sabato 11 febbraio 2012

La parola agli altri...per una volta

Relativamente al mio ultimo post volevo segnalarvi alcuni post di autori vari, tutti, in qualche modo, correlati con l’argomento università, sogni e caduta degli stessi. Perché di gente che parla del sogno impossibile (che a volte si trasforma in un incubo) di stare all’università, ne è pieno il mondo. A partire da una fonte autorevole come l’Economist il cui post "Why doing a PhD is often a waste of time" spiega come spesso gli studenti di dottorato siano “usati” dall’università come manodopera a buon mercato sfruttando il sogno che questi coltivano di diventare un giorno professori. Il post si conclude con una frase molto dura, che però ho sperimentato sulla mia pelle essere vera: "pochi saranno in grado di accettare che nemmeno l’impegno costante e l’essere geniali potranno essere sufficienti per farcela, e che, alla fine avrebbero fatto meglio a fare qualcos’altro nella vita" (mia libera traduzione dal sito). Un altro post molto critico sul sistema universitario che sfrutta i sogni di questi ragazzi che intraprendono la strada del dottorato sperando un giorno di divenire professori universitari è quello di Larry Cebula che in una lettera aperta ai suoi studenti molto esplicitamente dichiara "No, tu non puoi essere un professore". Nel post l’autore chiede a chi è dall’altra parte della cattedra di essere onesto, di non alimentare le illusioni e di dire francamente a questi ragazzi che, sic stantibus rebus, è più facile vincere alla lotteria che diventare professori. Così scrive (anche in questo caso la mia è una libera traduzione dal sito): "No, non diventerai un professore famoso, questo non accadrà. Prima accetti questa cosa e meglio sarà per te. Questo non perché tu non sia abbastanza intelligente. Tu sei abbondantemente intelligente. In ogni caso, portare a termine un dottorato è più una questione di perseveranza che di intelligenza. La ragione per la quale non diventerai un professore è che semplicemente questo lavoro sta sparendo, e nonostante questo i programmi di dottorato continuano a sfornare il più elevato numero di Ph.D. di sempre." Infine, come non citare "Goodbye Academia I get a life" che è stato probabilmente uno dei primi post che ho scoperto sull’argomento e che mi ha molto affascinato per come la situazione del protagonista rispecchiava la mia, tanto da ispirare il titolo di un mio post . L’autore (tra l’altro italiano) racconta come uno dei suoi primi ricordi d’infanzia risalga ai suoi cinque anni quando dichiarava fiero a sua madre che sarebbe diventato uno scienziato. Nel post spiega la differenza tra i sogni e la realtà, tra l’amare la scienza e il praticarla, cosa, quest’ultima, che svela spesso un mondo poco ortodosso, in cui si è disposti a tutto pur di farsi spazio, ma essere scienziati non dovrebbe poi essere un "mestiere nobile"? Intrappolato nel sogno, quando si è accorto di aver perso la sua vita, almeno due relazioni sentimentali importanti e aver, in cambio, guadagnato una gastrite permanente e sei mesi di cura con antidepressivi, ha deciso di lasciare tutto. E in quel momento si è ricordato che l’università non era tutto nella sua vita, che prima che la sua vita fosse permeata dalla ricerca al 100% lui aveva numerosi altri interessi, cose che amava e che avrebbe voluto iniziare a fare di nuovo. E così termina: "Lasciare l’università per reclamare la propria vita non è un fallimento, è svegliarsi e vincere."

3 commenti:

Markus Stocker ha detto...

Non e' che non vedo questo punto di vista, pero' faccio fatica a capire come, in fondo, l'industria dovrebbe essere cosi' diversa, quasi una liberazione, e non "usare" dipendenti come manodopera, alcuni pagati male altri meglio.

Forse la differenza piu' importante e' che il PhD e' spesso motivato da un sogno, mentre il dipendente nell'industria lavora e sogna altro?

Certo, sara' anche vero che un PhD e' spesso una perdita di tempo, ma se come dipendente nell'industria un sogno neanche lo semini, figurati coltivarlo, mi domando quale tempo si perde.

Forse il tempo libero, ma ti diro' che a mio avviso e' proprio da quando sono tornato all'universita', come studente PhD, che il mio tempo e' piu' libero.

