Pensavo a quanto poetica sia la canzone “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore...” e quanto è poetico il calcio. Si, poesia. Come quando si sale tutte sul pullmino, che ci porterà lontano come stasera, kilometri su kilometri per vivere, ancora insieme, un'altra avventura. Le file degli alberi di ulivo scorrono veloci, noi pure, e io che penso “Sono felice, sto vivendo un sogno”.
E poi arriviamo e si indossa con orgoglio la divisa, il tuo numero, il numero 13. E mi vesto con lentezza, dando importanza ad ogni gesto, come si conviene ai gesti rituali, per assaporarli e viverne fino in fondo l'importanza. E così entriamo in campo, uno sguardo alle avversarie, cercando di scrutarle per capire, immaginare come andrà. E poi tutte schierate, il rituale della monetina, il saluto, mani che scorrono, il fischio di inizio.
Non avrei mai creduto che finalmente, quando pensavo che ormai fosse troppo tardi, questo mio sogno di bambina si sarebbe finalmente avverato, quando ormai non ci credevo più, quando ormai ogni speranza sembrava persa...ma la speranza non è mai persa. E così sono lì anche io a giocare, finalmente un torneo ufficiale, e si fa fatica a pensare che non sia tutto un sogno, che sia realtà, tanto mi sembra un dono inaspettato.
Passano i minuti, una distrazione e loro passano in vantaggio. Ma il terreno è umido, la palla è scivolosa, proviamo, palo, proviamo ancora e ancora. E poi, finalmente, la fortuna è dalla nostra parte e una deviazione ci aiuta, pareggiamo. Fatica, si fa fatica, ma si lotta, sempre sul filo. Poi una mischia in aria, la palla arriva sul piede giusto, tiro da fuori aria, goal!
Insperato, bellissimo! Lottiamo ancora per difendere il vantaggio, manca un minuto. C'è tensione, c'è nervosismo, ma bisognerebbe stare calmi, si bisognerebbe. La palla è fuori, è nostra, ma l'arbitro sbaglia, sbaglia e assegna la rimessa contro, siamo scoperte, contropiede, tiro, goal. No, chiudo gli occhi, poi li riapro e guardo il mister, sperando ci sia ancora una possibilità, ma lui sembra (o cerca di essere) impassibile.
L'arbitro fischia la fine.
E io che già mi immaginavo e pregustavo gli abbracci, i salti, la gioia, le canzoni nel viaggio di ritorno.
Non sarà per questa volta; la prossima volta, saremo più furbe; più scaltre; più ciniche; avremo imparato la lezione, si, forse. O forse commetteremo gli stessi errori, chissà.
In fondo abbiamo pareggiato, ma è un pareggio che per noi ha il sapore della sconfitta e per le altre della vittoria. Due facce, una stessa medaglia.
E nel viaggio di ritorno siamo un po' silenziose e il mister vorrebbe che parlassimo, che commentassimo, ma il silenzio prevale, mentre gli ulivi scorrono sempre veloci. E allora parla lui: ci dice che siamo un bel gruppo, che è orgoglioso di noi, che abbiamo giocato bene ed è onorato di allenarci. E questa forse è la vittoria più bella. E piano piano la tristezza se ne va, o resta solo un sottofondo, come la canzone dei Negramaro che ora cantiamo tutte insieme: “Meraviglioso, ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso...”.
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2 commenti:
La poesia rimane nel calcio fino a quando il calcio non smette di essere uno sport (come al livello a cui lo pratichi tu) e diventa il mezzo con cui si controllano le menti dei cittadini perché non pensino ai problemi veri...
meglio che la gente protesti, blocchi il ponte, urli, perché va a fondo la squadra del Taranto, piuttosto perché va a fondo la città...
Hai perfettamente ragione, a volte può accecare. Ma sai una cosa? Io il calcio ho quasi smesso completamente di guardarlo da quando lo pratico più attivamente. Calcio "guardato" e "giocato" sono due cose diverse e il nostro dovresti vederlo, è così bello, sano, pulito e ingenuo, come solo le cose *nascoste* possono esserlo...
Grazie per il tuo commento e per la tua presenza sul blog! :)
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