E' strano, ma la mia vita si appresta ad un cambiamento, un cambiamento davvero consistente, lento e inesorabile.
E non parlo della mia vita "in senso stretto", quella chissà, non ho ancora deciso cosa farò da grande, ma della vita che mi sta attorno, che è, ovviamente, in "senso largo" anche la mia, perchè la condiziona, la avvolge, la fa cambiare anche se lei vorrebbe alcune cose non cambiassero mai.
La vita si evolve, informazione nota e risaputa, ma è diverso quando il cambiamento lo tocchi con mano, lo subisci, quando lo sperimenti a tue spese e il conto ti sembra troppo alto.
Quando sono tornata dall'America, per quanto inizialmente sbigottita dall'essere nuovamente nel mio vecchio mondo, avevo la confidenza che, comunque, pian piano, tornando alla vita di prima, alle mie abitudini, ai soliti riti quotidiani, mi sarei ripresa da questo schock da reverse immigration.
Avevo le mie cose, la mia vita, che mentre io sperimentavo il "nuovo mondo" erano rimaste lì, sembrava ad aspettarmi.
Avevo la mia comunità di San Marcello, la mia squadra di calcio, la "mia" casa che mi avrebbe riaccolto.
E invece, quella che era la vita di prima sembra, per un crudele scherzo del destino, iniziare a disgregarsi, a cambiare, a poco a poco, ma inesorabilmente.
Prima la casa: sono stata costretta a traslocare, ad andarmene da quella che consideravo la mia casa senza un ragionevole motivo, almeno dal mio punto di vista o forse qualsiasi motivo non sarebbe stato ragionevole, visto che, semplicemente, non volevo andar via.
Poi la mia squadra di calcio, dopo anni, hanno cambiato il campo, i giorni, gli orari, rendendomi impossibile partecipare agli allenamenti quest'anno. Dovrò dire "addio" alle mie piccole compagne, al mio allenatore, al mio sogno da bambina, che finalmente sembrava essere diventato realtà, a quelle due ore di spensieratezza, quando giocare con loro mi faceva dimenticare il resto, tutto il resto.
Hanno cambiato senza un ragionevole motivo, o forse, ancora, qualsiasi motivo non sarebbe stato ragionevole, visto che, semplicemente, non volevo dire addio.
E infine la mia comunità di San Marcello, ogni martedì c'era il rito del ritrovarsi, perché don L. sapeva "attirarci", come gente assetata che va ad una sorgente.
E poi c'erano gli altri gruppi, quello con cui facevamo piccoli ritiri, per ritrovarci, per isolarci dal rumore e sentire ciò che conta davvero.
Lui quest'anno va via, ed è inutile prendersi in giro, non è solo lui che andrà via, ma insieme a lui andranno via riti, incontri, modi di fare e di dire a cui non volevo dire addio, che ci sia o meno un ragionevole motivo.
E così capita che senza i soliti riti, uno per ogni giorno della settimana, ci sentiamo persi, non più al sicuro, soli in alto mare. Brucia, vogliamo tutto come era prima, non siamo disposti a dire addio, non senza un ragionevole motivo.
Ma le cose cambiano, lo sapevamo, lo abbiamo sempre saputo, perchè meravigliarci ora?
E' sempre la solita storia, bisogna crescere, non ancorarsi alle cose, perchè nulla possediamo se non noi stessi, avere coraggio, saper dire addio è l'unico modo di essere uomini.
giovedì 18 settembre 2008
Iscriviti a:
Post (Atom)