martedì 31 gennaio 2012
Prigionieri di un sogno
Oggi ho vissuto un’esperienza che voglio raccontare in quanto mi ha aperto gli occhi sulla natura della mente umana e sulla sua capacità di intrappolarci in ciò che ci convinciamo essere dei sogni e che, invece, sono molto più simili a incubi.
Oggi sono andata a fare forse l’ultimo concorso della storia che assegnava un posto come “ricercatore a tempo indeterminato”, una chimera ormai, una cosa che ai nostri figli sarà raccontata come una di quelle cose belle dei tempi andati, tanto ambite e che, poi, purtroppo, come tante cose, sono sparite (forse per allora sarà sparito anche l’art.18). Ci sono andata un po’ controvoglia e consapevole, dopo numerosi concorsi, che tanto è inutile se non sei tu “il candidato prescelto”. Però, alla fine, la speranza è sempre l’ultima a morire, e anche se faccio un altro lavoro ormai, uno ci spera sempre che magari nella commissione due su tre commissari siano giusti, o che per un attimo si sovvertano le regole o più semplicemente uno ci va perché non vuole un giorno svegliarsi con il rimorso di non averci provato, “e se al candidato designato si rompe la macchina e non fa in tempo ad arrivare al concorso?”
E così giochiamo ogni volta questa lotteria, con la speranza che qualcosa possa cambiare e la consapevolezza che nulla cambierà mai. Oggi ho avuto l’occasione di rivedere ex-colleghi, ricercatori precari come io lo ero solo fino a qualche mese fa, gente che incontro, periodicamente, ai concorsi. La cosa triste è che tutte queste persone mi sono di colpo apparse diverse dalle altre volte, sarà che li guardavo da un’altra prospettiva, non so, però notavo i loro capelli bianchi, i visi segnati dalla stanchezza (più mentale che fisica), ma soprattutto il loro “avvelenamento” nei confronti dell’Università italiana, che sembrano amare e odiare profondamente allo stesso tempo. Per cui mi sono sembrati di colpo prigionieri, prigionieri di un sogno, li rivedevo nella mia mente quando li avevo conosciuti, freschi di dottorato, entusiasti, felici, vogliosi di fare cose grandi e importanti. Adesso li vedevo davanti a me, rabbiosi, delusi, avvelenati. Vogliosi di stare all’università ormai per una sola ragione: avevano investito troppi anni della loro vita, troppi week-end, troppe vacanze mancate, per accettare adesso di mollare tutto. Il posto era un loro diritto, perché lo avevano conquistato sul campo di battaglia e adesso meritavano quella medaglia. Mi sono parsi ciechi, accecati da un sogno che ormai li imprigiona come un incubo, che devono per forza realizzare per non sentirsi inutili, falliti, perdenti. Ma quale vittoria li aspetta? Un sogno può dirsi ancora tale quando ti avvelena la vita e ti “scava” dentro fino a svuotarti di ogni entusiasmo? Quando realizzarlo diventa un obbligo più che un piacere? Se un sogno imbruttisce la nostra anima non può dirsi sogno, il sogno rende liberi, non incatena, non imprigiona.
Quando ho lasciato l’università italiana è stato proprio perché sentivo che qualcosa stava iniziando ad incrinarsi dentro, che l’essere sempre arrabbiata, frustrata, stressata non era la vita che avevo sempre sognato, appunto sognato(!).
La felicità, per quanto può essere arduo da credere, dopo che si è investito tanto in un “lavoro”, non viene dal lavoro che facciamo, non viene neanche dal realizzare (quelli che crediamo siano) i nostri sogni, non quando un sogno ci spegne il sorriso, ci avvelena e non ci fa più vedere il bello che c’è intorno e che ci può rendere felici anche quando con il nostro lavoro non ha nulla a che fare. Sono contenta di essere andata via dall’università italiana, anche se il lavoro di adesso non mi entusiasma, ma credo di essermi accorta in tempo che continuare con l’università non faceva bene alla mia anima, una piccola vocina del cuore mi ha spinto a scappare, non da un sogno, ma da un incubo.
sabato 7 gennaio 2012
Buoni propositi per il 2012
L’inizio di un nuovo anno è sempre caratterizzato da buoni propositi, però io non so ancora quali saranno i miei buoni propositi per quest’anno e quindi faccio un passo indietro, prima di pensare al futuro voglio pensare al passato, voglio fare una review di questo anno appena trascorso e vedere un po’ cosa ho combinato, di bello e…di brutto.
