire sul palco, in parte aveva assistito alla proiezione, e io penso che sono una privilegiata, perché in quella sala buia ho appena visto un grande film, avendo la fortuna di condividere quel buio con il suo stesso regista!
E poi un'altra rivelazione, la copia de La Terrazza, appena proiettata, è una copia unica, ritrovata per caso, quando il film sembrava perso per sempre. E poi lui, Ettore Scola, sale sul palco e si vede che non gli piace parlare, è molto riservato, e lassù proprio non gli piace stare.
Però parla, dell'importanza dei macchinisti, dei costumisti, di coloro che il film lo fanno, realizzando materialmente l'idea che, solo un momento fa, era nella testa del regista e ora, grazie a loro, è sulla scena.
E poi dice che lui, in fondo, ha girato sempre lo stesso film, il messaggio era sempre quello, anche se colto in sfumature, epoche, età, luoghi e personaggi diversi.
E poi parla del cinema, che, come tutte le arti, ha una sua ciclicità, con picchi e pianure, dove i picchi sono il neo-realismo di Rossellini, De Sica, Pasolini.
Ma svela anche che De Sica usava recitare prima per gli attori tutte le parti dei suoi film, e così finiva che nei suoi film tutti recitassero come lui, anche Sofia Loren.
E se si dovesse rimproverare qualcosa? L'unica cosa che si rimprovera è il fatto di non essere stato un picco, di non aver raggiunto le vette, ma di essere stato una pianura, per quanto buona e fertile, ma sempre una pianura.
E' un attimo e sono le tredici, le cose belle finiscono sempre troppo presto.
In sala ci sono ancora Ugo Gregoretti, Michele Placido, e tanti altri che non conosco, ma sono lì, per sentire un maestro.
Esco dal cinema, lungomare, sole, sorriso stampato, traffico, bus, gente che torna dal lavoro, io no e sono felice.
Un pensiero mi attraversa la mente: e allora, se Ettore Scola si considera una pianura, magari anche ciascuno di noi, senza saperlo, perché come lui guarda in alto (e fa bene), nel suo piccolo ha già realizzato (o realizzerà) qualcosa di cui andar fiero, non una vetta, ma una buona e fertile pianura.
Questa mattina mi sono davvero emozionata.
Ho provato l'emozione di assistere ad un film che è un'opera d'arte, e come opera d'arte è anche storia, ma anche rarità. Di buona lena mi sono svegliata, sfidando il mio bisogno cronico di dormire almeno otto ore, diretta ad un cinema in centro, la proiezione iniziava alle 9. Traffico, biglietto, bus, decine di persone che vanno al lavoro e una sottile contentezza perché io non stavo andando al lavoro, fuggivo clandestina, perché avevo una missione molto importante da compiere, come i miei eroi del cinema ;).
Sorriso stampato, bus, fermata, scendo, lungomare, cinema, entro, buio, titoli, inizio.
Prendo posto velocemente, non sono mai andata al cinema così presto, ho ancora sonno, mi stropiccio gli occhi, sbadiglio, è strano, di solito il cinema è riservato alla sera, o peggio, alla notte, quando una giornata è ormai andata, quando siamo anche troppo stanchi, eppure ci suscita emozioni.
Il cinema alle nove di mattina è...il tuo spirito e la tua anima che respirano.
La tua anima, sgombra di pensieri e sensazioni, è pronta ad assorbirne come una spugna, il tuo spirito, librato, è pronto a farsi ispirare. E il buio è strano... Il cinema alle nove di mattina è un'altra cosa.
Scorrono le immagini de "La Terrazza" di Ettore Scola, sullo schermo Mastroianni, Gassman, Tognazzi ed un cammeo di Ugo Gregoretti ed un altro della Sora Lella, tutti insieme, tutti a recitare un ruolo diverso dal solito, come Scola amava fare: far recitare Mastroianni non nel ruolo scontato del latin lover, ma nel ruolo del marito abbandonato, Gassman non nel ruolo dell'uomo padrone di sé, ma nel ruolo dell'insicuro e indeciso.
E così lui "legge" l'Italia di quegli anni, che in parte è anche l'Italia di adesso, certe cose, si sa, sono dure a cambiare.
