Questa storia potrebbe iniziare come il film che ho deciso di vedere stasera, mentre mangerò, finalmente in pace con me stessa, il mio filetto di salmone con gli asparagi e un filo di glassa di aceto balsamico: “Quando ero bambino non facevo altro che pensare a come sarei stato da grande, a cosa sarei riuscito a fare nella vita a che tipo di persona sarei diventato e tra i mille sogni ad occhi aperti che facevo alla fine sceglievo sempre lo stesso: ci sono io, beato, che dormo nel grande letto della mia casa, poi leggera e bellissima la mia canzone preferita…” E’ l’inizio di Generazione Mille Euro, uno dei tanti film sulla “nostra condizione”, ma quale condizione poi? In questo periodo ho avuto modo di rifletterci molto, passando dalla depressione più completa alla gioia più grande e poi giù di nuovo e infine su, come su un’infinita montagna russa.
All’inizio la forzata presa di coscienza che così non si può andare avanti, eh si, è sempre stato un mio sogno essere una ricercatrice, lavorare all’università, insegnare, ma fino a quando e fino a quali condizioni un sogno rimane tale? Fino a quando un sogno resta tale se ti spinge a rinnegare te stessa, le persone che ti sono intorno, la vita, quando un sogno che ti toglie la libertà diventa un incubo? Non voglio parlare male dell’università, ci sono tante realtà che sono splendide e tante persone che lavorano nell’ombra, sottopagate e con pochi mezzi, e a loro va tutta la mia ammirazione, io sono una di quelle, anche se ancora per poco.
Però, mi chiedo se in nome di un sogno sia giusto sacrificare la propria libertà, e non parlo solo del fatto che spesso l’università sia assorbente e ti spinga a dimenticarsi del resto del mondo o del fatto che la ricerca di fondi spesso è disperata, perché ci sono poche risorse e molte persone meritevoli (leggete questo illuminante blog post: “Goodbye Academia, I get a life” a cui mi sono liberamente ispirata per il titolo di questo post). Parlo del fatto che in Italia stare all’università significhi sottostare in tutto e per tutto al volere di un professore, che quando va bene si fa carico del tuo futuro, ma che lo fa nei modi che lui ritiene più giusti e opportuni. Parlo del fatto che nell’università non esiste il merito, che per quanto sei brava e ti possa impegnare non puoi da sola cambiare le cose e che se i soldi non ci sono, non ci sono e basta, puoi anche essere Einstein, questo non cambierà le cose. Parlo della tanta fretta che si aveva di approvare la riforma Gelmini, perché necessaria all’università e dell’enorme ritardo che invece stiamo sperimentando aspettando ormai da 6 mesi i cosiddetti decreti attuativi che dovrebbero dire come istanziare la riforma. Ma se era così importante riformare l’università perché allora non si emanano questi famosi decreti attuativi? Perché forse l’unica cosa importante da fare era tagliare, per la riforma vera si può aspettare invece. E così accade che un sacco di persone, come la sottoscritta, siano senza stipendio da mesi e nonostante ciò vadano comunque a lavorare ogni mattina. Ma fino a quando? Io non posso dire al mio padrone di casa che non posso pagargli l’affitto fino a quando la Gelmini non farà i decreti attuativi, né posso dirlo al supermercato quando vado a fare la spesa. Ho 31 anni, sono sposata da poco, ma l’idea di poter aver una famiglia non può rientrare nei miei piani adesso, così come quella di comprare una casa. Faccio lezione all’università e il mio corso sarà pagato la bellezza di 900euro alla fine dell’anno, meno di quanto è pagato per un mese un insegnante di palestra (con tutto il rispetto per gli insegnanti di palestra). E poi, anche quando lo stipendio ce l’hai, ti arriva con due mesi di ritardo e in tutto ciò la tua vita è in stand-by.
Quindi l’università è bloccata? Be’ non proprio, i problemi in realtà sono solo per i poveri cristi, come me, per i figli di chi conta si trova sempre una via di uscita, a tal proposito basta vedere la puntata “illuminante” di Report.
La cosa davvero brutta però è che in tutta questa storia alla fine ti fanno sentire incapace, e tu inizi a crederci veramente, inizi a credere veramente che dipenda da te, che se non ce la fai è perché non sei abbastanza bravo e i sensi di colpa per aver deluso te, i tuoi genitori e tutte le aspettative su di te ti assalgono e diventano una prigione. Questo dice il protagonista di un altro film illuminante “C'è chi dice no!”, dove la nostra situazione è spiegata benissimo.
E bene, a un certo punto ti accorgi che il sogno non è più un sogno, perché ti sta distruggendo, perché ti sta succhiando l’anima, facendoti diventare una persona rancorosa, frustata e sempre triste, ti sta spegnendo il sorriso.
E allora basta, allora basta, è ora di cambiare direzione, diventare l’ennesimo cervello in fuga. Ci ho provato, ma un sogno non è più un sogno quando chiede di abdicare alla tua libertà, e io questo non posso farlo: “Goodbye academia, I get a life”
martedì 17 maggio 2011
Goodbye academia, I get a life
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4 commenti:
Fai bene a tagliare con cio' che spegne il tuo sorriso! Auguri!
Cara,
hai preso una decisione quindi... in bocca al lupo e mi raccomando, quando incontrerai altri ostacoli non avere rimpianti !!! Tutte le ragioni che hai descritto nel post sono assolutamente sacrosante, la vita non ha senso senza il sorriso...
...
Non so che dire.
Il pensiero di mandare tutto a quel paese è passato per la mia testa tante volte, ma ho sempre riviato sperando che le cose si mettessero a posto.
Ora per me e qualche altro collega sembra esserci una luce all'orizzonte, ma in generale vedo che le cose per i ricercatori vanno a rotoli.
E allora in bocca al lupo e un abbraccio
hai ragione, amica mia...sei una persona brillante ed è giusto che continui a brillare!!! In bocca al lupo..tutto ciò che ti fa sentire bene con te stessa farà bene alla tua vita!
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