La prima cosa che mi viene in mente è sicuramente lo shiatsu, anche perché forse è stata la prima cosa importante dell’anno appena trascorso: a gennaio 2011 ho iniziato la scuola di shiatsu ed è ormai un anno che sono parte di questo meraviglioso mondo, fatto di relazione con l’altro, basata sul rispetto, la compassione, il non giudizio, in una sola parola…l’amore.
Sono contenta di aver intrapreso questa strada, così diversa da quelle che percorro abitualmente, ma che sento in un certo senso appartenermi, anche se non so bene dove mi porterà (ma questo è un altro post).
Poi sempre quest’anno ho dato seguito a un mio vecchio buon proposito dell’anno 2009 (!!!) quello di imparare lo spagnolo. Certo, a onor del vero, c’è da dire che ho solo frequentato un corso base e cha da giugno a oggi ho già praticamente dimenticato tutto…però è un inizio, almeno!
Sempre a giugno, oltre a finire il corso di spagnolo, ho anche finito il mio rapporto con l’università, dopo 7 anni, e si, come per i matrimoni, la crisi si fa sentire sempre al settimo anno!
E’ stata una scelta sofferta, ma inevitabile, obbligata, che però non rimpiango, perché in “quelle condizioni” non si poteva veramente andare avanti. Da metà anno ho una nuova vita, vivo anche in una città diversa, insomma un po’ di cambiamenti.
Nel Gennaio del 2009 avevo anche fatto altri due buoni propositi, il primo, leggere più libri, quest’anno è stato pienamente rispettato e, grazie ad aNobii, potete dare un’occhiata a quanti ne ho letti solo in metà anno!
L’ultimo proposito del 2009 recitava: "Capire cosa voglio fare da grande (L'impresa più ardua)". Su questo non posso dire di aver fatto dei grandi passi in avanti, procedo a tentoni, per trial and error, e dopo tre anni brancolo ancora nel buio. Mi è capitato, a volte, di credere che alcune strade fossero la strada giusta, ma oggi posso dire che la strada giusta non so ancora quale sia con precisione.
E non ho per questo post una conclusione a effetto, una frase che vi lasci sorpresi o meravigliati, niente di tutto questo, so solo che da qualche parte nel mio cuore è nascosta la chiave della felicità, ma che è ricoperta da troppe cose, e che c’è bisogno di essere presenti, molto più presenti per capire dove veramente voglio andare.
Il buon proposito per questo nuovo anno potrebbe essere questo: "essere più presenti a sé stessi, andare nel profondo del proprio cuore e ascoltarlo, zittendo la mente per più di qualche istante, in modo da capire quello che veramente siamo e vogliamo". Tutto il resto, sono certa, arriverà di conseguenza. Vediamo se almeno questo proposito riesco a mantenerlo.
lunedì 2 gennaio 2012
La bellezza nascosta della Calabria
Quest’anno ho deciso per la prima volta di fare un capodanno diverso, di solito preferisco non uscire e stare con la famiglia, anche perché odio i veglioni nelle sale ricevimento, dove paghi un sacco e devi “per forza” divertirti. Abbiamo optato per una gita fuori porta, poiché due amici dovevano venire a trovarci e volevamo portarli un po’ in giro. Alla fine questi nostri amici non sono venuti più, ma noi abbiamo deciso lo stesso di andare…dove lo abbiamo deciso il 30 gennaio, come sempre last minute.
Ma, come sempre, ho mantenuto il mio fiuto per i b&b e ho scelto un posto veramente carino, o almeno così sembrava in foto…dal vivo avremmo avuto modo di verificare presto.
E così siamo partiti il 31 mattina alla volta della Calabria, statale 106, un incubo d’estate, ma quasi deserta mentre la percorrevamo in scioltezza, quasi come in quei film americani che raccontano di avventurosi coast-to-coast.
La prima tappa è stata Roseto capo spulico e il suo spettacolare castello.
Il sole splendeva e si rifletteva sul mare e lì abbiamo pranzato con mandarini, uva e ciambella, in previsione del cenone ci siamo tenuti leggeri ;).
Poi abbiamo ripreso il viaggio e dopo poco abbiamo lasciato la 106 per iniziare a salire sui monti, destinazione Civita. Un paesino arroccato su un monte da cui si ha una splendida vista del golfo dello Ionio. Il b&b “La Ginestra” era anche meglio che in foto, e la signora Dina simpaticissima ci ha subito offerto i dolcetti fatti in casa. Ci siamo trovati da subito immersi in un’atmosfera a misura d’uomo e siamo partiti alla scoperta delle Gole del Raganello e del ponte del Diavolo.
La discesa è stata lunga, ma la salita dopo lo è stata ancor di più! Però la vista delle gole ci ha ricompensato della fatica e ci ha fatto venir voglia di tornare in estate per poter esplorare i vari sentieri che si dipanavano e si inoltravano nella vegetazione.