Quando il film finisce, il direttore del Festival, Laudadio, invita Ettore Scola a salire sul palco, in parte aveva assistito alla proiezione, e io penso che sono una privilegiata, perché in quella sala buia ho appena visto un grande film, avendo la fortuna di condividere quel buio con il suo stesso regista!
E poi un'altra rivelazione, la copia de La Terrazza, appena proiettata, è una copia unica, ritrovata per caso, quando il film sembrava perso per sempre. E poi lui, Ettore Scola, sale sul palco e si vede che non gli piace parlare, è molto riservato, e lassù proprio non gli piace stare.
Però parla, dell'importanza dei macchinisti, dei costumisti, di coloro che il film lo fanno, realizzando materialmente l'idea che, solo un momento fa, era nella testa del regista e ora, grazie a loro, è sulla scena.
E poi dice che lui, in fondo, ha girato sempre lo stesso film, il messaggio era sempre quello, anche se colto in sfumature, epoche, età, luoghi e personaggi diversi.
E poi parla del cinema, che, come tutte le arti, ha una sua ciclicità, con picchi e pianure, dove i picchi sono il neo-realismo di Rossellini, De Sica, Pasolini.
Ma svela anche che De Sica usava recitare prima per gli attori tutte le parti dei suoi film, e così finiva che nei suoi film tutti recitassero come lui, anche Sofia Loren.
E se si dovesse rimproverare qualcosa? L'unica cosa che si rimprovera è il fatto di non essere stato un picco, di non aver raggiunto le vette, ma di essere stato una pianura, per quanto buona e fertile, ma sempre una pianura.
E' un attimo e sono le tredici, le cose belle finiscono sempre troppo presto.
In sala ci sono ancora Ugo Gregoretti, Michele Placido, e tanti altri che non conosco, ma sono lì, per sentire un maestro.
Esco dal cinema, lungomare, sole, sorriso stampato, traffico, bus, gente che torna dal lavoro, io no e sono felice.
Un pensiero mi attraversa la mente: e allora, se Ettore Scola si considera una pianura, magari anche ciascuno di noi, senza saperlo, perché come lui guarda in alto (e fa bene), nel suo piccolo ha già realizzato (o realizzerà) qualcosa di cui andar fiero, non una vetta, ma una buona e fertile pianura.
martedì 13 gennaio 2009
Perché io so di non sapere
Questo Natale, per caso, mi è capitato tra le mani il libro di Marco Travaglio "Per chi suona la banana" ed è stata una vera e propria illuminazione!
Il libro, sostanzialmente, parla dell'ultimo anno del governo Prodi e dei primi 6 mesi del governo Berlusconi, raccontando la sostanziale incapacità della sinistra, non solo di governare, ma anche di fare opposizione.
La cosa che trovo sorprendentemente bella è che Travaglio, tacciato erroneamente di essere di sinistra (lui stesso, invece, si definisce liberale e non di sinistra!), dimostra che un piccolo spiraglio di libertà di informazione (ma veramente piccolo!) è rimasto: il libro, infatti, è una raccolta di articoli pubblicati sull'Unità, nell'ultimo anno e mezzo, che sono quasi più critici con la sinistra che con la destra!
La sua è una riflessione, totalmente apartitica, sulla realtà dei fatti, analizzata andando a spulciare i testi delle leggi e delle sentenze. E' curioso che il libro si riferisca a fatti che io ho sempre conosciuto "attraverso il filtro dei mezzi di (dis)informazione" mentre mi preparavo a partire per il Michigan, mentre ero là, e mentre ero troppo impegnata a essere triste, quando ero tornata.
Il libro mi ha subito incuriosita, forse proprio perché potevo, finalmente, capire quello che era successo mentre io ero dall'altra parte del mondo, potevo capire perché mi sono ritrovata a votare il giorno dopo essere tornata dal Michigan.
Ho iniziato a divorare il libro con avidità, come se fosse un romanzo giallo (e in parte lo è); durante le vacanze di Natale non riuscivo a smettere di leggere, e chiudevo il libro, forzatamente, solo alle 3 del mattino.
