mercoledì 22 aprile 2009

L'ultimo baluardo: il portiere

Quando dico che gioco a calcio la gente resta sempre un po' interdetta, uno, perchè non è che sia uno sport prettamente femminile e, due, perchè non è che io incarni lo stereotipo della calciatrice: non ho i polpacci grandi e nemmeno i capelli corti. Nella mia squadra siamo tutte molto femminili, non si direbbe che siamo aspiranti calciatrici, almeno secondo lo stereotipo comune. Quando mi chiedono perchè abbia scelto di giocare a calcio rispondo, subito, d'istinto: perchè è uno sport di squadra e perchè si può praticare all'aria aperta. Non è che sia, infatti, un grande talento, ma giocare mi è sempre piaciuto, e non riesco a fare nessun altro sport, se non quello. In primis perchè mi piace l'idea del gruppo che fatica e si diverte con un obiettivo comune.
Non troverei possibile, altrimenti, correre, saltare, sudare, se non per uno scopo: giocare meglio in partita, essere più agile e più veloce. Odio la palestra, perchè non trovo lo scopo.
E così, l'altra sera siamo andate a giocare fuori casa, per me era l'ultima volta, almeno per questa stagione, speravo di segnare almeno un gol, visto che mi fregio, immeritatamente, del titolo di centravanti, anche se sono molto più brava nell'ultimo passaggio smarcante, un po' come Cassano con Pazzini, giusto per esagerare ancora un po' con i paragoni. :)
L'altra sera ci mancava il portiere, anzi tutti e due, e allora il nostro mister ha chiesto un volontario. Io non ho esitato a propormi, ho giocato anche in porta, di tanto in tanto, per gioco appunto, niente di serio. Lui mi ha chiesto se me la sentivo di “sacrificarmi”, ma per me non era davvero un sacrificio, anzi, mi sentivo di poter essere utile in quel momento per la squadra, e non mi importava se non era il mio ruolo, non mi interessa brillare, mi interessa che la mia squadra vinca, o almeno, se perde, che lo faccia combattendo sino all'ultimo minuto. ;)
Quando ho indossato la divisa del portiere e i guanti, per la mia prima volta, ho iniziato a pensare che forse ero stata troppo affrettata nel propormi...
La partita è iniziata e dopo neanche 5 minuti mi sono ritrovata con l'attaccante avversaria che si involava da sola verso la porta. In quel momento non potevo guardare intorno a me, ma ho sentito, chiaramente, tutti gli sguardi su di me, sentivo che le mie compagne, in campo e in panchina, il mister, tutti speravano, ma nel contempo sapevano già che sarebbe stato goal. Sono uscita, come si fa, per “chiudere lo specchio” della porta, lei ha tirato, io ho deviato con la punta del piede cadendo in scivolata, e cadendo mi sono girata verso la porta guardando il pallone toccare il palo e poi scivolare fuori!
E in quel momento ho sentito le grida di gioia dalla panchina e rosy, il mio difensore, che veniva ad abbracciarmi. Ma in quel momento ho anche realizzato l'incredibile responsabilità del ruolo, che sei davvero “l'ultimo uomo” e se sbagli non è come sbagliare un passaggio o anche un goal, è molto peggio.
Più volte mi sono trovata faccia a faccia, da sola con l'avversario, ho fatto quello che potevo, a volte ho parato a volte no. Ho fatto del mio meglio, sentendo il peso della partita sulle mie spalle, per tutta la partita, e quando l'arbitro ha fischiato la fine mi sono gettata a terra e ho chiuso gli occhi e pensato: “meno male che è finita, non ce la facevo più!” Poi, dopo, sono andata ad abbracciare le mie compagne, tutte mi facevano i compimenti e dicevano “abbiamo trovato un portiere!”. Anche il mister, serio, mi ha fatto i complimenti, e non me li aveva mai fatti. Che abbia scoperto una nuova vocazione? Non lo so, so solo che ero felice, felice perchè, al di là del risultato, avevo dato un contributo alla squadra, mi ero spesa per loro, insieme avevamo giocato...a calcio, e tanto mi basta.

2 commenti:

Angelo Frascella ha detto...

Mi è capitato di assistere (e raramente di giocare) a partite di calcetto fra amici.

In quell'occasione ci sono sempre alcuni giocatori che prendono la partita come se fosse l'evento più importante della loro vita e, anziché divertirsi, si accaniscono contro tutti gli errori (o presunti tali) dei propri compagni.

Da come descrivi tu, invece, mi sembra che voi donne riusciate a giocare in modo gioioso (come dovrebbe essere)... o sbaglio?

ciao ;)
Angelo

Unknown ha detto...

diciamo che dipende...di solito l'intensità è inversamente proporzionale a quanto 6 (o credi di essere) il più bravo. Io non ne farei una questione generale, di squadra, ma del singolo.
Non tutti hanno lo spirito di squadra e capiscono che mai (e poi mai) vanno insultati i propri compagni.
E' vero, si gioca per vincere (sempre), ma l'importante è partecipare, giocare, altrimenti non è divertente, e nemmeno poetico (che per me è molto importante :)

btw: buon compleanno, anche se con ritardo!