Siamo tornati nel b&b stremati e dopo un riposino siamo andati in paese. Abbiamo scoperto entrando nell’unica Chiesa del paese che Civita è una comunità arbëreshë e come tale segue il rito ortodosso, per cui la Chiesa conservava le bellissime icone greco-ortodosse. Abbiamo assistito a una parte del rito, alla fine del quale il sacerdote ha illustrato un po’ di statistiche sul paesino, tipo il fatto che aveva 955 abitanti (quindi rischiava di essere cancellato), che vi erano stati 19 morti e 6 nascite, 22 immigrati e 24 emigrati, 12 battesimi e 4 matrimoni (ma tutti di forestieri). Insomma, un paesino che, come molti, si va spopolando, ma che conserva intatta la sua bellezza.
La sera ci aspettava il cenone in un ristorante del paese, non sapevamo cosa aspettarci, chi avrebbe partecipato, giovani, anziani, avremmo ballato tutta la sera mazurche? In realtà non ci importava molto, eravamo contenti di essere in un paesino, lontani dal mondo senza pensieri. Alle 21 siamo arrivati al ristorante, due sale, non grandissime, foto di Gattuso alle pareti, animazione musicale non eccelsa, ma ci dava l’idea di essere tornati indietro di qualche anno, però il tutto era compensato da cibo sopraffino. I commensali erano poi molto folcloristici, una famiglia con zie, zii, cugini e la matriarca (la nonna :) che erano di un’eleganza quasi fuori luogo, e un po’ cozzavano con l’atmosfera casereccia del posto, ma davano colore. Poi, mischiati ai turisti, la gente del luogo, anche loro con l’abito della festa. Accanto al nostro tavolo c’era una coppia di fidanzati, lui ha passato tutta la serata a mimarle il menu, e sembravano divertirsi un sacco a fare questo gioco, tanto che non hanno mai smesso un attimo. Al tavolo accanto c’era una coppia di gente del luogo, lei, una signora sulla cinquantina, aveva una passione sfrenata per il ballo e avrebbe ballato tutta la serata, se solo suo marito gliel’avesse concesso.
Due tavoli più in là una coppia di cinquantenni, compagni, non sposati, totalmente immersi nel mondo 2.0, dotati di Iphone hanno passato tutta la serata ad aggiornare il loro stato su Facebook e a controllare eventuali commenti, alla faccia di chi dice che sono i giovani ad sempre immersi nel mondo dei social network! Infine i più strani erano un trio: lui, lei e l’altro. Solo che l’altro sembrava essere più l’altro di lui che di lei. I due ragazzi hanno infatti passato tutta la serata a parlare e scambiarsi sguardi interessati, mentre la fidanzata di uno dei due li guardava con sguardo annoiato. La mezzanotte è arrivata, sono arrivate anche le lenticchie con il cotechino e infine anche l’ora di andare a dormire, contenti e felici. La mattina ci aspettava una colazione a base di prodotti tipici: crostate, biscotti fatti in casa, code di rospo farcite di marmellate fatte in casa, e poi, naturalmente, caciocavallo e prosciutto di produzione propria…non avevamo molta fame, ma non abbiamo saputo dire di no, non potevamo proprio.
Siamo quindi partiti alla volta di Cerchiara, alla scoperta del Santuario della Madonna delle Armi, un santuario arroccato a più di 1000m di altezza alle pendici del monte Sellaro.
Uno spettacolo, non solo il monastero, ma anche la vista, tutto il golfo dello Jonio e tutta la Calabria, fin quasi alla sua punta estrema.
Questo viaggio mi ha fatto riscoprire la Calabria come terra ricca di luoghi bellissimi, troppo spesso sottovalutata e poco valorizzata.
Torneremo ancora, altre avventure ci aspettano, sperando di rincontrare la gente semplice e affettuosa che ci ha accolto questa volta come fossimo due di famiglia.
Ma, come sempre, ho mantenuto il mio fiuto per i b&b e ho scelto un posto veramente carino, o almeno così sembrava in foto…dal vivo avremmo avuto modo di verificare presto.
E così siamo partiti il 31 mattina alla volta della Calabria, statale 106, un incubo d’estate, ma quasi deserta mentre la percorrevamo in scioltezza, quasi come in quei film americani che raccontano di avventurosi coast-to-coast.
La prima tappa è stata Roseto capo spulico e il suo spettacolare castello.
Il sole splendeva e si rifletteva sul mare e lì abbiamo pranzato con mandarini, uva e ciambella, in previsione del cenone ci siamo tenuti leggeri ;).