Ma cosa c'è di così speciale?
Non solo quello che vi è scritto, e che nessuno ci ha detto in questo anno e mezzo appena passato, come il vero volto delle leggi "ad personam" e le loro conseguenze su noi poveri cittadini ignari, ma anche "come" il tutto è scritto.
Il tutto, infatti, è condito da uno stile di scrittura pungente, ironico, leggero, colto, come quello di un romanzo, appunto.
Quando leggi sorridi anche, poi, quando chiudi il libro, se ripensi a quello che hai letto pensi che sia uno scherzo; poi, quando ti rendi conto che lo scherzo non è quello che è scritto (perché quello, purtroppo, è successo veramente), ma quello che ti hanno detto le TV e i giornali, inizi a pensare che c'è qualcosa che non va, che stanno distraendo la nostra attenzione dal vero punto focale. Usando una metafora di Travaglio stesso, se getti una rana nell'acqua bollente questa salterà subito fuori, per evitare la morte, se metti la rana in acqua tiepida e scaldi l'acqua gradualmente, la rana sarà cotta senza che lei se ne accorga. Allora, vogliamo essere rane o saltare fuori finché siamo ancora in tempo?
PS: Per chi volesse saperne di più, segnalo il blog di Marco Travaglio, più due appuntamenti pugliesi con lo scrittore previsti per il prossimo 16 Gennaio a Crispiano alle 18.00 e a Brindisi alle 21.00
Il libro, sostanzialmente, parla dell'ultimo anno del governo Prodi e dei primi 6 mesi del governo Berlusconi, raccontando la sostanziale incapacità della sinistra, non solo di governare, ma anche di fare opposizione.
La cosa che trovo sorprendentemente bella è che Travaglio, tacciato erroneamente di essere di sinistra (lui stesso, invece, si definisce liberale e non di sinistra!), dimostra che un piccolo spiraglio di libertà di informazione (ma veramente piccolo!) è rimasto: il libro, infatti, è una raccolta di articoli pubblicati sull'Unità, nell'ultimo anno e mezzo, che sono quasi più critici con la sinistra che con la destra!
La sua è una riflessione, totalmente apartitica, sulla realtà dei fatti, analizzata andando a spulciare i testi delle leggi e delle sentenze. E' curioso che il libro si riferisca a fatti che io ho sempre conosciuto "attraverso il filtro dei mezzi di (dis)informazione" mentre mi preparavo a partire per il Michigan, mentre ero là, e mentre ero troppo impegnata a essere triste, quando ero tornata.
Il libro mi ha subito incuriosita, forse proprio perché potevo, finalmente, capire quello che era successo mentre io ero dall'altra parte del mondo, potevo capire perché mi sono ritrovata a votare il giorno dopo essere tornata dal Michigan.
Ho iniziato a divorare il libro con avidità, come se fosse un romanzo giallo (e in parte lo è); durante le vacanze di Natale non riuscivo a smettere di leggere, e chiudevo il libro, forzatamente, solo alle 3 del mattino.
Ma cosa c'è di così speciale?
Non solo quello che vi è scritto, e che nessuno ci ha detto in questo anno e mezzo appena passato, come il vero volto delle leggi "ad personam" e le loro conseguenze su noi poveri cittadini ignari, ma anche "come" il tutto è scritto.
Il tutto, infatti, è condito da uno stile di scrittura pungente, ironico, leggero, colto, come quello di un romanzo, appunto.
Quando leggi sorridi anche, poi, quando chiudi il libro, se ripensi a quello che hai letto pensi che sia uno scherzo; poi, quando ti rendi conto che lo scherzo non è quello che è scritto (perché quello, purtroppo, è successo veramente), ma quello che ti hanno detto le TV e i giornali, inizi a pensare che c'è qualcosa che non va, che stanno distraendo la nostra attenzione dal vero punto focale. Usando una metafora di Travaglio stesso, se getti una rana nell'acqua bollente questa salterà subito fuori, per evitare la morte, se metti la rana in acqua tiepida e scaldi l'acqua gradualmente, la rana sarà cotta senza che lei se ne accorga. Allora, vogliamo essere rane o saltare fuori finché siamo ancora in tempo?