Credo di vedere l'argomento che la maggior parte dei PhD che sognano di diventare professori, e dubito faccia caso per tutti, saranno traditi, ma non vedo come l'alternativa dovrebbe essere questa grande liberazione che a mio avviso traspira da questi post.

"I get a life". Si, una vita l'hai ricevuta, anni fa. Da quel momento te la crei -- da professore, PhD, dipendente, indipendente, genitore, sposata o meno.

My two cents.

Unknown ha detto...

Ciao Markus,
innanzitutto bentornato e grazie per il commento che mi permette di chiarire alcune cose. Il punto è diverso, non dico che nell'industria la vita sia migliore, dico solo che c'è meno ipocrisia e più diritti.
Quando lavoravo all'università la mia vita coincideva con il mio lavoro, il che, ho scoperto con gli anni, non è una cosa sana. Quando facevo il PhD lavoravo 7 giorni su 7, non esistevano ferie o vacanze e non perchè lo volessi io, ma perchè era normale che fosse così, perchè questo ci si aspettava da me e con il tempo mi ero anche convinta che fosse giusto. Adesso che lavoro in un'azienda, lavoro 8 ore al giorno, quando torno a casa "stacco la spina" e posso fare tante altre cose, che esulano dal mio lavoro. Nessuno si sogna di chiedermi di lavorare di domenica o di rinunciare alle mie vacanze e se devo lavorare di sabato mi viene pagato uno straordinario.
I salari di chi lavora in azienda sono normalmente più alti che le borse di studio di dottorato (che peraltro non contemplano nessun tipo di assistenza se sei malato, se hai un figlio, ecc.) Le aziende non sono un posto migliore, concordo con te, ma almeno alle 18 hai chiuso e puoi fare altro. E cmq se lasci l'università non devi per forza finire con il lavorare in azienda (anche se è quello che io faccio al momento) non vederla come un out-out, hai la possibilità di fare tante altre cose, come metterti in proprio, o diventare operatrice shiatsu, per esempio :-)
E poi, a me una cosa che non piaceva dell'università, e che forse è stato il motivo principale che mi ha spinto a lasciare, è il fatto che in realtà tu il tuo sogno non hai possibilità di coltivarlo veramente (almeno valeva per me, forse tu 6 stato più fortunato), nel senso che quando facevo il PhD e poi anche il post-doc non ero libera di fare ricerca come davvero volevo e su quello che volevo, ma dovevo sottostare a quello che dall'alto mi dicevano di fare. A questo proposito prova a leggere il post "Goodbye academia, I get a life", l'autore è deluso proprio perchè non riesce "a fare lo scienziato" così come aveva sognato da piccolo. Purtroppo, il sistema universitario, e dei finanziamenti alla ricerca, va rivisto, ci sono tante cose che non vanno. Con questo io non volevo in alcun modo esaltare l'azienda (quando parli male di una cosa non stai automaticamente implicando che tutto il resto del mondo va a meraviglia :-) Quello di cui ho parlato, purtroppo è una realtà, ecco perchè ho citato anche tutti quei post. Magari altri sono stati più fortunati di noi, però non a caso esiste PhD Comics, dove spesso di comico non c'è nulla... Grazie mille ancora per il commento, è sempre un piacere "dibattere" con te! Sono contenta che mi segui sempre!!

Markus Stocker ha detto...

Sara' che io lavoravo di domenica anche per aziende :)

Gente che stanno attorno a me:

1/ 5-6 settimane di vacanze, e non pensarci a rubare un giorno (di solito a fine giugno - meta' agosto, quando il mondo [academico] finlandese fa un bel global shutdown).

2/ A partire dalle 4 PM io di regola sono uno degli ultimi in ufficio (bisogna andare a prendere i bimbi dall'asilo).

Pero' si, per me sono 7 giorni su 7, e quasi 700 ore di overtime, dato che devo ancora fare vacanze serie. E' una scelta, e non mi lamento, potrei fare 1/ e 2/.

Questo e' per dire l'ovvio che anche il mondo del PhD e' vario, ma puo' darsi che i paesi nordici sono un po' eccezionali, e PhD comics la realta' della parte maggiore (Certo, poi la paghi con scarse pubblicazioni e ranking da schifo: e mi chiederai che cavolo ci faccio qui :))