Poi abbiamo ripreso il viaggio e dopo poco abbiamo lasciato la 106 per iniziare a salire sui monti, destinazione Civita. Un paesino arroccato su un monte da cui si ha una splendida vista del golfo dello Ionio. Il b&b “La Ginestra” era anche meglio che in foto, e la signora Dina simpaticissima ci ha subito offerto i dolcetti fatti in casa. Ci siamo trovati da subito immersi in un’atmosfera a misura d’uomo e siamo partiti alla scoperta delle Gole del Raganello e del ponte del Diavolo.
La discesa è stata lunga, ma la salita dopo lo è stata ancor di più! Però la vista delle gole ci ha ricompensato della fatica e ci ha fatto venir voglia di tornare in estate per poter esplorare i vari sentieri che si dipanavano e si inoltravano nella vegetazione.
Siamo tornati nel b&b stremati e dopo un riposino siamo andati in paese. Abbiamo scoperto entrando nell’unica Chiesa del paese che Civita è una comunità arbëreshë e come tale segue il rito ortodosso, per cui la Chiesa conservava le bellissime icone greco-ortodosse. Abbiamo assistito a una parte del rito, alla fine del quale il sacerdote ha illustrato un po’ di statistiche sul paesino, tipo il fatto che aveva 955 abitanti (quindi rischiava di essere cancellato), che vi erano stati 19 morti e 6 nascite, 22 immigrati e 24 emigrati, 12 battesimi e 4 matrimoni (ma tutti di forestieri). Insomma, un paesino che, come molti, si va spopolando, ma che conserva intatta la sua bellezza.
La sera ci aspettava il cenone in un ristorante del paese, non sapevamo cosa aspettarci, chi avrebbe partecipato, giovani, anziani, avremmo ballato tutta la sera mazurche? In realtà non ci importava molto, eravamo contenti di essere in un paesino, lontani dal mondo senza pensieri. Alle 21 siamo arrivati al ristorante, due sale, non grandissime, foto di Gattuso alle pareti, animazione musicale non eccelsa, ma ci dava l’idea di essere tornati indietro di qualche anno, però il tutto era compensato da cibo sopraffino. I commensali erano poi molto folcloristici, una famiglia con zie, zii, cugini e la matriarca (la nonna :) che erano di un’eleganza quasi fuori luogo, e un po’ cozzavano con l’atmosfera casereccia del posto, ma davano colore. Poi, mischiati ai turisti, la gente del luogo, anche loro con l’abito della festa. Accanto al nostro tavolo c’era una coppia di fidanzati, lui ha passato tutta la serata a mimarle il menu, e sembravano divertirsi un sacco a fare questo gioco, tanto che non hanno mai smesso un attimo. Al tavolo accanto c’era una coppia di gente del luogo, lei, una signora sulla cinquantina, aveva una passione sfrenata per il ballo e avrebbe ballato tutta la serata, se solo suo marito gliel’avesse concesso.
Due tavoli più in là una coppia di cinquantenni, compagni, non sposati, totalmente immersi nel mondo 2.0, dotati di Iphone hanno passato tutta la serata ad aggiornare il loro stato su Facebook e a controllare eventuali commenti, alla faccia di chi dice che sono i giovani ad sempre immersi nel mondo dei social network! Infine i più strani erano un trio: lui, lei e l’altro. Solo che l’altro sembrava essere più l’altro di lui che di lei. I due ragazzi hanno infatti passato tutta la serata a parlare e scambiarsi sguardi interessati, mentre la fidanzata di uno dei due li guardava con sguardo annoiato. La mezzanotte è arrivata, sono arrivate anche le lenticchie con il cotechino e infine anche l’ora di andare a dormire, contenti e felici. La mattina ci aspettava una colazione a base di prodotti tipici: crostate, biscotti fatti in casa, code di rospo farcite di marmellate fatte in casa, e poi, naturalmente, caciocavallo e prosciutto di produzione propria…non avevamo molta fame, ma non abbiamo saputo dire di no, non potevamo proprio.
Siamo quindi partiti alla volta di Cerchiara, alla scoperta del Santuario della Madonna delle Armi, un santuario arroccato a più di 1000m di altezza alle pendici del monte Sellaro.
Uno spettacolo, non solo il monastero, ma anche la vista, tutto il golfo dello Jonio e tutta la Calabria, fin quasi alla sua punta estrema.
Questo viaggio mi ha fatto riscoprire la Calabria come terra ricca di luoghi bellissimi, troppo spesso sottovalutata e poco valorizzata.
Torneremo ancora, altre avventure ci aspettano, sperando di rincontrare la gente semplice e affettuosa che ci ha accolto questa volta come fossimo due di famiglia.
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