PS: Per chi volesse saperne di più, segnalo il blog di Marco Travaglio, più due appuntamenti pugliesi con lo scrittore previsti per il prossimo 16 Gennaio a Crispiano alle 18.00 e a Brindisi alle 21.00
lunedì 12 gennaio 2009
ItaliaFilmFest
Per chiunque di voi si trovasse a Bari (e dintorni) in questa settimana segnalo questa "promettente" manifestazione. Potetete guardare il programma (molto interessante) qui ItaliaFilmFest(12-17 Gennaio). Se riuscirò a svincolarmi dagli impegni lavorativi vi racconterò qualcosa, naturalmente anche voi siete invitati a commentare se doveste assistere a qualcuno degli eventi.
E naturalmente, se non siete a Bari, ma avete visto o sentito parlare di qualcuno dei film che proietteranno, potete sempre postare qualcosa, ogni consiglio è ben accetto!
E naturalmente, se non siete a Bari, ma avete visto o sentito parlare di qualcuno dei film che proietteranno, potete sempre postare qualcosa, ogni consiglio è ben accetto!
Arrivano i Mostri
Durante le vacanze di Natale, trovandomi in quella splendida cittadina che è Matera, sono andata a vedere "Arrivano i Mostri" un film di produzione "locale", cioè ambientato a Matera, con attori materani, più un factotum: Antonio Andrisani, scrittore e anche interprete di tutti gli episodi del film, perchè di film ad episodi si tratta. Sarei esagerata a definirlo un capolavoro, ma di certo è un film ben fatto e ti aiuta a passare una serata spensierata; non a caso è stato definito il "cine-panettone" materano, ma secondo me è una definizione che non rende giustizia al film, perché il film fa dell'ironia molto intelligente su delle degenerazioni della nostra vita quotidiana. Per esempio sull'uso spasmodico del cellulare, Internet e "se non sei su Google non sei nessuno", la "capacondominio" che prende questa sua funzione un po' troppo sul serio e ne fa una "ragione di vita", il manager delle brutte, che affitta ragazze racchie a quelle che lo sono un po' meno per far si che "risplendano" al confronto, le famiglie che partecipano al famoso gioco dei pacchi e poi ci rimettono qualcosa più di un pacco.
Ma non voglio raccontare oltre per non rovinarvi la sorpresa, nel caso aveste modo di vederlo, anche perché quasi tutti gli episodi si basano sulla sorpresa finale, che svela il senso della mini-storia e ti strappa una risata intelligente, ma anche una riflessione. Alla fine dello spettacolo sono anche andata a fare i complimenti ad Antonio Andrisani, che aveva assistito alla proiezione. Ho avuto un po' di difficoltà a riconoscerlo, visto che nel film esercita egregiamente l'abilità del trasformismo.
E' un bravo attore e un ottimo sceneggiatore e gli auguro di avere successo, perché sembra meritarlo. A voi, invece, auguro di andare a vedere il film, e, se non siete di Matera, di recuperarlo in DVD, ne vale la pena.
Se volete saperne di più potete chiedere al vostro amico Google, o, se siete troppo pigri, cliccare direttamente sui seguenti link:
Arrivano i mostri su Sassilive
Arrivano i mostri - Diario del film
Ma non voglio raccontare oltre per non rovinarvi la sorpresa, nel caso aveste modo di vederlo, anche perché quasi tutti gli episodi si basano sulla sorpresa finale, che svela il senso della mini-storia e ti strappa una risata intelligente, ma anche una riflessione. Alla fine dello spettacolo sono anche andata a fare i complimenti ad Antonio Andrisani, che aveva assistito alla proiezione. Ho avuto un po' di difficoltà a riconoscerlo, visto che nel film esercita egregiamente l'abilità del trasformismo.
E' un bravo attore e un ottimo sceneggiatore e gli auguro di avere successo, perché sembra meritarlo. A voi, invece, auguro di andare a vedere il film, e, se non siete di Matera, di recuperarlo in DVD, ne vale la pena.
