venerdì 10 agosto 2012

La vita che vogliamo

Torno a scrivere dopo un po' di tempo per parlare di Alex Schwazer, ma non voglio unirmi alla massa di ipocriti ben pensanti che sono pronti subito a lanciare pietre, come se loro non fossero interessati dal peccato. Non voglio unirmi alla folla di persone cui non è parso vero, per una volta, avere un bersaglio facile, una persona che si prende tutte le colpe, che dice "ho sbagliato e non è colpa di nessun altro se non mia". Qualcuno che si dimette, qualcuno che non dice "non è colpa mia, l’Epo me l’hanno iniettata nel sonno a mia insaputa" così come i mutui e le vacanze che vengono pagate di nascosto. No, io non voglio parlare di questo, né della serietà di chi ammette di aver sbagliato e chiede scusa e vuole pure pagare, di questo non parlo, anche se personalmente una persona così ha tutta la mia solidarietà, perché di sbagliare capita a tutti, di ammettere le proprie colpe, chiedere scusa e pagare, a pochi, proprio a pochi. Ho avuto la pazienza di ascoltare tutta l'intervista di Schwazer e dopo i primi 30 minuti, tralasciando la parte drammatica e quella delle insinuazioni, c’è una parte che mi ha colpita e che nessuna TV ha mandato in onda. Quando viene chiesto a Alex il perché di questo suicidio sportivo, se non era meglio semplicemente ritirarsi. E lui risponde che ritirarsi era praticamente impossibile, che le pressioni erano troppe e che lui voleva solo una vita normale. A lui la marcia non piaceva, gli dava la nausea e per 8 lunghi anni lui ha praticato uno sport non perché questo sport fosse una passione, ma per senso del dovere e di responsabilità, per non deludere le aspettative che gli altri avevano nei suoi confronti. Ho pensato a come può essere possibile svegliarsi ogni mattina e allenarsi per 6 ore in uno sport che non è la tua passione e farlo ogni giorno per 7 giorni alla settimana e arrivare anche a vincere l’olimpiade. Poi ho pensato che è quello che la stragrande maggioranza di noi fa ogni giorno, quando si alza al mattino e va in ufficio a lavorare, a fare un lavoro che non gli piace, per 8 ore al giorno, per 5 giorni a settimana, per anni, come per 8 anni Alex si è allenato per marciare, anche se la cosa lo disgustava. Ho pensato a quanti di noi lo fanno e a questo dovremmo pensare prima di porre la domanda: "Ma non era più semplice ritirarsi?". A volte la vita sembra così complicata, i genitori, i fidanzati, siamo schiacciati da pressioni che ci sembrano insormontabili e che ci portano a fare cose che non vogliamo e non amiamo per anni, fino a quando un giorno decidiamo di fare qualcosa che ci annienti definitivamente, per poter toccare il fondo e ripartire, da lì, dal punto più basso, per avere non una vita normale, ma semplicemente la vita che vogliamo.

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