Il problema è che non so
cosa fare, non ne ho la minima idea, non ho per niente le idee chiare, e non è
che la notte porti consiglio o che il tempo mi aiuti a schiarirle le idee,
anzi, più il tempo passa e più le idee mi si confondono. Solo una cosa mi è chiara:
non so cosa mi piacerebbe davvero fare nella vita, qual è realmente la mia
strada, se esiste qualcosa, un lavoro, che posso fare ed essere felice, o
almeno appagata; e fino a quando non lo scoprirò ci sono solo due strade: la
prima, continuare a sbandare come una boa in mezzo al mare, come una banderuola che sembra voler seguire tutti i venti ma poi, alla fine, non ne segue nessuno perché
resta sempre attaccata al suo palo; la seconda, prendere una strada a caso e
sperare che funzioni.
Il fatto è che c’è stato
un tempo che ho creduto di sapere cosa volevo fare, di aver trovato la via, ed
è durato anche diversi anni. Quando lavoravo all’università, per sette lunghi
anni ho pensato che la mia vita sarebbe stata quella per sempre e mi ero
abituata all’idea che, devo dire, non mi dispiaceva neanche. Mi piaceva l’idea
di poter continuare a studiare, mi piaceva avere la possibilità di viaggiare e
conoscere posti nuovi e persone diverse. Anche se a volte l’informatica mi
sembrava troppo arida (e avrei preferito ricercare percorsi sociologici) me la
facevo piacere, consolandomi con il fatto che un giorno sarei finalmente
diventato un Ricercatore con la erre maiuscola e avrei potuto, magari, ricercare
qualcosa al confine tra Informatica e Sociologia abbandonando per sempre quello
che “gli altri” mi imponevano di ricercare, quello che era il loro interesse e
non il mio, ma che è la gavetta che si è costretti a fare per avere poi il
proprio posto nel mondo, un male necessario e inevitabile, il prezzo da pagare
per la futura libertà.
Sapevo che c’era un
percorso che dovevo fare, delle “semplici regole” che avrei dovuto seguire per
diventare, prima o poi, una ricercatrice a tempo indeterminato e quindi
definire il mio profilo una volta e per sempre, avere la mia vita professionale,
quella per cui stavo lavorando scrupolosamente da sette anni. E io queste
regole le ho seguite, scrupolosamente. Di conseguenza pensavo che B. sarebbe
stata la mia città, la città in cui avrei comprato una casa, mi sarei sposata,
dove i miei figli avrebbero frequentato la scuola e così via.
E un po’ lo era già, la
mia città, tra università e lavoro vivevo lì da dieci anni, avevo il mio giro
di amicizie, la palestra, la parrocchia, i negozi fidati.
Poi, un giorno, il
destino ha deciso di scombinare le carte, quel “prima o poi” è diventato molto
poi, e poi mai. E quindi a 31 anni, zaino in spalla, ho deciso di
ricominciare, da un’altra parte.
Da allora qualcosa è
cambiato, anzi molto è cambiato.
Il mio lavoro
innanzitutto, la città dove vivo, che non è più B., gli amici, insomma lo
scenario si è completamente mutato. Il risultato?
Non sono più sicura di
nulla, o meglio, sono sicura solo di ciò che non voglio, sono sicura di non
voler vivere nel posto dove vivo adesso, di non voler fare per sempre il lavoro
che faccio (anche se qui, adesso, ironia della sorte, ho un contratto a tempo
indeterminato, tanto agognato, tanto sperato), di non voler mettere al mondo
dei figli in questa situazione.
Vivo come in un limbo in
cui sento di non appartenere a nessuna delle dimensioni in cui sono calata in
questo momento, con una grande voglia di ricominciare da un’altra parte
un’altra storia. Perché se l’ho fatto già una volta a 31 anni, sconvolgere la
mia vita, allora posso farlo ancora. E allora, direte voi, dove sta il
problema?
Il problema sta nel fatto
che non so da dove ricominciare, ricominciare si, ma da quale parte, da cosa?
Non mi piace il lavoro che faccio, ma a 33 anni mi sembra un po’ troppo tardi
per iniziare un altro percorso, totalmente diverso dal mio, un percorso lontano
dalla scienza, perché anche la mia anima umanistica avrebbe bisogno di
respirare.
Vorrei tornare indietro,
a quel momento in cui si ha la possibilità di scegliere, a quegli anni in cui
le scelte indirizzano la tua storia futura.
Ma sarebbe troppo facile
la vita se tutto si sapesse in anticipo, e no, così non vale, non sono queste
le regole del gioco.
E quindi se avessi la
bacchetta magica cosa mi piacerebbe diventare? Una violinista, una calciatrice
professionista, un’operatrice shiatsu, una sceneggiatrice, un gestore di
agriturismo/bar/sushi bar? Mah, si, forse. Ecco, il fatto è che mi piace tutto,
ma niente mi soddisfa completamente, e quindi resto ferma al palo, come la
banderuola che vuole seguire tutti i venti, ma poi, legata com’è, non ne segue
nessuno.