Se volete saperne di più potete chiedere al vostro amico Google, o, se siete troppo pigri, cliccare direttamente sui seguenti link:
Arrivano i mostri su Sassilive
Arrivano i mostri - Diario del film
sabato 10 gennaio 2009
Cattivi propositi... >:-|
Mi perdonerete, spero, se dopo due post pieni zeppi di buoni propositi ne arriva uno che potrebbe nasconderne di cattivi! ;) Da qualche mese ho cambiato casa e le mie compagne di casa italiane non sono, purtroppo o per fortuna, fonte di ispirazione come lo erano i miei flatmate americani.
Tuttavia, in questa nuova casa, è subito emerso un "tricky problem": i piccioni. Cercherò di essere politically correct per non scatenare le proteste degli animalisti che seguono il mio blog, ma che siano "un po' fastidiosi" non si può negarlo.
Il problema non sono loro in quanto tali, ma gli escrementi che lasciano come ricordo sul mio balcone.
Il mio non è solo un problema di natura estetica, ma anche di natura "sanitaria", ho scoperto, infatti, che i piccioni sono portatori di circa 60 malattie diverse e alcune di queste addirittura mortali per l'uomo!
Ora la fonte di questa mia news non è proprio autorevolissima, un altro blog online, quindi non ci metterei la mano sul fuoco, ma, nel dubbio, mi ha convinto ad affrontare il problema.
Il problema si è da subito rivelato di non facile soluzione, all'inizio, infatti, mi sono limitata a tempestare il mio balcone di striscette nere e della solita girandola colorata, ma il giorno stesso ho potuto constatare che i piccioni continuavano a svolazzare indisturbati sul mio balcone.
Allora, ho provato con la naftalina (l'odore dovrebbe allontanarli), risultato: loro si posavano proprio vicino alla vaschetta piena di palline di naftalina, quasi a volermi comunicare che questi "trucchetti" con loro non funzionano.
Ho provato a cacciarli sventolando le braccia appena si posavano sul mio balcone, niente, rimanevano lì.
Allora ho provato a fare finta di lanciare le palline...niente.
Alla fine (perdonatemi!!!) una gliel'ho lanciata davvero e solo allora sono scappati!
Tutti questi rimedi sono più o meno soluzioni improvvisate, ma se provate a farvi un giro su internet scoprirete che la gente ha inventato di tutto pur di liberarsene, dai falchi finti con ali sventolanti, agli altoparlanti che trasmettono i versi del falco (a quanto pare l'unico animale che temono, più dell'uomo!).
Ci sono frotte di persone con lo stesso enorme problema, i piccioni appunto, e come gli alcolisti anonimi o i frequentatori del circolo tennis (gli esempi sono puramente casuali, non me ne vogliano gli alcolisti per averli paragonati agli altri) si danno appuntamento su internet, scambiandosi consigli, strategie, esperienze riuscite ed esperienze con esito infausto, e si consolano e si fanno forza, incredibile...ho scoperto un mondo: i vessati dai piccioni!
Non esiste una soluzione universale, e ognuno ha la sua teoria e la sua pratica.
Io spero solo che non diventino come i gabbiani che ho visto durante il mio ultimo viaggio in Australia, a Sydney, veri assalitori di ignari turisti che "osavano" desiderare di mangiare in tranquillità un burger&chips sul lungooceano (credo non si possa parlare in questo caso di lungomare!:): ti volavano sul tavolo depredandoti del cibo!
Ed in un momento è morto in me il mito del "gabbiano Jonathan Livingston", ucciso da un gabbiano che mangiava burger&chips...
Tuttavia, in questa nuova casa, è subito emerso un "tricky problem": i piccioni. Cercherò di essere politically correct per non scatenare le proteste degli animalisti che seguono il mio blog, ma che siano "un po' fastidiosi" non si può negarlo.
Il problema non sono loro in quanto tali, ma gli escrementi che lasciano come ricordo sul mio balcone.
Il mio non è solo un problema di natura estetica, ma anche di natura "sanitaria", ho scoperto, infatti, che i piccioni sono portatori di circa 60 malattie diverse e alcune di queste addirittura mortali per l'uomo!
Ora la fonte di questa mia news non è proprio autorevolissima, un altro blog online, quindi non ci metterei la mano sul fuoco, ma, nel dubbio, mi ha convinto ad affrontare il problema.
Il problema si è da subito rivelato di non facile soluzione, all'inizio, infatti, mi sono limitata a tempestare il mio balcone di striscette nere e della solita girandola colorata, ma il giorno stesso ho potuto constatare che i piccioni continuavano a svolazzare indisturbati sul mio balcone.
Allora, ho provato con la naftalina (l'odore dovrebbe allontanarli), risultato: loro si posavano proprio vicino alla vaschetta piena di palline di naftalina, quasi a volermi comunicare che questi "trucchetti" con loro non funzionano.
Ho provato a cacciarli sventolando le braccia appena si posavano sul mio balcone, niente, rimanevano lì.
Allora ho provato a fare finta di lanciare le palline...niente.
Alla fine (perdonatemi!!!) una gliel'ho lanciata davvero e solo allora sono scappati!
Tutti questi rimedi sono più o meno soluzioni improvvisate, ma se provate a farvi un giro su internet scoprirete che la gente ha inventato di tutto pur di liberarsene, dai falchi finti con ali sventolanti, agli altoparlanti che trasmettono i versi del falco (a quanto pare l'unico animale che temono, più dell'uomo!).
Ci sono frotte di persone con lo stesso enorme problema, i piccioni appunto, e come gli alcolisti anonimi o i frequentatori del circolo tennis (gli esempi sono puramente casuali, non me ne vogliano gli alcolisti per averli paragonati agli altri) si danno appuntamento su internet, scambiandosi consigli, strategie, esperienze riuscite ed esperienze con esito infausto, e si consolano e si fanno forza, incredibile...ho scoperto un mondo: i vessati dai piccioni!
Non esiste una soluzione universale, e ognuno ha la sua teoria e la sua pratica.
Io spero solo che non diventino come i gabbiani che ho visto durante il mio ultimo viaggio in Australia, a Sydney, veri assalitori di ignari turisti che "osavano" desiderare di mangiare in tranquillità un burger&chips sul lungooceano (credo non si possa parlare in questo caso di lungomare!:): ti volavano sul tavolo depredandoti del cibo!
Ed in un momento è morto in me il mito del "gabbiano Jonathan Livingston", ucciso da un gabbiano che mangiava burger&chips...
domenica 4 gennaio 2009
Dalle parole ai fatti!
No, state tranquilli, non voglio fondare un nuovo partito, nè scendere in campo, è solo che voglio mettere su carta, o in questo caso sarebbe meglio dire nero su bianco, i miei buoni propositi per l'anno 2009.
Ecco qui un'elenco delle cose più importanti, o meglio, delle prime cose che mi sono venute in mente:
1-aggiornare più di frequente il blog (cercando di capire perchè tanti lo leggono, ma pochi postano commenti :)
2- Imparare lo spagnolo...o perlomeno cominciare ad impararlo (quando sono andata in messico mi sembrava facile, mi sembrava di aver già imparato qualcosa)
3- Leggere più libri (non sono mai abbastanza)
4- Giocare a calcio con assiduità (non sono ammesse le scuse tipo: stasera sono stanca, non mi va, fa freddo e piove pure) allo scopo di poter partecipare, alla mia veneranda età, finalmente ad un torneo ufficiale, per la serie non è mai troppo tardi.
5- Capire cosa voglio fare da grande (L'impresa più ardua)
Ecco qui un'elenco delle cose più importanti, o meglio, delle prime cose che mi sono venute in mente:
1-aggiornare più di frequente il blog (cercando di capire perchè tanti lo leggono, ma pochi postano commenti :)
2- Imparare lo spagnolo...o perlomeno cominciare ad impararlo (quando sono andata in messico mi sembrava facile, mi sembrava di aver già imparato qualcosa)
3- Leggere più libri (non sono mai abbastanza)
4- Giocare a calcio con assiduità (non sono ammesse le scuse tipo: stasera sono stanca, non mi va, fa freddo e piove pure) allo scopo di poter partecipare, alla mia veneranda età, finalmente ad un torneo ufficiale, per la serie non è mai troppo tardi.
5- Capire cosa voglio fare da grande (L'impresa più ardua)
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